Nell’ambito del Progetto Incroci, un’intervista alle tre realtà coinvolte, organizzatrici della MigrART LAB Conference (dal 15 al 17 ottobre a Roma) sulla portata e le possibilità di questa rete progettuale dedicata al teatro sociale e comunitario. L’intervista fa parte di un progetto di media partnership e racconto tra Incroci e la nostra rivista.
Qui tutti gli articoli sul progetto Incroci
Il progetto Incroci, il cui capofila è Teatro Magro di Mantova, in partenariato con Asinitas Onlus di Roma e Progetto Amunì-Babel di Palermo, grazie al sostegno di Fondazione Alta Mane Italia e di SCENA UNITA, Fondazione Cesvi, La Musica che Gira e Music Innovation Hub, intende attivare linee di inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca attraverso le arti performative. Da marzo a ottobre le attività riguarderanno tre progetti laboratoriali (condotti da Flavio Cortellazzi, Fabiana Iacozzilli e Giuseppe Provinzano, l’incontro tra i diversi gruppi in fase creativa e durante le presentazioni al pubblico, l’ideazione di tre giorni di riflessione con la Migra.Art Lab.Conferance che si terrà presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo. Teatro e Critica, media partner del progetto Incroci, accompagnerà le realtà coinvolte in una serie di approfondimenti e interviste durante tutto il processo di ricerca, attraversando le pratiche creative degli artisti e dei gruppi coinvolti, gli incontri di scambio, le presentazioni, gli interventi.
Siamo alle porte della MigrART LAB_Conference (15/17 ottobre 2021, Roma) che chiude questo primo anno del Progetto Incroci, con: la presentazione dei tre percorsi spettacolari di Teatro Magro, Asinitas, Progetto Amunì/Babel, incontri con alcune tra le più interessanti esperienze di teatro sociale attraverso una tavola rotonda di buone pratiche, laboratori in giro per il Quarticciolo, tavoli di lavoro per un confronto sui metodi. Dopo la presentazione del Progetto a Santarcangelo Festival e la pausa estiva, a cavallo con la ripresa dei laboratori, ci siamo confrontati con Marina Visentini e Flavio Cortellazzi (Teatro Magro), Fabiana Iacozzilli e Cecilia Bartoli (per Asinitas) e Giuseppe Provinzano (Babel), per tirare alcune considerazioni sulla natura precipua del progetto, sulle pratiche che sono state più fruttuose e quelle che hanno destato maggiori difficoltà. ogni domanda è stata rivolta agli operatori durante alcuni scambi in videochiamata agli inizi di ottobre, qui restituita e indicizzata attraverso titoli esemplificativi.
Come trattare un lavoro che ha una natura fortemente laboratoriale e processuale anche relativa alle instabilità di un gruppo di lavoro che può variare moltissimo; quindi come far rientrare questo tipo di mobilità all’interno di un progetto presentato come spettacolo?
ASINITAS: La fragilità di ritornare dopo aver lasciato il ventre caldo
Abbiamo da poco ripreso il lavoro e siamo in un momento di grande fragilità. In questa nuova era del progetto mancano delle persone che prima erano state sempre presenti, si sente che l’esperienza ha già avuto un suo apice. Il laboratorio, sottolineava Cecilia, è stato un luogo caldo, un ventre. A Santarcangelo sono sbocciati, poi dopo c’è chi ha trovato un lavoro, chi ha intrapreso percorsi di vita che mettono in secondo piano la partecipazione al teatro… Fondamentale, tuttavia, è non snaturare la natura del progetto: portando l’esperienza artistica nelle criticità del gruppo. Un lavoro come questo nato e creato su delle storie e dei corpi ben precisi ci impone di non poter fare semplicemente il cambio di ruolo, dovremo trovare un nuovo modo di Abitare questo ritorno (Fabiana Iacozzilli).
Il laboratorio teatrale è un ventre caldo, dopo le pause estive in cui loro non ci vedono, sono cambiati perché hanno avuto un impatto molto differente con il mondo che li circonda. È come se il lusso di quel tempo sospeso fosse finito, sebbene adesso ricevono un piccolo compenso, che è comunque qualcosa. Ma la replica la avvertono davvero come una forzatura, perché non significa come per i professionisti rimettere in scena lo spettacolo, ma metterne in scena un altro in poco tempo. Mi piace che comunque per lei sia una sfida nella quale stare, ho molta fiducia in questo gruppo e in Fabiana, so che lei rientrerà dentro al processo, e andrà bene. Però non sarà la stessa cosa, sarà altro. Dobbiamo essere onestissimi, è una creatura che si muove anche a prescindere dalla nostra volontà o impegno. (Cecilia Bartoli)
PROGETTO AMUNÌ/BABEL: Far convivere le opportunità lavorative con il desiderio espressivo
La cosa che noto è che i ragazzi vorrebbero avere la possibilità di lavorare, ma senza sacrificare l’esperienza del teatro, mi piacerebbe discutere davvero, discutere quali opportunità possano avere qui. Anche per noi che proviamo a fare un progetto in continuità rimane lo stesso la domanda: che spazio può avere il teatro nelle loro vite? Chi trova lavoro spesso teme che non avrà il tempo per noi e spesso mi tocca di andare a parlare con i loro datori per “contrattare”; c’è chi “sacrifica” le ferie per fare teatro…. Di contro altri sono super entusiasti, e stanno capendo come rimanere nel mondo del teatro, anche come tecnici, come maschere… Qualche tempo fa c’è stata una lite con uno degli operatori che aveva declassato l’importanza del fare teatro a fronte del lavoro, ma è intervenuto Bandjou con una consapevolezza che mi ha reso molto orgoglioso, sottolineando che sebbene il lavoro sia fondamentale, così come l’acquisizione dei documenti, “a livello umano i nostri problemi sono altri. Se qualcuno di noi sente che c’è un altro contesto nel quale si sente accolto, nel quale trova espressione, perché dobbiamo solo pensarci senz’altra alternativa? I documenti sono un problema ma una persona è anche altro. Io sto scegliendo cosa fare nella vita, non è la vita che mi sta scegliendo”. A posteriori anche la direzione della Comunità ha capito e rispettato la sua posizione.
Per quanto riguarda il processo creativo, anch’io non penserò a delle sostituzioni, proveremo a ricomporre gli elementi di Element-z con quegli eventuali vuoti. Interessante è che anche loro registrino questa difficoltà; difatti hanno iniziato a chiederci di lavorare in più progetti pensati per gruppi più piccoli, in modo da gestire al meglio i loro impegni. Proverò a dare seguito a questa loro richiesta. Da lì in poi si resterà in ascolto (Giuseppe Provinzano).
TEATRO MAGRO: Lavorare come professionisti
Molto spesso non pensiamo preventivamente se questi spettacoli verranno distribuiti. Le nostre produzioni vengono create da semi professionisti, spesso sono ragazzi che crescono con noi, ma per noi l’approccio e la modalità di lavoro sono da professionisti. Non ci poniamo il compito di farli diventare professionisti, anche se non è detto che un domani uno dei ragazzi o delle ragazze che si sono legati molto a noi possa diventare un nostro “dipendente”. Gli altri con cui siamo entrati in contatto però rimangono degli affezionati, anche se non partecipano ai laboratori tornano sempre a vedere gli spettacoli (Marina Visentini).
Il nostro gruppo ha una stratificazione diversa rispetto agli altri: una parte sono richiedenti asilo, una parte è composta da ragazzi italiani non professionisti, altri invece sono soci di compagnia, ma la preparazione di un richiedente asilo non differisce da quella di uno dei nostri professionisti, anche se è chiaro che partono da esperienze diverse. Se questa domanda riguarda il perché non chiamiamo questa restituzione come dimostrazione di lavoro, rispondiamo che nel momento in cui ci esponiamo, per il tempo e l’impegno che abbiamo dedicato assieme ai ragazzi in questo lavoro, allora non possiamo che chiamarlo spettacolo. Nel momento in cui c’è una confezione di illuminotecnica, di scenografia, di costumi, di azione performativa vera e propria non vedo perché chiamarlo diversamente (Flavio Cortellazzi).
Cosa è stato proficuo per il processo artistico, cosa meno?
PROGETTO AMUNÌ/BABEL: L’impatto emotivo più forte è nell’incontro artistico con gli altri ragazzi
Sicuramente ho in mente di tagliare e definire meglio alcuni passaggi, anche ascoltando quanto hanno raccolto i ragazzi dopo gli incontri con gli altri componenti dei gruppi. Tra i feedback più interessanti che ho raccolto alla fine di Santarcangelo, vi è una sorta di paradosso che si è venuto a creare: lo spettacolo più completo è stato quello di Fabiana, la quale fin dagli inizi lo aveva definito una dimostrazione di lavoro. Ma questo giudizio è figlio della diversa natura delle tre realtà, lei ha fatto quello che meglio credeva rispetto al tempo limitato a disposizione, sicuramente più circoscritto rispetto al lavoro che portano avanti Teatro Magro o a quello che facciamo noi, di più lunga durata e stratificato. Mi è sembrato molto calzante quando un curatore mi ha suggerito di presentare il nostro lavoro non come spettacolo o come esito di laboratorio, ma come “performance”, per l’apertura alle altre arti, per la natura modulare, per l’origine dei materiali drammaturgici… effettivamente per come la intendiamo noi in Italia, l’etichetta “performance” offre agli spettatori una diversa percezione. Ci sono degli aspetti che funzionano più di altri, è come se le parti più “teatrali” funzionassero meno di quelle lasciate alla libertà performativa.
Altro aspetto fondamentale: la “botta emotiva” i ragazzi l’hanno rilasciata nell’incontro con i compagni, ovvero durante quella prima replica pensata per ragioni logistiche solo per gli altri ragazzi e ragazze del Progetto Incroci, non l’hanno vissuta come una generale ma come il momento più importante dei loro percorsi. Ciò racconta la fragilità del nostro lavoro, per noi è stato evidentissimo che al cambio di pubblico la risposta fosse molto diversa… Element-z è fatto di tante cose loro, senza di quelle ancora faticano ad andare, vorrebbero far emergere i ragionamenti di questo anno e mezzo: qualcuno voleva dire di più del proprio disagio, qualcuno vorrebbe dire di meno. Nel lavoro fatto dalla terza variazione si andrà a togliere e limare (GP).
ASINITAS: Ritrovare il personaggio fatto di tre corpi e un pupazzo
Non posso non pensare alla prima volta che abbiamo incontrato il gruppo di Giuseppe a Palermo. Lì ho incontrato una comunità, un laboratorio permanente, ho avuto la percezione di loro come dei “genitori” tanto è vero che ho trovato nello spettacolo questo cuore: il voler far esprimere i ragazzi anche a costo di farsi da parte. Mi è mancato un pezzo del processo quando poi non sono riuscita ad andare a Mantova e non ho conosciuto prima i ragazzi di Flavio. L’esito dei nostri laboratori è figlio dei nostri processi artistici: io in questo momento sento di dover dare una forma molto chiara e netta alla scena, devo averne il controllo, questo credo che sia un punto di forza ma anche qualcosa su cui lavorare. Un altro punto su cui avremmo potuto lavorare di più è la cucitura drammaturgica, ma non c’era il tempo. Dal punto di vista del risultato si poteva trovare un modo in cui i vari strumenti potessero risuonare meglio nel concerto. Ma il punto di forza del lavoro è che siamo riusciti a “fare insieme”: muovere quei giganti in tre persone (più un pupazzo) e risuonare tutti insieme nel lavoro. (FI).
A livello proiettivo, i tre manovratori si sono uniti in un personaggio, che è il frutto delle scelte di tutti e tre. Il momento in cui questo è successo è stato evidente. Hanno preso davvero vita, questo personaggio è diventato vivo, tanto è vero che in questa esperienza riconosco un grande livello di affiatamento (nonostante i naturali momenti di conflitto) rispetto ad altre nostre precedenti. (CB) Per questo oggi il punto delicato è ritrovare quell’anima, riuscire a reinnescare quella “magia” sulla quale avevamo tanto lavorato. In teatro 2+2 non fa sempre 4, bisogna entrare sempre in quella dimensione dell’origine, non ritornare a quello che era ma far succedere qualcosa di nuovo (FI).
TEATRO MAGRO: Il pensiero del singolo può essere di tutti
Rispetto all’equilibrio tra processo e prodotto c’è un tempo preciso, che nel nostro caso spesso è anche molto ridotto per via della nostra esperienza con l’aziendale… Di V.Visitors noi siamo già alla quarta replica, perché ce lo hanno chiesto anche in altri contesti al di là degli appuntamenti di Incroci, e devo dire che siamo riusciti a rimanere molto fedeli all’idea che ci siamo dati (MV).
Le repliche le hanno affrontate tranquillamente, il lavoro fatto li rende sicuri anche in spazi diversi, sono contento della loro professionalità crescente, per certi versi mi sembra strano! Ci sono due persone su 12 che lo fanno quotidianamente e quindi fungono quasi da traino, e si alza ogni volta l’asticella più in alto, si è sempre più precisi e puliti. Per questo il momento dello spettacolo è importante, con le repliche fatte il lavoro è maturato. Per quanto riguarda la potenziale instabilità del gruppo noi abbiamo dovuto accettare un margine di flessibilità fin dall’inizio, concordato e condiviso con lo Sprar di Mantova e con la Fondazione Altamane: dovevamo accettare che ci sarebbe stato qualche cambio, mettendoci alla prova rispetto a un allenamento emotivo e tecnico al cambiamento, a quella diminuzione fisiologica. Ci sono state dunque delle soluzioni che non erano vincolate strettamente a una persona ma adattabili in un margine di flessibilità, che il pensiero del singolo potesse essere anche pensiero di tutti. Se questo avviene ci si può sostituire, non c’è una personalizzazione estrema della battuta; si può imparare la parte dell’altro, anche questo se vuoi è una professionalizzazione per sostituire l’altro con le proprie capacità, o adattarsi in spazi differenti, in una “formazione elastica”.
Quali evoluzioni possibili avete pensato in relazione a un ampliamento del progetto verso un’ottica europea? Come calibrare la specificità dei tre percorsi in una nuova visione che tenga conto dei punti di forza in comune e delle differenze?
TEATRO MAGRO: Fortificare la catena di relazioni per una sensibilizzazione allargata
Di base il progetto europeo vuole far lievitare il Progetto Incroci condividendolo con altri partner europei, in base alla vocazione di ogni partner della rete. Ci interessa mantenere la stessa modalità di incontro e scambio e abbiamo capito che la diversità è una risorsa, che abbiamo imparato ad accettare e comprendere. Il teatro si inserisce nelle vite dei ragazzi e in contesti sociali che spesso non comunicano tra loro, un altro obiettivo, allora è di fortificare la catena di relazioni per cui anche il datore di lavoro dovrebbe essere sensibilizzato e tenere conto, oltre a casa e lavoro, anche delle esigenze che nascono e si creano a partire dal teatro (MV).
Scontrarsi con lingue, orari, abitudini differenti aiuta tantissimo alla stimolazione artistica. Non è altro che altra carne che c’è nel progetto stesso. Che io debba confrontarmi con un greco ciascuno nelle nostre lingue, anche facendo proprio il fraintendimento, è interessante artisticamente. Per me è una ricchezza che il progetto si possa confrontare con realtà diverse, e non soltanto con richiedenti asilo; del resto, se io vado in un altro posto anche io sono visitatore. Anche se i maestri sono gli stessi, ognuno li personalizza e li fa diventare qualche altra cosa (FC).
PROGETTO AMUNÌ/BABEL: Il legame è nel percorso di crescita durante gli scambi
Se dal punto di vista formativo abbiamo trovato tanti aspetti in comune, quando siamo arrivati all’allestimento, sia nella dinamica che nell’approccio, le differenze sono state molto evidenti e quasi incolmabili. In un’ottica di progetto che continua non possiamo non far finta che la cosa che ci dà maggiore possibilità di crescita è l’aspetto formativo, anche se poi, da teatrante, io dico di voler vedere gli spettacoli, ma per molti partecipanti a MigrArti era solo una formalità. Noi tre partner abbiamo nature e prerogative diverse e questo si deve rispettare. Quello che ci ha tenuto davvero legati sono stati i percorsi di crescita dei ragazzi durante gli scambi.
ASINITAS: La via pedagogica o quella spettacolare
È interessante l’aspetto di rete perché ci rende più visibili, con la caduta di Migrarti sono scomparse dalla visione pubblica le tante esperienze di questo tipo. L’aspetto interessante dell’essere andati a Santarcangelo Festival è stato quasi come ritrovare un rilancio di MigrArti. L’attenzione a queste pratiche è molto labile, se i fondi si spostano su un altro settore, noi italiani in questo siamo molto cannibali. Sarebbe bello portare avanti le due strade (pedagogica e spettacolare), ma bisogna fare delle scelte di campo: o facciamo un lavoro di produzione al fine di renderle più visibili oppure di scambio di pedagogico, sicuramente non insieme, contemporaneamente, in questi tempi così ristretti (CB).
A cura di Viviana Raciti