L’occasione di uno spettacolo come Non abbiate paura di D’Elia/Niccolini, visto a Kilowatt Festival 2021, offre spunti di riflessione attorno al teatro civile di ieri e di oggi.
La storia, per farsi, ha bisogno di tempo. Ma non è una banale cristallizzazione delle informazioni che riguardano quella vicenda, è una presa di coscienza dei testimoni e degli analisti che hanno raggiunto la distanza temporale necessaria affinché il racconto limpido decodifichi, tra l’odio e l’amore, la causa e l’effetto. La cronaca passa nella nostra vita, oggi più ancora di ieri, come conseguenza di un’onda improvvisa, tanto per l’impatto, tanto per il ritorno repentino a essere mare. Solo dopo l’umanità considera l’avvenimento, lo conduce a ragionamenti dal caldo al freddo, inizia pian piano ad affondarci dentro per comprenderlo o, per certi versi, renderlo esemplare.
L’arte situa il proprio intervento lungo l’asse che dalla cronaca conduce alla storia, tra di esse il teatro è forse il più incline a gettarsi nella mischia, anticipare i tempi e cercare fin da subito un’identità. Fa, non di rado, la cosa più difficile di tutte: fornire a caldo gli strumenti che solo a freddo renderanno il merito; è stato il caso di molte vicende, divenute presto racconto appassionato di narratori, più raramente spettacolo con una regia pensata e critica. C’è stato insomma un tempo in cui la cronaca offriva continuamente spunti per racconti di teatro civile – esemplari le orazioni civili di Marco Paolini e Ascanio Celestini; al contrario in questi anni, nei quali la letteratura per esempio diffonde felicemente versioni di docufiction in uno stile più o meno accettabile, il teatro ha battuto questa strada con minore fortuna; si pensi alla distanza temporale dalla narrazione sul disastro ambientale in Puglia o Basilicata – la Policoro di Ulderico Pesce e la Taranto di Alessandro Langiu – che, pur non risolto, è finito appena fuori dall’orbita dei narratori di oggi; si pensi alla vicenda ThyssenKrupp che il solo Pippo Delbono portò in La menzogna; si pensi alle violenze di caserma come quella su Stefano Cucchi, dov’è arrivato il cinema per primo e il teatro ha dato vita a un paio di produzioni poco note: La notte di Antigone (Eco di Fondo) e Presunta morte naturale (Margine Operativo); si pensi a uno degli eventi più forti che la storia recente d’Italia e non solo abbia vissuto, il G8 di Genova 2001 costato la morte a Carlo Giuliani, che ha prodotto in 20 anni – ricorrenti in questo 2021 – appena tre datati lavori come il Genova 01 di Fausto Paravidino, GiOtto di Giuseppe Provinzano e Sangue dal naso di Andrea Maurizi (tutti e tre di nuovo replicati per l’estate dell’anniversario tondo), con l’aggiunta del recente (e in corso) G8 Project/Fare luce che Davide Livermore ha ideato con Andrea Porcheddu per il Teatro Nazionale di Genova. Poco altro giunto ad essere apprezzato.
Si evidenzia di certo una internazionalizzazione dell’impegno – ne sono esempi gli spettacoli che cercano di far luce sui fatti globali di urgente attualità, come quelli di artisti internazionali come Milo Rau e Rimini Protokoll, ma anche lavori di artisti italiani, ad esempio il datato progetto plurale Wake Up! sulla primavera araba o i recenti Lybia back home de La ballata dei Lenna e L’abisso di Davide Enia – ma sul piano del racconto dedicato a piccoli grandi fatti dai territori l’onda pare si sia prosciugata, o almeno che non bagni più la riva della nostra coscienza civile. Vero è che l’uso vorticoso, rabbioso dei social network, con quella illusoria immediatezza di intervento, ha lentamente annichilito la cronaca, l’ha consumata dentro l’opinione ben prima che si faccia storia. Paradossalmente è come se parlare di un determinato avvenimento, per l’arte vittima di tanti confusi impulsi dal contemporaneo, si sia fatto urgente solo dopo che se ne è spento il clamore; ecco allora che forse il teatro – superato da forme documentarie partecipate come quelle a cui ci abitua la moderna radio dei podcast – non regge più l’urto, sta perdendo quella sua forza estrattiva, simile a quella di un aratro che ribalta la terra; forse a porlo nell’angolo è la sua ricerca di unità narrativa, di continuità tra informazione ed empatia, laddove la bolla esaurisce il proprio racconto in brevi frammenti posticci di accordi e disaccordi, presto sostituiti e relegati indietro da nuovi stimoli dell’attualità.
Tuttavia qualcuno che sappia caricarsi il peso della cronaca sulla lingua della propria narrazione ancora c’è, come ad esempio l’attore brindisino Luigi D’Elia, capace di riannodare l’esperienza trentennale dell’arrivo degli albanesi in massa nella città salentina nel 1991, fino a condensare quelle emozioni in un testo firmato da Francesco Niccolini – già coautore di grandi orazioni civili firmate con Marco Paolini – per la sua propria interpretazione: Non abbiate paura – Grand Hotel Albania, in scena sul palco del Kilowatt Festival 2021 (un sodalizio ormai decennale, come testimonia il volume Della natura selvaggia, Cue Press 2019, sul loro teatro); un viaggio indietro nel tempo, una memoria che è tanto più vera se prende una forma condivisa, se passa di bocca in bocca, di cuore in cuore, a farsi storia contemporanea dell’Italia che fatica a dirsi, ancora, multiculturale.
Il suo teatro unicamente di parola, con la sola musica talvolta a farsi elemento coautoriale, conduce nella vicenda che D’Elia ha vissuto personalmente (al punto, mi dirà poi in privato, di acquistare e conservare in magazzino pezzi dell’imbarcazione Katër i Radës, protagonista di un’altra simile vicenda tragica di qualche anno dopo, non a caso già ben raccontata da un documentario di Rai Radio3 e un libro di Alessandro Leogrande) con una sincerità espressiva palpabile, in cui sentire compresse anche la rabbia e la rassegnazione per quel “cinismo di Stato” che ha messo a rischio la popolazione dell’intera città. Se ancora il racconto appare molto “scritto” e avrà bisogno di farsi fluido, attraverso magari il ricorso a meccanismi narrativi più limpidi e un uso meno strumentale e retorico di fatti storici non sempre funzionali, il legame dell’attore con questo avvenimento è di per sé il valore che ne fa uno spettacolo importante, perché pone di fronte agli occhi degli spettatori come la qualità del vivere all’interno di una comunità sia un motore civile fondamentale, per la vita che si vive, per il teatro che si fa.
Simone Nebbia
Sansepolcro, Kilowatt Festival, luglio 2021
NON ABBIATE PAURA – GRAND HOTEL ALBANIA
Uno spettacolo di Francesco Niccolini
Con Luigi D’Elia
Luci Paolo Mongelli
Musiche Claudio Prima
Una produzione INTI, la terra delle storie in viaggio