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Giuseppe Semeraro. La poesia da me a te

Il teatro estivo è fatto di incontri, alcuni previsti, altri meno, ma tutti uniti da uno spirito comunitario che è l’essenza di un festival. Giuseppe Semeraro ha portato Preghiera del mattino e Il figlio che sarò a I Teatri della Cupa nella Puglia salentina.

Foto Francesca Randazzo

Ad andare per festival si incontrano tante persone: artisti, operatori, semplici appassionati, passanti casuali che magari scoprono un po’ più di vitalità che a stare al tavolo tra briscole e campari; il teatro offre un campo libero in cui farsi comunità è un abituale meccanismo che riguarda tutti, senza neanche presentarsi a volte, si sceglie di stare insieme perché si è scelto, in origine, di essere lì. Questo è un atto volontario di partecipazione, declinato però in modo diverso rispetto all’aggregazione generica: si sceglie di stare attorno all’arte, non un fuoco sicuro, duraturo, ma che può accendersi come no, che può infiammarsi di colpo e nello stesso tempo estinguersi; qualunque cosa accada, questo è un assoluto innegabile, da nord a sud di un orizzonte mobile, sulla cui mappa si sposta la gente del teatro.

A fine luglio, ai Teatri della Cupa, ho conosciuto Giuseppe Semeraro cui sento il bisogno di dedicare un articolo diverso dagli altri, più personale, più fragile di fronte alla lettura dall’esterno. Ciò accade non per una relazione chissà quanto profonda o esclusiva, ma come esemplare perfetto per dare la misura di ciò che è, quando è, stare in un festival teatrale.

Foto Francesca Randazzo

Semeraro è di Lecce, o forse della provincia, comunque non lontano dai luoghi dove si svolge il festival che la sua compagnia – Principio Attivo Teatro – organizza assieme alla Compagnia Factory Transadriatica. Come molti artisti – tra i quali ricordo proprio alla Cupa Tonio De Nitto di Factory – l’impegno del palcoscenico, da attori, registi o drammaturghi, è spesso accompagnato da quello di operatori culturali, capaci di stimolare la curiosità e i pensieri di un pubblico in crescita. Ai Teatri della Cupa Semeraro, in veste artistica, ha portato al Teatro Comunale di Novoli una propria regia dal titolo Preghiera del mattino – Il culo delle donne nella Bibbia e, poco lontano nel Palazzo Baronale, un proprio testo, Il figlio che sarò, scritto e interpretato insieme a Gianluigi Gherzi.

Preghiera del mattino, testo di Valentina Diana con in scena Silvia Lodi, è un ricco monologo che affronta la condizione femminile nell’Antico Testamento, perché vi sia il riverbero di una trasformazione ancora incompleta rispetto alla parità di genere, nel mondo a noi contemporaneo. Si tratta di cinque quadri, ognuno dei quali dedicato a un diverso personaggio femminile e separato attraverso la scelta di abiti e pochi elementi, affidati alla qualità di una brava interprete come Silvia Lodi, che sceglie la diversa lingua come segno distintivo; ognuna delle cinque storie narrate si fa esemplare, dalla barbarie più violenta alla dolcezza più indifesa le donne celate nel buio di altre esistenze non si lasciano mai andare al lamento perduto, anche di fronte al martirio, ma esprimono in ogni ferita il margine di una resilienza somma, idealmente per le tante donne che ad esse succederanno.

Foto Francesca Randazzo

Le citazioni bibliche in lingua ebraica e la luce dosata in toni di semioscurità identificano un ambiente denso ed elegante, il cui unico vizio è dato da una regia che talvolta offre poche soluzioni, certo al servizio dell’attrice, ma con il rischio di scomparirle attorno. Lo spettacolo ha però il grande pregio di portare attenzione sui diritti negati di donne discriminate fin da tempi antichi, proprio oggi che così urgente è, nel nostro contemporaneo dove prolifera lo sviluppo di culture vessatorie dentro e fuori il mondo occidentale, una sensibilizzazione che si sobbarchi il peso di un mutamento definitivo, in direzione di una società giusta ed equilibrata.

Il figlio che sarò, in contrario, reca il nome di Semeraro come attore e autore – assieme a Gherzi – ma la regia è affidata al salentino, anch’egli, Fabrizio Saccomanno. Si tratta di una storia che riguarda da vicino l’autore, dalla prima adolescenza fino all’età adulta; il tema di fondo è il passaggio testimoniale dall’essere figli al diventare padri, conservando vizi atavici, consuetudini mai assorbite, colpe non redente. Semeraro affonda nei propri ricordi, sulla scena narra dell’adolescente in cui nessuno aveva fiducia, incapace secondo il padre di badare a sé stesso e non finire male, incapace di farsi un futuro; quell’adolescente, in concomitanza con la disabilità del padre, si trova presto a lavorare, presso un panificio, fino a compiere tutti gli errori e imparare, così, a stare al mondo.

Foto Francesca Randazzo

La figura di Gherzi, in un angolo del proscenio rispetto a Semeraro invece seduto al centro a fondo palco, è quella di un professore che ne sa interpretare valore adolescente, il solo che gli mostri fiducia e l’affetto di un padre estraneo, che gli è da modello di esistenza; il professore gli apre dei varchi che il ragazzo saprà, poco a dire il vero, assimilare alla propria vita che sembra dover ripercorrere forzatamente il percorso paterno. Questa è un po’ la questione delicata che Semeraro-Gherzi portano in scena: siamo liberi di diventare e affrancarci dalla nostra origine? O come nella tragedia greca le colpe dei padri non possono non ricadere sui figli? Se lo domanda Semeraro, che recita in scena con una passione profonda e anche dopo, a un tavolino nella piazza principale, quando squilla il telefono ed è sua figlia all’altro capo, mi confida quanto ci sia anche di sé stesso padre, in questo spettacolo su quando era figlio.

Siamo parte di una storia, che dall’arte va alla vita e torna indietro. Mentre scrivo questo articolo mi appare un post dalla pagina social di Semeraro, dedicato alla poesia; così scrive: “…la poesia serve a incendiare i quaderni dove si chiudono le parole. La poesia serve da me a te, quando diventa noi”. Non lo sa, Semeraro, che sto scrivendo questo articolo. Eppure mette a fuoco in poche parole sequenziali – versi sopra altri versi – l’eccezione e la necessità che guidano ogni volta l’atto comunitario, quella funzione magnetica che definisce il contatto e la relazione, quando l’arte è qualcosa che serve, da me a te, e non può far altro che diventare noi.

Simone Nebbia

Teatri della Cupa, Novoli – Trepuzzi – Campi Salentina (LE) – Luglio 2021

PREGHIERA DEL MATTINO
Il culo delle donne nella Bibbia
drammaturgia Valentina Diana
con Silvia Lodi
regia e light design Giuseppe Semeraro
struttura scenica e costumi Silvia Lodi

IL FIGLIO CHE SARÒ
Di e con Giuseppe Semeraro e Gianluigi Gherzi
Regia Fabrizio Saccomanno
Produzione Principio Attivo Teatro

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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