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Quando a teatro l’infanzia sfida il mondo adulto

Riflessioni e commenti da Contemporaneo Futuro, il primo festival del Teatro di Roma dedicato al teatro per le nuove generazioni a cura di Fabrizio Pallara e Teatrodelleapparizioni.

Foto Sabrina Fasanella

«Vorrei che il teatro avesse un tempo più lungo: che ci fosse sempre un prima e un dopo lo spettacolo, che questi prima e dopo diventassero prassi, da vivere all’interno degli spazi teatrali, per parlare di quella che è l’esperienza e non del prodotto in sé, al di là delle categorie di giudizio».
Con questo desiderio di Fabrizio Pallara si apre uno dei momenti di dibattito all’interno di Contemporaneo Futuro, accompagnati dalla dicitura “Teatro e Altrove”, spia della volontà di allargare al mondo lo sguardo su istanze, problemi e idee emersi lungo il percorso del festival.
Operatori e artisti si riuniscono nella sala Oceano Indiano, tagliando fuori l’afa del primo pomeriggio, per dedicarsi proprio a quel momento di confronto che spesso manca.
La suggestione che apre il dibattito è una riflessione sull’ “arte della ricreazione”: quella finestra di autonomia all’interno della scansione scolastica del tempo, rivelatrice dello spontaneo costruirsi di un’identità. Come spiega Roberta Ortolano, insegnante, drammaturga e curatrice dell’incontro, «nel momento in cui suona la campanella i ragazzi e le ragazze sono autonomi, si ricreano nel senso dialettale della parola, si riprendono, si rilassano. Per me è molto interessante osservare quel momento. Finalmente, nel gioco o nello scambio autonomo, creano qualcosa, abitano una possibilità, uno spazio-tempo nuovo in cui imparare in autonomia a crescere». Proprio alla ricreazione può e deve guardare il teatro per le nuove generazioni: «l’arte può rappresentare uno spazio in cui questa capacità creativa di autoformazione incontri e sfrutti gli obiettivi e le tecniche dell’azione scenica».

Foto teatro di Roma. Rautalampi

In un flusso circolare di esperienze, aneddoti e opinioni si delineano i nodi cruciali di quest’arte adulta che vuole parlare all’infanzia. Un comparto, quello dello spettacolo per le nuove generazioni, che resta marginale, relegato a situazioni specifiche, soffocato dalla burocrazia scolastica e ministeriale. Ma probabilmente il motivo di questa posizione a latere è da ricercarsi alla base: è il rapporto intergenerazionale ad essere marginale nel nostro tempo. Da qui l’importanza di un festival come Contemporaneo Futuro, non solo in quanto primo appuntamento del settore nella Capitale, ma perché costruito all’insegna di una riflessione e uno scambio volti a portare in primo piano l’esigenza di una relazione ripensata tra generazioni, osando intersezioni nuove con la critica, la letteratura, gli altri campi della cultura.

Gli interventi in questa sede si inanellano spontaneamente, senza previe prese di parola, rilevando un sentire comune che si raccoglie attorno ad alcune domande fondamentali. Chi sono oggi i bambini? Che rapporto stabiliscono, nel mondo, con l’adultità? Ma anche, di contro, chi sono questi adulti intimoriti dai bambini? Come si inserisce, con quali vocazioni e quali linguaggi, il teatro in questo dialogo? Quali dovrebbero essere i presupposti dell’esistenza di un teatro per le nuove generazioni? Diventa allora preminente la necessità di uno sguardo approfondito e autoriflessivo da parte degli adulti, costretti dai più giovani a mettersi in gioco. Il mondo dell’infanzia, dietro la consueta immagine dell’innocenza e della meraviglia, racchiude un universo di turbamento e incomprensione difficilmente esprimibile: non a caso, è attorno a questi stati d’animo che si intersecano gli spettacoli della programmazione del festival.

Foto Claudia Pajewski

C’è uno stupore condiviso nel riconoscere quel dispiegarsi, a ritroso, di un filo rosso che lega le proposte andate in scena tra il Teatro India e il Teatro Torlonia: vita vissuta, storie reali che incontrano gli archetipi della paura, dell’assenza, della perdita, della ricerca di un’identità. Sono sfide difficili, enormi, da affrontare con “l’anima spicca”, quella che cita Cristina Campo (Gli Imperdonabili, Adelphi, Milano 1987) in un brano la cui lettura accompagna il dibattito. Col cuore, cioè, staccato dal petto, «perché con un cuore legato non si entra nell’impossibile». Campo si riferisce ai personaggi delle fiabe, ma questa “anima spicca” è necessaria anche a chi si dà come missione quella di fare teatro per le nuove generazioni. All’artista che vuole parlare a quell’ignoto che è il bambino, cui non si riconosce ancora lo status di spettatore, ma che privo di sovrastrutture intellettuali è forse molto più incredulo nel senso brechtiano dell’adulto, abituato com’è ad un mondo in cui il concetto stesso di realtà si assottiglia. Per questo all’artista è richiesta un’onestà, una nudità, una vulnerabilità molto più spiccata, che lo metta alla pari di quelle anime in slancio, di quegli occhi vigili, conquistandone l’attenzione e realizzando così un vero scambio.

Esemplare di questo processo di cura e ascolto è lo spettacolo Rautalampi, di Garofoli/Nexus: il racconto autodescrittivo di un’esperienza laboratoriale a contatto con bambine e ragazze rom di Roma, intrecciato a dubbi e difficoltà, vicende autobiografiche e momenti narrativi immaginifici. Lo spettacolo si fa testimonianza di percorsi e inciampi del lavoro teatrale quanto delle adolescenze incontrate, dell’incomunicabilità generazionale e sociale, con il fulcro nella tenera fierezza di Licia, personaggio e insieme comunità.

Foto Sabrina Fasanella. Nuvola

E ancora Nuvola (Compagnia La luna nel letto/ Ass. Cult. Tra il dire e il fare), che tramite il corpo e il suo linguaggio privo delle barriere del verbale traduce con precisione il puro gioco dell’esistere. L’azzurro-oro della danzatrice Annarita De Michele, sguardo accogliente e puro, si staglia in una scena ariosa, in cui si muove diretta da Julie Anne Stanzak, coreografa già danzatrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch. Nella drammaturgia di Katia Scarimbolo riecheggiano poche parole-guida: un giocoso invito alla confessione, nell’intimità di un dialogo con gli elementi che specchiano l’anima, inafferrabile come una nuvola, da rincorrere, lasciandosi sporcare dalla polvere del dubbio e dalla terra del dolore. In un’intensa atmosfera di luce e suono, la danza tratteggia stupori e paure, incertezze e scoperte, slanci e inciampi: l’affanno di proteggere quel piccolo bicchiere colmo di vita, per poi, finalmente, poterlo bere tutto d’un fiato. Molti, durante il dibattito, ritornano sulle immagini e le suggestioni di Nuvola, concordi nel riconoscervi la sintesi condensata dei temi che caratterizzano il rapporto tra adulti e mondo dell’infanzia: la necessità di situarsi, comprendersi, entrare in relazione con l’altro.

Attorno a questi temi si concretizza la vera sfida del teatro per le nuove generazioni: un teatro che non esita a definirsi politico non solo nella vocazione allo scambio con l’infanzia, ma nel proporre al mondo un nuovo modello di adulto, malleabile, capace di ascolto e di messa in discussione delle proprie consuetudini. È politico il senso di un festival come Contemporaneo Futuro, che rimette l’infanzia in un luogo libero da categorizzazioni e si riappropria degli spazi collettivi per farne fucina di cambiamento sociale e artistico.

Sabrina Fasanella

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