banner Veleia Teatro Festival 24
banner NidPlatform 2024
banner Veleia Teatro Festival 24
banner Veleia Teatro Festival 24
banner NidPlatform 2024
HomeMedia partnershipAmbientalismo e retorica, la provocazione di Dynamis

Ambientalismo e retorica, la provocazione di Dynamis

Intervista a Andrea De Magistris di Dynamis che a Pergine Festival 2021 presenterà il 17 luglio Monday: uno sguardo duramente ironico in relazione a una certa retorica green. Materiali creati in Media Partnership.

 

Foto VIttorio Antonacci

Dynamis coniuga la ricerca teatrale ibridandola ad altre forme e linguaggi espressivi. A che punto siete adesso? A quali percorsi vi sentite più legati?

Siamo sempre di più tesi verso l’interdisciplinarietà, tutto ciò che è altro ci interessa, ma questo altro, certamente può passare anche dal teatro. Facciamo parecchi laboratori nei licei, Summer School, università, l’Università Pontificia, monasteri… vorremmo rendere sempre più complessa la nostra natura proteiforme. Intendiamo queste collaborazioni non soltanto come partnership subalterne, a servizio di un opera che non riconoscono, ma vogliamo costruire insieme un sapere integrato con quello dell’altro, aggiungere tessere e fare un mosaico strampalato per la commistione di più linguaggi.

La mobilità è sempre dettata dall’incontro con una tematica, nella difficoltà di approcciare ad altre discipline cerchiamo di allinearla prima di tutto all’orizzonte di senso. Nei momenti ideativi facciamo incetta di reference, dai film ai libri, che per esempio in questo caso hanno visto tra le altre la filosofia di Byung-Chul Han del suo Topologia della violenza (nottetempo, 2020, ndr), o la dialettica borghese di Carnage in cui questo parlare fa uscire la ferocia dei personaggi.

Foto VIttorio Antonacci

Credo che l’artista abbia il compito di opporsi a una sorta di “cadenza d’inganno”, che ti spinge a procedere verso una meta prestabilita, mentre si sposta all’improvviso altrove, inaspettato, direi futuristicamente desiderabile. Come non cristallizzare le forme che continuano ad evolvere. Dynamis è nella sua essenza mobile, un sistema metabolico e, come il nostro organismo, ha bisogno di nutrimenti diversi, forse perché alla base non siamo mai pienamente soddisfatti. Noi come gruppo partiamo e arriviamo al teatro ma nel mezzo ci siamo fatti attraversare dall’incontro con altre discipline e altre esperienze, il teatro in sé e per sé ci sta stretto.

Per rimanere legati a Monday, abbiamo conosciuto alcuni ricercatori di ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile; produttore assieme a Dynamis e Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale,  con il sostegno di Carrozzerie n.o.t, Teatro di Roma, Spazio Rossellini per ATCL Circuito multidisciplinare regionale, Teatro Villa Pamphilj, TIC- Teatri in Comune, ndr) – chimici, ecologi, biologi… – e abbiamo iniziato a condividere con loro dei brainstorming, immaginando un lavoro che partisse dalle tematiche più care a loro. Non abbiamo una conoscenza così specifica anche se ci interessa molto il tema. Per evitare però la realizzazione di uno spettacolo divulgativo o tendenzioso, abbiamo spostato l’attenzione partendo da che cosa abbiamo prodotto durante il nostro lavoro concreto in termini di impatto delle plastiche. Non si tratta soltanto di un’azione sulle idee, il contributo che vorremmo dare non è nell’expertise tecnico-scientifica o una sorta di un ricettario su come l’uomo debba affrontare la natura, ma un ragionamento su quanto le contraddizioni, non solo nostre, siano macroscopicamente evidenti.

 

Foto VIttorio Antonacci

Definite Monday, lo spettacolo che presenterete a Pergine Festival, uno sharing performativo: cosa intendete?

Una cosa non finita, una dissacrazione innanzi tutto verso noi stessi, ma in questa dimensione giocosa, addirittura kitsch a volte, il nostro intento è serio, mai superficiale. Gli attori raccontano loro stessi e parte del lavoro di Dynamis quasi come se fosse un’antologica dei nostri lavori, portando avanti però uno scontro dialettico, in cui emerge un’accusa in primo luogo verso noi stessi attraverso il dispositivo dell’auto-fiction. Si presentano con un tono affabulatorio, autoreferenziale, ma pieno di molte contraddizioni interne: inizialmente amici o forse amanti, iniziano a raccontare la genesi di un progetto, ma subito si scontrano facendo emergere l’idea di un “nemico” come messa in discussione della propria presenza in opposizione all’altro.

Facciamo un po’ il verso dolciastro ai discorsi e alle retoriche sul Green e al micro potere delle relazioni che si insinua attraverso un disturbo narcisistico sul mondo e sull’altro. Del resto, sono convinto che il fanatismo non sia il modo per ottenere né dei risultati concreti né nel riuscire a convincere altri della bontà della causa. Michelle Serres ha scritto un bellissimo libro a proposito, che è stato fondamentale per noi, Il mal sano. Contaminiamo per possedere (Il Melangolo, 2009, ndr), al cui interno parla non solo dell’accumulo di rifiuti solidi, ma distingue anche i rifiuti dolci e i rifiuti linguistico-segnici. Il paese è soffocato dalla spazzatura dei segni, della parola, da slogan, vorremmo far emergere le contraddizioni per dare una prospettiva diversa e ridurre il dittico tra i due attori a qualcosa che non trova soluzione. Una riflessione amara, severa, ma con il sorriso beffardo, affrontato con il carattere dolciastro della retorica. La spazzatura è nel linguaggio, nei segni, in una comunicazione che abusa della parola, e il teatro è il terreno perfetto di questa rappresentazione.

Ancora non ci hai chiesto del titolo! In realtà nasce anche questo da una provocazione: hai presente gli slogan green «Friday for future»? Ecco, l’idea che si debba fare sostenibilità solo nel week end, o solo un giorno a settimana ci pare ridicola, per quello partiamo dal Monday. Inoltre, è legato anche a Jovanotti e al suo Jova Beach Tour, ovvero una serie di concerti in spiaggia molto criticati da ENEA, definiti a basso impatto ambientale (dichiarati completamente plastic free) ma che in realtà hanno devastato zone dunali importantissime, appiattendo e sconvolgendo l’ecosistema di zone a rischio, ma è un assurdo. Jovanotti è il re della retorica dolciastra, le sue canzoni sono state in grado di permeare nel nostro orizzonte culturale come uno tsunami, per questo in scena ci giocheremo a lungo.

Per noi l’ambiente è il campo di battaglia per osservarci, per fare una sorta di “je m’accuse”, come dice Serres; del resto, la parola ecologia etimologicamente riguarda l’ambito della casa, l’òikos, l’intimo, l’inconscio soggettivo che però si lega a quello collettivo, coinvolge tutti. Dunque partiamo da noi, per mancanza non solo di coscienza ma di sguardo su questa cosa; è del tutto soggettivo, ma abbiamo dei dati reali.

Foto VIttorio Antonacci

Il vostro spesso è un lavoro che prevede un alto livello di fisicità; dal punto di vista performativo cosa e se è cambiato durante questo momento storico?

Questo è stato un progetto che ha avuto più revisioni. Influenzati dalla situazione, la nostra vorrebbe essere una denuncia dell’io egotico. Credo che la pandemia ci abbia messo in una condizione che evidenziava l’individualismo e la chiusura già tipici del nostro tempo, come se avesse messo la ciliegina sulla torta. Molte persone erano spaventate dal silenzio, dalla riflessione. In Monday c’è tanta presenza di parola. È un lavoro che ha subito un congelamento in ottobre scorso, parlavamo di ripresa eppure ci siamo dovuti fermare nuovamente a pochi giorni dal debutto a Pergine 2020. Tuttavia, ritengo sia lievitato, è come se avesse un sostrato simile ma la sua anima potrebbe aver acquisito una consapevolezza maggiore. Questo grazie a questo tempo in più e al cambiamento della nostra configurazione interna. Questi due protagonisti sono vulcanici, ma la loro autoreferenzialità nega quella dell’altro. Forse, influenzati da ciò, in questo spettacolo c’è una staticità maggiore, è come se fossero paralizzati, davanti alla scena, venti minuti immobili: una stranezza rispetto al nostro solito, ma è una immobilità costruttiva, per riflettere o meno.

Loro danno una valanga di informazioni, ma non è teatro di parola: è una scelta simbolica. Si tratta di un dialogo molto serrato che poi sfocia in una guerra che vuol fare scomparire l’altro, una dolciastra relazione di contenimento. In questo caso gli attori esplodono in una trasparenza dannosa. Lo definirei uno spettacolo irrisolto, fallimentare perché è fallimentare la relazione con l’altro che presentiamo in scena e che porta poi all’acme finale distruttivo arrivando a una cecità.

L’opposizione amico/nemico non è una distinzione fattuale bensì dell’essere, cioè esistenziale; le contraddizioni (binarie) dei nostri protagonisti rappresentano il micropotere della violenza. Come se il nemico sia la messa in questione di noi come figure… per questa ragione mi devo scontrare con lui, per acquisire la mia misura, il mio limite, la mia figura. Questo micropotere insinuante (amico) si mostra con la dolce politica dell’affabilità fino a precipitare in un processo immunologico distruttivo dove l’approdo è depressivo e si descrive in termini di un disturbo narcisistico senza appigli sull’altro, col mondo, col reale. Gira su se stesso e cede alla minaccia autoreferenziale, paralizzandoci.

Redazione 

Monday, 17 luglio 2021, Pergine Festival. Clicca qui per info e prenotazioni

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Tim Crouch. L’immaginazione aumentata

Alla Biennale Teatro 2024 Tim Crouch porta Truth’s a Dog Must to Kennel, riflessione sulla relazione tra reale e virtuale, indagando il potere dell'immaginazione...