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Oyes: Siamo un po’ tutti Oblomov

Intervista a Stefano Cordella, regista della compagnia Oyes, che a Pergine Festival 2021 presenterà l’8 luglio Oblomov Show, a partire dal romanzo di Ivan Aleksandrovič Gončarov. Materiali creati in Media Partnership.

La vostra compagnia, conosciutasi in accademia e ancora insieme da 10 anni non è un caso poi così frequente. Mi racconti sotto quale spinta è nata e come è cresciuta negli anni?

Oyes si è formata dall’unione di due classi diverse dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano sulla scorta di un progetto che avevo proposto sull’“esperimento del carcere simulato di Stanford”, conosciuto durante i miei studi di psicologia e che mi aveva sempre affascinato. Quindi, una volta finito il percorso assieme ad alcuni compagni attori abbiamo proposto a tre ex allievi diplomati nella stessa scuola qualche anno prima, di collaborare e guidarci in questo processo spettacolare. Nei lavori successivi il gruppo ha deciso di affidarmi la direzione artistica considerando la mia volontà di dedicarmi alla regia: questo ha comportato anche un cambio di rotta sia nel processo creativo che nei temi, diventati molto più aderenti alla sfera del personale o della piccola comunità, come il caso di Va tutto bene, il primo spettacolo da me diretto e creato attraverso una drammaturgia collettiva. Quando abbiamo deciso di confrontarci con Čechov, autore fondamentale nel percorso artistico di Oyes, la scrittura scenica nasceva prima da un grande lavoro di studio del classico e da un’analisi approfondita dei personaggi, cercando quei punti in contatto tra le nostre biografie e il mondo cechoviano. Da questo processo sono nati Vania e Io non sono un Gabbiano, due lavori che ci hanno dato la possibilità di circuitare su tutto il territorio nazionale.

In questo lavoro drammaturgico che parte da improvvisazioni o da rielaborazioni di altri testi, il lavoro attoriale assume dunque sempre più un taglio autoriale. Il testo è scritto sul corpo o trova poi una dimensione letteraria?

Il nostro processo di lavoro parte da una prima fase di scrittura scenica che poi diventa letteraria. Iniziamo sempre condividendo suggestioni, immagini, esperienze personali che ci suggerisce il testo di riferimento. Dopodiché io creo un soggetto e definisco le linee di conflitto per permettere agli attori di improvvisare muovendosi dentro un contenitore drammaturgico. La terza fase è quasi a tavolino e serve ad avere una prima bozza di testo scritto per arrivare all’ultima fase in cui formalizziamo lo spettacolo. Io mi sento più un facilitatore, un organizzatore della drammaturgia, ma poi il testo vero e proprio nasce dalle proposte degli attori sul campo.

In questo ultimo lavoro ispirato al romanzo di Gončarov è stato Dario Merlini ad occuparsi della scrittura del testo dopo la prima fase di improvvisazione. Anche qui abbiamo cercato di avvicinare i personaggi alle nostre esigenze o sensibilità, mettendo il fuoco sui passaggi del romanzo che per noi rappresentano il cuore dell’opera di partenza. Lo studio del testo non è mai solo intellettuale, si costruisce più sul tessuto emotivo e relazionale. Prendi il caso di Oblomov:  sta sul divano, non vuole più saperne né di uscire né di incontrare persone legate al suo passato lavorativo e sociale; l’“oblomovismo” va al di là del lockdown, è una condizione esistenziale, però è indiscutibile come molti di noi in questo periodo abbiano dovuto fare i conti con la propria parte oblomoviana, e paradossalmente proprio adesso che tutto sembra riaprire, sentiamo ancora più la fatica di metterci in gioco.

Voi durante l’edizione di Pergine 2020 eravate stati programmati con Vivere è un’altra cosa, che poi, a causa della seconda chiusura di ottobre non avete potuto più portare in scena. Cosa è cambiato dall’anno scorso?

Avevamo scelto di affrontare Vivere è un’altra cosa per stare molto connessi con quel primo presente, per condividere con gli spettatori una condizione che diventava universale; Oblomov Show, che è lo spettacolo di questa edizione, vi è inevitabilmente legato: anche se non c’è riferimento diretto alla situazione attuale, noi partiamo dal personale degli attori, dunque inevitabilmente si respira qualcosa del nostro tempo.

Noi in quanto artisti – e non solo noi – abbiamo la responsabilità di non rimuovere quello che sta accadendo. Ci dimentichiamo di quello che abbiamo vissuto, parliamo anche di questo senza reagire in modo cieco, io dico: problematizziamolo, mettiamolo nel campo di ricerca, mettiamolo negli spettacoli. Il COVID-19 è stato un frullatore di emozioni, ne siamo usciti fuori con le batterie scariche, e la paura del fallimento è diventata molto più alta, appena siamo usciti da quel momento di protezione, quella spinta di entusiasmo che vivevamo all’inizio è scemata.

È chiaro che non ci aspettavamo di rimanere chiusi così fino a maggio, anche se la paura ricominciava a caratterizzare i discorsi collettivi. Già quella chiusura è arrivata come una mazzata perché a giugno c’era stata la scintilla per ripartire, difatti, noi avevamo lavorato in estate per mettere in scena Vivere è un’altra cosa; abbiamo potuto fare soltanto un paio di repliche per poi rifermarci definitivamente. Avevamo ancora diverse date ma essendo ripartiti soltanto in questo periodo – in cui avevamo già previsto di occuparci di Oblomov Show – abbiamo dato priorità a questo spettacolo. Essendoci rifermati a ottobre scorso, è cambiato nuovamente il rapporto con il lockdown, Vivere… è diventato quasi un reperto; speriamo di rifarlo presto ma sentivamo come necessario il passaggio dall’uno verso l’altro, orientando il nostro discorso verso una ripartenza.

Cosa vuol dire per un’impresa culturale vivere questo momento storico?

È un periodo molto complesso, noi abbiamo avuto la fortuna di strutturarci molto, siamo diventati compagnia ministeriale (Oyes è riconosciuta come Compagnia under 35, ndr), abbiamo vinto diversi premi, prima della pandemia riuscivamo anche a fare 50, 60 repliche all’anno. Oggi ovviamente ci troviamo ad avere molte meno date in programma e anche la sostenibilità economica della compagnia ha subito un duro colpo. Ci scontriamo con un panorama chiuso che in questo momento ha dovuto scegliere nelle programmazioni o monologhi o nomi che possono portare garanzie, un passo indietro rispetto al percorso precedente. Tuttavia stiamo cercando di lavorare sulle possibilità che ci offre questa crisi, anche sperimentando strade produttive differenti. Abbiamo molti progetti in cantiere e avere un gruppo con cui immaginare, confrontarsi e sostenersi è senza dubbio un nostro grande punto di forza.

Redazione

Oblomov Show, 8 luglio 2021, Pergine Festival. Clicca qui per info e prenotazioni

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