Nell’ambito del Progetto Incroci, tra inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca, il reportage dal terzo e ultimo laboratorio, avvenuto a Mantova negli spazi di Teatro Magro
Il progetto Incroci, il cui capofila è Teatro Magro di Mantova, in partenariato con Asinitas Onlus di Roma e Progetto Amunì-Babel di Palermo, grazie al sostegno di Fondazione Alta Mane Italia, intende attivare linee di inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca attraverso le arti performative. Da marzo a ottobre le attività riguarderanno tre progetti laboratoriali (condotti da Flavio Cortellazzi, Fabiana Iacozzilli e Giuseppe Provinzano), l’incontro tra i diversi gruppi in fase creativa e durante le presentazioni al pubblico, l’ideazione di tre giorni di riflessione con la Migra.Art Lab.Conferance che si terrà presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo. Teatro e Critica, media partner del progetto Incroci, accompagnerà le realtà coinvolte in una serie di approfondimenti e interviste durante tutto il processo di ricerca, attraversando le pratiche creative degli artisti e dei gruppi coinvolti, gli incontri di scambio, le presentazioni, gli interventi.
Il Reportage del terzo e ultimo laboratorio del Progetto Incroci: a Mantova il gruppo di Teatro Magro guidato da Flavio Cortellazzi ha lavorato per due giorni con Giuseppe provinzano alla guida del gruppo di AmunÌ-Babel di Palermo, alla presenza di alcuni suoi ragazzi e ragazze e dell’équipe di ricerca.
«Ai fini del nostro studio l’aspetto interessante nei fenomeni di liminalità è la mescolanza di umiltà e sacralità, di omogeneità e solidarietà che essi offrono. In questi riti ci appare “un momento dentro il tempo e al di fuori del tempo”, dentro e fuori la struttura sociale secolare, che rivela, anche se in modo fugace, il riconoscimento (per simboli, se non sempre nel linguaggio) di un legame sociale generalizzato che ha smesso di essere e contemporaneamente tuttavia deve essere suddiviso in una molteplicità di legami strutturali». Victor Turner nel suo Il processo rituale (1972) non poteva descrivere con maggiore pertinenza le due variabili che hanno interessato la pratica di queste tre incursioni tra i gruppi: struttura e liminalità. Il “dentro” di cui parla l’antropologo, in questo caso, è la due giorni di residenza a Mantova, terzo e ultimo momento di scambio del Progetto Incroci in cui la casa di Teatro Magro ha aperto le porte ai ragazzi e alle ragazze da Roma di Asinitas Onlus e da Palermo del Progetto Amunì-Babel. Il fuori, è quello della prima settimana di maggio, con le attese riaperture alle porte e la consapevolezza di portare avanti insieme un’avventura multiforme, che si appresta alla presentazione a luglio degli esiti dei tre laboratori durante Santarcangelo Festival 2021.
Individueremo allora come “struttura” quella propria a ciascuna delle tre realtà (Asinitas Onlus, Teatro Magro e Amunì-Babel) stratificatasi attraverso la conoscenza reciproca, il tempo condiviso insieme, il luogo abitato per le prove, la rete relazionale vissuta separatamente in ciascuna delle comunità che si sono costruite in questi mesi. Parleremo di “liminalità” invece, indicando quello «spazio intermedio» di ambiguità e indeterminatezza proprio al momento di incrocio e scambio avvenuto prima a Palermo, poi a Roma e per finire a Mantova. Durante gli incroci, il lavoro, le idee, le posture, i racconti provano la loro capacità di mettersi in relazione, di fuoriuscire dall’abitudine e dalla norma finora seguita, rompendo il legame iniziale con il gruppo di appartenenza e costruendone un altro di nuova natura. Un passaggio iniziatico tramite il quale avviene una trasformazione. Negli interventi conclusivi, diranno a proposito, e con estrema chiarezza, Agata e Noemi di Teatro Magro «usciamo dai nostri confini per incontrare la diversità e accrescere la consapevolezza del luogo che abbiamo scelto». Questi incroci non sono allora dei viaggi fatti per poi tornare a casa?
«Lì succedono tante cose, sia sul palco che fuori. Mi ritengo fortunato (soprattutto in questi tempi), perché questa modalità mi permette di entrare e uscire da un contesto in cui si può fare teatro in maniera molto pura ma con un grande potenziale creativo»: così ci raccontava Giuseppe Provinzano mesi fa quando spiegava la quotidianità del suo lavoro coi ragazzi e ragazze di Amunì-Babel, e quella duttilità dell’insegnamento è stata linea guida dell’approccio seguito per entrare in dialogo con il gruppo a Mantova. Dopo il riscaldamento pratico in cui sono state ribadite le regole inerenti la velocità, l’ascolto, la memoria, l’interazione, lo sguardo – gettando delle basi comuni che fossero complementari a quelle seguite da Flavio Cortellazzi per l’incontro tenutosi a Roma – Provinzano inizia ad approfondire quella dinamica della conoscenza che partendo dalla memorizzazione dei nomi di ciascun ragazzo e ragazza passa gradualmente alla definizione delle singolarità in gioco, iniziando a cimentarsi nella pratica del View Points. Partire dal proprio punto di vista, da se stessi e relazionarsi con le possibilità, fallibili, dell’incontro con gli altri, con il niente e il tutto: il proprio corpo è inserito in uno spazio modificato a sua volta dal corpo stesso. Possibilità e libertà rischiano a volte di collidere e dare sfogo a un gioco che può dimenticarsi presto delle regole date in precedenza; per questo è bastato poco a rendere la coscienza del limite il pretesto per abbandonare una situazione di controllo della pratica e finire nell’orizzonte del “tutto è permesso”. Tuttavia, questo è stato un espediente funzionale a traslare l’individualità nella collettività, dai corpi singoli al corpo unico, quindi coro.
«Musicalmente ho cercato di “tirarli fuori” dallo schermo virtuale facendoli lavorare su quella dimensione corale e corporea. Mi sono reso conto che è una generazione digiuna dell’ascolto e con difficoltà nell’interazione, che predilige la “cultura del messaggio vocale”: una cultura del turno, del profluvio di parole che l’altro/a ascolta quando vuole. Per questo il lavoro fatto a Mantova ha insistito sulla comunità abbandonando il solipsismo della community, imparando a battere le mani e il tempo insieme, e non per sincronia ma sintonia». Il piano musicale sul quale lavora il musicista, performer e cantautore Sergio Beercock all’interno del progetto Amunì-Babel parte da questi assunti, che in questo terzo Incrocio sono stati finalizzati alla composizione di un «paesaggio sonoro», dimensione che ha reso le parole scelte dai ragazzi e ragazze un canto in cui la parte esteriore (presenza, postura, ruolo) entra in contatto con la parte interiore (intimità, voce, corpo). Non è un caso che l’interrogazione della propria narrazione identitaria – indagata anche nello spettacolo Visitors sul quale sta lavorando Flavio Cortellazzi – venga inserita all’interno di una dialettica comunitaria proprio durante l’ultimo scambio, conseguenza data da una sedimentazione temporale delle pratiche finora attuate che ha determinato una maggiore coscienza della propria partecipazione al progetto. Coscienza con la quale sono state riempite le lettere scritte di loro pugno dai ragazzi e dalle ragazze e che si sono scambiati nel corso delle tre tappe, al fine di raccontare l’esperienza fatta ai compagni e compagne del gruppo che sono rimasti/e a casa.
Proprio nei due giorni a Mantova, i tre focus multilinguismo, narrazione del sé, perché sono qui? sono stati compresi stavolta in una fluidità relazionale, aperta all’errore, al pensiero e alla sua maturazione, ed è stato stimolante da parte degli operatori e operatrici esperire una diversa temperatura percettiva, una profondità di riflessione tanto nelle azioni che nelle discussioni. Si è parlato di finzione e falsità scenica, di pensiero politico, di come vivere la città e il viaggio. I ragazzi e le ragazze hanno confermato poi la tranquillità data dalla «mancanza della finalità scenica» di questi scambi; pause, come le ha definite Lorenzo – uno dei ragazzi di Teatro Magro – da una sistematicità; o come Elia, che ha parlato della «bellezza del rallentare». Ecco quindi che le parole di Samuel, «l’arte aiuta a stare nel sociale con un progetto come questo che è di insegnamento e conoscenza per tutte e tutti», dialogano con quelle iniziali di Turner: «la vita sociale è un tipo di processo dialettico (…) di communitas e di struttura, di omogeneità e differenziazione, di uguaglianza e disuguaglianza. (…) In altre parole, nella propria esperienza di vita ogni singolo individuo si trova esposto alternativamente alla struttura e alla communitas, a stati e a transizioni».
Redazione
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Qui un video trailer dal laboratorio Incroci a Roma. A cura di Giuseppe Galante