Pubblichiamo il testo che la Rete lavorat_ spettacolo cultura sta leggendo in alcuni teatri romani prima degli spettacoli
La Rete lavorat_ spettacolo cultura (soggetti e collettivi che a Roma si stanno occupando di portare avanti da più di un anno la lotta per i diritti nello spettacolo e della cultura, tra le loro azioni l’occupazione del Globe Theatre) sta diffondendo un comunicato da leggere prima degli spettacoli. Il testo è stato letto già alle riaperture del Teatro Argentina e Teatro India: le attiviste e gli attivisti chiedono di stamparlo e leggerlo sui palcoscenici che stanno tornando ad accogliere il pubblico per creare un momento di riflessione e sensibilizzazione. Qui info e i video delle letture.
IL TESTO:
Care spettatrici e spettatori,
prima che possiate fare esperienza delle voci e dei corpi che animeranno questo palco, vogliamo dirvi alcune cose. Vi è mancato il teatro? Anche a noi. Questo che vi chiediamo di ascoltare però non è uno spettacolo, non è una performance, non è un monologo. Non è un coupe de théatre.
Cogliamo l’occasione di essere qui, oggi, in uno dei pochi luoghi che hanno la possibilità di ripartire, non per bloccare il frutto del lavoro di colleghe e colleghi, ma perché abbiamo l’urgenza di condividere con voi qualcosa che riguarda tutte e tutti: l’estinzione della cultura, un processo iniziato ben prima della pandemia, ad opera di politiche sorde che ne rinnegano la natura di bene comune, necessario per la cura della collettività.
L’ecosistema culturale, sistematicamente appiattito dalla politica, è composto da una costellazione di associazioni, compagnie indipendenti, luoghi di formazione, luoghi di produzione, festival, teatri privati, piccoli spazi pubblici, che costituiscono la linfa vitale delle nostre comunità. E che oggi sono costretti a restare chiusi.
Chi siamo? Siamo la moltitudine varia ed eterogenea di chi lavora nello spettacolo dal vivo e nella cultura. Siamo corpo e voce di coloro che da più di un anno si mobilitano e si riversano nelle piazze, provando a trasformare ciò che lo riguarda.
E’ stato questo nostro corpo collettivo ad occupare il Globe Theatre di Roma per cinque giorni, con l’obiettivo preciso di continuare a disfare e rifare il mondo, rimettendo in circolo un’aria finalmente diversa: fresca, stratificata, in movimento. Ma come stiamo? Come tante e tanti altri lavoratrici e lavoratori che come noi, sono in una condizione di precarietà strutturale, tra tutele inesistenti, normative contraddittorie, sostegni insufficienti ed escludenti.
Viviamo la violenza, facciamo esperienza di sfruttamento e abusi, ci muoviamo all’interno di meccanismi quantitativi basati su profitto e iperproduttività, negando la dignità di chi lavora.
Noi, che questo lo viviamo tutti i giorni, non possiamo più accontentarci di tornare semplicemente a respirare. Noi pretendiamo di poter determinare e trasformare la qualità di quella stessa aria che respiriamo.
Per questo negli ultimi tempi ci stiamo facendo una domanda nuova: cos’è che vogliamo?
Vogliamo una riforma strutturale del settore che parta dalle necessità delle lavoratrici e dei lavoratori, mettendo al centro quella sicurezza, fisica e contrattuale, che non abbiamo mai avuto. Non vogliamo cedere al ricatto tra lavoro e salute. La nostra sopravvivenza non può più dipendere da quanto produciamo.
Rivendichiamo il diritto a un reddito continuativo, a una formazione retribuita e permanente.
Pretendiamo che il tempo, tanto, che dedichiamo alla ricerca e allo studio, venga considerato lavoro.
Difendiamo l’esistenza di spazi di produzione artistica e culturale che attualmente restano esclusi dai finanziamenti pubblici, distribuiti ancora secondo criteri improbabili.
Vogliamo strumenti contro le discriminazioni e le disuguaglianze tra soggetti, e vogliamo che l’arte e la cultura siano accessibili a tutte e a tutti.
Stiamo immaginando modelli virtuosi, sostenibili e fondati su pratiche collaborative dal basso, che possano essere replicabili anche in altri ambiti.
Questa non è una battaglia esclusiva della nostra categoria.
Non abbiamo bisogno che i teatri riaprano se non esistono le condizioni per farlo in sicurezza. La ripartenza indiscriminata penalizza le esperienze più fragili e alimenta la competizione.
Presto questo panorama finirà per desertificarsi. E perché questa aridità non ci sommerga, è il tempo di rimettere la felicità e i desideri al centro del nostro agire politico.
Noi che oggi siamo tornat_ a condividere questo spazio, siamo già da sempre
un corpo collettivo, che va ben oltre questo luogo fisico perché tiene insieme
altre lotte, altre soggettività, altre esperienze.
Per questo, vorremmo che vi alzaste e prendeste parte a questo processo, vorremmo che ci guardassimo, che ci riconoscessimo, che volgessimo lo sguardo nella stessa direzione.
Se frequenti corsi di danza, teatro, musica.
Se vuoi che l’arte entri sempre più nelle scuole.
Se prima della pandemia hai mai visto uno spettacolo di arte di strada.
Se vuoi tornare nel teatro del tuo quartiere.
Se conosci un* lavorat* dello spettacolo che nell’ultimo anno ha perso il lavoro.
Se anche tu sei una precaria e ti barcameni tra mille collaborazioni occasionali e in nero.
Se subisci violenze e abusi per il tuo orientamento sessuale o di genere. Se il tuo corpo non è sano e performante come la norma impone.
Se il colore della tua pelle o la tua provenienza culturale non ti permette di accedere ai diritti di cui godono le altre e gli altri.
Se ami l’arte, la cultura, lo spettacolo dal vivo.
Eccoci. Come vedete, questa lotta ci riguarda.
Teniamo alta questa vibrazione per risuonare insieme, portiamola fuori, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, negli spazi culturali.
Continuiamo a rifare il mondo.
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