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#sottocento. I teatri sono nel mondo. Non fuori

#sottocento. Inchiesta sui piccoli spazi teatrali indipendenti a un anno dalla pandemia. Nel 10° appuntamento risponde il Teatro I di Milano.

#sottocento vuole indagare insieme alle direzioni artistiche degli spazi più esposti (piccoli teatri, indipendenti, ecc.), quali siano state le problematiche affrontate e da affrontare, quali le strategie di sopravvivenza messe in atto – economiche  artistiche e umane. Leggi l’introduzione completa

Abbiamo posto le 6 domande di #sottocento a Francesca Garolla, dramaturg e autrice presso il Teatro I.

Abbiamo chiesto ai teatri intervistati di mandarci la foto di una loro poltrona, o sedia di platea, con un oggetto simbolicamente importante.

Quali attività avete messo in campo per reagire a quest’anno di pandemia?

Inizialmente abbiamo fermato le attività, alla ricerca di strategie alternative sebbene confusi dalla situazione e dalle notizie contrastanti, come tutti, del resto. Col tempo invece, soprattutto quando si è potuto riaprire, anche se a capienza molto ridotta (e quindi in una modalità per noi del tutto insostenibile), abbiamo ideato una sorta di “stagione” alternativa: PubblicAzione. Ci siamo detti: rendiamo pubblico il nostro lavoro sommerso di ricerca drammaturgica, lavoriamo sulla comunità, quella vecchia e quella nuova, perché non vada perduta nella mancanza di confronto e scambio, proviamo a creare un progetto culturale che non sia solo un interregno in attesa della “normalità” ma che possa costruire qualcosa oggi per poi proseguire nel tempo che verrà. Da questo è nato Pubblicazioni, progetto volto alla costruzione di una Biblioteca online per testi di drammaturghi ancora poco conosciuti, all’interno della quale abbiamo identificato  (grazie al coinvolgimento di un Comitato di lettori esperti e soprattutto di una comunità di ben 100 lettori/lettrici-spettatori/spettatrici quindi non operatori di settore)  cinque drammaturgie che diventeranno podcast scaricabili dal nostro sito e, oltre a questo, Emersioni – dialoghi tra attrici di generazioni e visibilità diverse.

Abbiamo cercato, insomma, di utilizzare i mezzi digitali non tanto come veicolo dell’attività tradizionale, quanto come strumento e linguaggio utile a sperimentare progetti nuovi.

Quali contributi statali, regionali o comunali siete riusciti a intercettare?
Teatro i è un teatro convenzionato con la Regione Lombardia e con il Comune di Milano ed è sostenuto dal Ministero della cultura come compagnia di produzione. In maniera non scontata, come si sa, questi enti hanno confermato i loro contributi anche per il 2020.  Per il 2021, al momento, non ci sono ancora linee sicure, ci auguriamo però che si mantenga lo sguardo aperto, puntato ad un orizzonte più ampio, non estemporaneo e non solo emergenziale, che tenga in considerazione le difficoltà di chi gestisce uno spazio piccolo e sta creando comunità in modi alternativi: sarebbe giusto che venisse riconosciuta anche l’attività non prettamente teatrale. Abbiamo ricevuto anche piccoli ristori proporzionati alla nostra attività pregressa all’emergenza e abbiamo potuto accedere alla cassa integrazione per i dipendenti più strutturati (in ogni caso, solo tre): ciò ci ha permesso almeno di mantenere il nucleo di dipendenti che hanno un’attività più continuativa. Al contempo è evidente la criticità che colpisce tutti gli operatori – gli attori, i tecnici, gli autori ecc. – che non erano e non sono legati continuativamente ad una struttura e quindi non possono accedere a sostegni come la Fis. In questo momento storico le differenze interne al settore (e ai ruoli esistenti, in questo settore) si sono enormemente acuite.

Valutando la situazione attuale dal punto di vista economico e organizzativo, quanto potete sopravvivere ancora?
Per sopravvivere, oggi, non si può far altro che gestire al meglio (e al risparmio) le risorse che ci sono e che verranno. Nel caso in cui la situazione continui ad essere così critica o ci fosse una riapertura  con gli stessi limiti di quella della scorsa estate, ma non ci fosse un ripensamento effettivo dei parametri che gli enti richiedono per ottenere i finanziamenti, allora sì, dovremo riflettere bene su come ripensare la nostra attività e su come sopravvivere. Parte integrante del nostro lavoro è la creazione di comunità, la creazione di comunità deve essere il primo obiettivo nella gestione dell’organizzazione di un teatro, ma quando si è troppo occupati a cercare di non morire è molto difficile aprire lo sguardo e creare qualcosa. In un momento di emergenza economica (e non solo) si può resistere, ma quando l’emergenza diventa parte integrante del sistema ha senso farlo? È possibile farlo?
Con le condizioni sanitarie attuali riaprireste il vostro teatro?
Le  condizioni attuali non permettono una riapertura, come del resto non permettono una socialità normale, non permettono libertà di azione, di spostamento e, in definitiva e a dirla tutta, non permettono di scegliere. Se fosse possibile, se fosse sostenibile, se fosse regolamentato in maniera corretta e tutelante per le strutture, riapriremmo, certo. Ma non si tratta di intenzione, si tratta di costruzione: quale è il progetto collettivo per il tempo che verrà? Ogni realtà teatrale continuerà a pensare solo alla sua individuale sopravvivenza? Ci sarà un’azione di sistema? Riaprire non è aprire la porta del teatro, riaprire è aprire la porta per condividere un progetto culturale che deve essere connesso al tempo che attraversiamo e alla comunità a cui si rivolge. E il tempo e la comunità di oggi sono travolte da quello che sta succedendo, bisogna tenerne conto: i teatri sono nel mondo, non fuori dal mondo.
Cosa chiedete adesso alla politica nazionale, agli enti locali e alle grandi istituzioni culturali (teatri pubblici, musei, università, fondazioni….)?

Agli enti si chiede un pensiero e un investimento pensato su un futuro a lungo termine: è necessario che i fondi privati vadano a sostegno degli investimenti pubblici e che gli investimenti siano gestiti al di là dell’estemporaneità e in relazione ad una reale mappatura del sistema, che è fatto da realtà eterogenee per vocazione, grandezza, linguaggio e tutte, tutte contribuiscono al panorama culturale.  La politica ne è consapevole?  Se non lo è (e non sempre pare che lo sia) questo è il momento per diventarlo, il tempo degli spettacoli si è interrotto ma non può interrompersi il tempo della riflessione, della ricerca, della strategia. Le criticità di questo settore nascono ben prima della pandemia, facciamo finta che non ci fosse il tempo per affrontarle, bene, adesso c’è e non ci sono più giustificazioni valide. Le istituzioni devono ri-costruire il sistema insieme a chi, quel sistema, lo fa vivere, e per farlo devono iniziare a conoscere i soggetti che lo compongono, tutelandoli.

Ci raccontereste un’attività, messa in campo in questo periodo da un’altra realtà teatrale, che vi ha interessato o colpito?
Le iniziative messe in campo sono state molte, alcune sommerse ed altre più visibili. Non sappiamo dire quale, in particolare, ci abbia colpito: ci colpisce la differenza, come sempre, e la capacità di reagire al tempo che si ferma senza, per questo, fermare il pensiero. Le realtà teatrali hanno lavorato sulla memoria, costruendo archivi e diffondendoli, sul presente, inaugurando ricerche che porteranno a spettacoli, e sul futuro, grazie a progetti innovativi rivolti anche a nuove comunità: tutte queste cose insieme, anche oggi, nell’impossibilità di fare spettacolo, non fanno altro che raccontare quanta ricchezza ci sia nel sistema teatrale. Questo ci interessa.
Teatro I (Milano) per #sottocento

Sei un teatro indipendente e vuoi partecipare all’ inchiesta #sottocento? Scrivi a redazione@teatroecritica.net per inviare le tue risposte e allega anche un’immagine di una seduta della vostra platea sul quale è visibile un oggetto importante per la vostra storia e il vostro presente.

Leggi le altre interviste dell’inchiesta #sottocento

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