ADARTE, compagnia di danza toscana, ha trascorso un periodo di prove finalizzato alla nuova produzione che sarà presentata in anteprima quest’estate. Il racconto del processo creativo seguito per la prima volta attraverso la piattaforma Zoom
All’iniziale stupore per la richiesta, non mi era mai capitato di seguire delle prove da remoto, mi ha subito incuriosito l’opportunità che mi si presentava. Da più di un anno abbiamo esteso la nostra realtà abbracciando la dimensione virtuale e quindi, se in un altro frangente storico la proposta mi sarebbe sembrata riduttiva dal punto di vista esperienziale, ad oggi posso affermare che, seppure con le evidenti differenze e fisiologici adattamenti, osservare e contribuire a distanza alla costruzione di un archivio performativo che attraverso uno schermo si pensa, dispiega, decostruisce e muta quotidianamente, è sicuramente un tassello aggiunto all’esercizio dello sguardo. Imprevedibili sono le possibilità che un contesto come quello pandemico, dominato da una latente apatia, da un noioso incedere, ondata dopo ondata, sta gradualmente generando e che mettono in discussione, con inattesa sorpresa, paradigmi già assodati.
Il primo incontro con le fondatrici della compagnia Toscana ADARTE, Francesca Lettieri e Paola Vezzosi, è avvenuto nel mese di novembre, momento in cui mi è stato proposto di seguire tramite piattaforma Zoom un ciclo di prove finalizzato alla produzione del loro ultimo lavoro. Lettieri e Vezzosi si sono conosciute circa una ventina di anni fa alla Biennale di Venezia come allieve di Carolyn Carlson (allora direttrice della sezione Danza), entrambe laureate in legge a seguito dell’esperienza in Biennale hanno deciso di fondare in Toscana una compagnia di danza, e così nel 2002 è nata ADARTE. Questa nuova produzione firmata da Paola Vezzosi dal titolo ancora provvisorio Perdutamente sarà presentata in anteprima (in forma e con cast ridotto rispetto alla versione definitiva ancora in fase di creazione) il prossimo 27 giugno in provincia di Siena al Festival Internazionale di danza contemporanea in spazi urbani Ballo Pubblico diretto da Francesca Lettieri nell’ambito del Festival Piazze d’Armi realizzato da Comune di Poggibonsi e Fondazione E.l.s.a. La prima data toscana della creazione integrale in forma di quartetto con i danzatori Lorenzo Di Rocco, Isabella Giustina, Jennifer Lavinia Rosati e Valentina Sechi, sarà invece inserita in cartellone all’interno della Stagione Danza 2021/2022 del Teatro Cantiere Florida curata da Versiliadanza.
La mia “residenza desituata” coi danzatori e la coreografa Paola Vezzosi inizia il 30 novembre e per cinque giorni consecutivi, tutti i pomeriggi dalle 14 alle 17, 17.15 circa, “entro” in sala con loro. Una volta la mia immagine presente nello schermo dell’Ipad è seduta su una sedia, un’altra a terra vicino la sbarra, un’altra ancora mi spostano su un armadio affinché sia in grado di vedere al meglio i movimenti. È straniante certo, ma molto divertente. Già il primo giorno, sin dal consueto giro di presentazioni, si connota subito come inusuale: loro con indosso la mascherina durante l’esecuzione delle partiture di movimenti e i dialoghi tra una prova e l’altra, mentre io in video che seguo attentamente i passi e faccio attenzione al modo in cui i gesti si riflettono sullo specchio della loro sala prove e poi sul mio schermo: un gioco di riflessione, sotto tutti i punti di vista. Il lavoro nella sua fase embrionale è il risultato di una raccolta di pensieri scaturiti in relazione alla dialettica eros e thanatos, amore e morte, studiata sia attraverso la lente socioantropologica degli studi di Ernesto de Martino che la poetica shakespeariana di Romeo e Giulietta. Trovando nel testo Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria la base letteraria di un’indagine che individua nella crisi del cordoglio e nel cosiddetto «stato di ebetudine stuporosa» le sue variabili narrative, la coreografa concentra l’attenzione sullo studio di una gestualità in equilibrio tra il rituale di contenimento del dolore e la furia parossistica.
La caratura precipua del movimento e l’eterogeneità stilistica dei quattro interpreti (Lorenzo Di Rocco, Isabella Giustina, Jennifer Lavinia Rosati e Valentina Sechi) subito si palesa nella sua pronta reattività tanto agli stimoli impartiti da Vezzosi che alle mie impressioni. Questa modalità straordinaria di confronto tra me e il gruppo avviene sempre tramite il filtro della virtualità, del quale bisogna tener conto ai fini dell’esperienza di entrambi perché, soprattutto nel caso dell’osservazione di una coreografia, potrebbe inficiare sia la fruizione di colui o colei che guarda che la dialettica di restituzione. Nella prima fase, il lavoro sulla partitura avviene su due rispettivi piani: quello dell’emulazione di una frase coreografica data e quello dell’improvvisazione relativo al procedere nel pianto. Metodologia che subito determina nei danzatori una risposta mnemonica ai movimenti fissati e il loro conseguente isolamento e successiva selezione. Nel corso delle giornate, e nell’esposizione di passi a due e/o quartetti, emergono nella gestualità le venature interpretative della tematica relativa all’elaborazione del lutto, espressa sia nella cura verso la fragilità dolorosa che nella sua irosa e impulsiva reazione, senza alcuna ridondanza retorica o eccesso di pathos. Nonostante gli interpreti iniziano proprio in quei giorni a lavorare insieme per la prima volta, la maturità di questo ensemble scelto da Vezzosi si afferma nella capacità di sintetizzare i due già citati piani di azione (emulazione e improvvisazione) all’interno di una spiccata coralità di ascolto reciproco e apertura verso l’imprevisto, verso anche i miei interrogativi e le mie ipotesi di cambiamenti o prove, sempre accolti con slancio e consapevolezza, umiltà e tensione.
Sensibilità scenica che, terminati i primi cinque giorni di residenza nel mese di novembre, è stata poi indispensabile nella successiva fase di prove tenutasi a febbraio quando quella consapevolezza del gruppo a percepirsi come corpo unico ha permesso alla coreografa di sperimentare ulteriori deviazioni e allontanamenti, decostruzioni e tentativi “disturbanti” rispetto al materiale performativo già elaborato. In attesa di poter assistere dal vivo alla sedimentazione del percorso, e in questo limbo temporale d’incertezza rispetto all’apertura dei teatri, è indubbio che l’opportunità di seguire un simile iter di conoscenza, sperimentazione, consolidamento e creazione di un archivio performativo, ha rappresentato un momento di contatto atteso e quotidiano con la pratica scenica che ha permesso di mantenere vivo, anche se virtualmente, la prosecuzione dell’indispensabile studio dei processi e del loro naturale dispiegamento.
Lucia Medri