Edipo: io contagio è la mostra performativa vista a Genova, Palazzo Ducale curata da Davide Livermore. Una riflessione
Quando si scendono i pochi gradini che conducono nelle sale in penombra del Sottoporticato del Palazzo Ducale di Genova, si ha quasi la percezione di fare una piccola catabasi dentro il regno dei morti. L’impressione è ravvivata dalla recente mostra performativa Edipo: io contagio, che racconta al pubblico l’Edipo re di Sofocle e le sue risonanze potenziali con la crisi pandemica attuale, curata dallo stesso Davide Livermore insieme a Margherita Rubino e Andrea Porcheddu. Nelle sei sale dei locali del Sottoporticato, infatti, gli spettatori ripercorrono il senso di orrore, morte, impotenza che tale tragedia porta con sé e non è troppo diverso dall’atmosfera che pervade la crisi sanitaria contemporanea. Muri imbrattati di sangue con alcuni sentenziosi versi sofoclei, la statua di un cavallo stramazzato che ha appena vomitato la vita, cadaveri di bestie maciullate sono solo alcuni espedienti visivi che permettono di annodare passato e presente col filo dell’inquietudine.
Per un pubblico inesperto del teatro di Sofocle, la mostra costituisce una buona introduzione al mito di Edipo, dunque un’operazione di divulgazione culturale da accogliere con favore. Soprattutto, però, in un periodo in cui i teatri continuano a restare chiusi, essa costituisce un autentico toccasana emotivo per chi attende di nuovo di potersi riunire con altri davanti alla scena. La mostra è del resto detta “performativa” perché il pubblico che si avventura dentro le sale del Sottoporticato incontra attrici e attori imprigionati dentro teche trasparenti, mentre recitano una selezione di alcuni versi dell’Edipo re, tratti perlopiù dalla prima parte dell’opera. La selezione isola soprattutto le parole del coro che invitano Edipo a indagare sulle cause della pandemia e il confronto con l’indovino Tiresia, il quale gli rivelerà che la causa del contagio è egli stesso.
La scelta di concentrarsi solo sulla prima parte della tragedia è forse motivata dal fatto che la mostra performativa intende invitare il pubblico all’indagine. Nella versione di Sofocle, infatti, il confronto con Tiresia fa solo da preludio all’azione. Edipo non vuole ascoltare la verità che riceve dall’indovino e solo nella seconda parte si mette a indagare per scoprire la causa del contagio, arrivando però a confermare che è proprio lui stesso. La tragedia mostra, pertanto, il primato dell’induzione sulla rivelazione, dello sforzo autonomo di capire sul dono divino. La mostra è allora “performativa” in un senso simile a quello che era per Sofocle. Il pubblico di Edipo: io contagio deve imitare Edipo e scoprire da sé che siamo noi la causa della pandemia. Nessun dio verrà con una risposta pronta a placare l’ignoranza – e se anche arrivasse, forse non crederemmo all’amarezza del suo responso.
Non mancano nondimeno dubbi sul piano del contenuto. È ad esempio discutibile la quasi totale omissione del tema del destino, in pieno appartenente al mito edipico, che per estensione getta qualche ombra sulla congruenza del parallelo tra il contagio descritto da Sofocle e la pandemia contemporanea. Durante la mostra, il concetto non emerge che in modo marginale durante il confronto Edipo-Tiresia, che invece nella poetica sofoclea è decisivo. La tragicità della peste dell’Edipo re deriva dal fatto, dopo tutto, che questa era stata destinata al principio e che ogni tentativo di sfuggirle finisce in un suo paradossale inseguimento. La libertà risiede solo nella scelta se accettare il fato, o se combattere e soccombervi. Di contro, non abbiamo segni che l’attuale pandemia da Covid-19 sia altrettanto “fatale” e, dunque, che il destino tragico di Edipo sia uguale al nostro. L’impressione è anzi che la catastrofe poteva essere evitata, o che molto poteva esser fatto per contenerla. Oltre a somiglianze indubbie tra il destino di Edipo e il nostro tempo, vi sono evidenti differenze. Se la mostra avesse approfondito queste ultime, il risultato sarebbe stato forse ancora più complesso.
Ogni scelta arbitraria è però controbilanciata dai suoi effetti positivi. Nel caso di Edipo: io contagio, la rinuncia a tematizzare il problema del fato e la sua implicita esaltazione dell’auto-determinazione umana davanti all’orrore permette di sensibilizzare il pubblico a un altro elemento chiave della poetica di Sofocle. L’ultima sala della mostra ospita una rappresentazione del secondo stasimo del coro di Edipo re, che nella seconda strofa dei vv. 882-896 offre un esempio di comunicazione meta-teatrale. «Se – chiede il coro – è giudicato onorevole commettere ingiustizia, agire empiamente e arricchirsi con superbia, vale a dire se la virtù non ha valore e non c’è un dio che la difende, perché devo danzare (v. 96: τί δεῖ με χορεύειν;)?»
Non è improbabile, come hanno supposto alcuni studiosi, che questo commento esca dalla finzione scenica e sia un monito che Sofocle stesso rivolge ai suoi spettatori –(cfr. ad esempio Massimo Stella (a cura di), Sofocle: Edipo re, Roma, Carocci, 2010, p. 261). Se le cose non possono cambiare in meglio, e a quanto pare di questa immobilità il fato non è responsabile, perché dovrei scrivere tragedie? Ora, Edipo: io contagio traduce il v. 896 con «perché devo continuare a fare teatro?» e fa sentire la recitazione dell’intero stasimo attraverso delle voci registrate, mentre un’attrice muta rinchiusa dentro una delle teche trasparenti cerca di sfondare la parete, o fa segni al pubblico di liberarla.
I versi di Sofocle echeggiano allora una preoccupazione contemporanea, più di preciso invitano a riflettere in maniera critica e autonoma sul proprio operato. Il teatro può reagire politicamente al contagio? Se no, che senso ha coltivarlo? A quel punto, tanto varrebbe lasciare l’artista nella sua teca di cristallo, farne un pezzo da museo di cui molti hanno scordato l’utilità.
Certo è anche che questa somiglianza tra Sofocle e la contemporaneità possa essere problematizzata. Il coro degli attori di Sofocle aveva ancora la libertà di porre la domanda “perché continuare a fare teatro?” danzando di fronte a un pubblico. A noi contemporanei è lecito invece porla stando lontani dalla scena. Ma questa differenza conferma la felicità dell’intuizione e, insieme, l’attuale solitudine dell’artista performativo.
Enrico Piergiacomi
Fino al 7 marzo 2021
MOSTRA ATTUALMENTE SOSPESA IN BASE AL PASSAGGIO DELLA LIGURIA IN ZONA ARANCIONE
Edipo: io contagio
Ideazione Davide Livermore
A cura di Davide Livermore, Margherita Rubino, Andrea Porcheddu
Elementi scenografici del Teatro alla Scala
Testi da Edipo Re di Sofocle, riduzione di Margherita Rubino
Traduzioni in inglese Kiara Pipino
Allestimento
Assistente scenografa Lorenza Gioberti
Musiche Andrea Chenna
Luci Gianni Grasso
Fonica Edoardo Ambrosio, Luca Nasciuti
Macchinista costruttore Diego Paoli
Elettricista Stefano Monni
Aiuto assistente scenografo Nicolò Tomasi
Progetto grafico Emanuela Dellepiane
Stampe digitali Pitto P.Zeta
Video a cura di Squeasy Film
Performance dal vivo
Coordinamento Carlo Sciaccaluga
Attori e performer Agnese Ascioti, Sonia Convertini, Noemi Esposito, Nicolò Giacalone, Mirko Iurlaro, Davide Mancini, Matteo Palazzo, Enrico Pittaluga, Valeria Chiara Puppo, Marco Taddei, Demian Troiano Hackman, Irene Villa
Produzione Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale Genova