Cinema Palazzo: la sindaca Raggi spiega che il Comune sta lavorando per acquistare l’immobile, la procedura è in atto. Il video e una riflessione su alcune questioni che rimangono centrali per ripensare il futuro del Cinema Palazzo.
«Lo acquistiamo e lo convertiamo a utilizzo pubblico» afferma la sindaca Virginia Raggi nel video girato dagli attivisti del Cinema Palazzo durante la mattinata del 28 gennaio. Parole che sorprendono per la loro nettezza, ma che naturalmente vanno inserite all’interno di una campagna elettorale in atto, nella quale la sindaca deve anche cercare di recuperare punti, proprio verso il mondo della cultura, dopo il licenziamento dell’assessore Luca Bergamo.
Alle cittadine e ai cittadini di San Lorenzo (e non solo) che si sono riversati nelle strade subito dopo lo sgombero interessa che l’acquisto da parte del Comune sia una prospettiva reale e percorribile, e in effetti fa ben sperare un’altra frase pronunciata dalla prima cittadina romana: «siamo andati a fare già i primi rilievi e sopralluoghi quindi a breve dovremo avere una quantificazione (del prezzo ndr.) da sottoporre all’agenzia del demanio».
Nel video Raggi rassicura anche sui tempi spiegando che per questa giunta è una priorità: «parallelamente sta partendo la delibera per l’acquisizione con la dichiarazione di interesse pubblico».
Sulla questione continuano però a pendere altri interrogativi: il Comune dovrà trovare un modo per non perdere l’esperienza di questi anni di autogestione, politica dal basso e attivismo solidale. Il Cinema Palazzo non è solo un luogo, il problema non può ruotare solamente attorno alle quattro mura sottratte all’industria delle scommesse, il Cinema Palazzo è soprattutto un progetto realizzato da donne e uomini. Basti pensare a quello che è accaduto dopo lo sgombero: presidi e azioni di solidarietà per contrastare dal basso i danni economici della pandemia sulle fasce più deboli. Il percorso non sarà semplice perché per le istituzioni in questi casi è molto più immediato accogliere le richieste (che inevitabilmente arriveranno da più di una parte politica) per una messa a bando di quegli spazi. Ma un bando, per quanto trasparente, può raccogliere la storicità, e la complessità di esperienze maturate in questi dieci anni, oppure una procedura del genere rischia inevitabilmente di trasformare quel progetto in qualcosa di diverso?
Inoltre bisogna ricordarsi che nel processo in cui sono imputate dodici persone per l’occupazione del 2011 il magistrato ha chiesto condanne esemplari con risarcimenti altissimi, tutto sulle spalle di 12 persone pescate nel mucchio di un’azione collettiva. La domanda è inevitabile: è possibile condannare chi ha forzato le regole se poi quella forzatura ha portato benefici alla comunità che ora vengono riconosciuti dallo stesso comune di Roma?
Andrea Pocosgnich
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