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TDV14, un atto di cura irrinunciabile

TDV14 Teatri di Vetro – Vuoto apparente – sarà un’edizione straordinaria che dal 15 al 21 dicembre 2020 presenterà online tutto il suo cartellone di work in progress, diari, abbrivi di progetti e spettacoli compiuti. La direttrice Roberta Nicolai ci spiega in che modalità è stato rispettato dei lavori il valore precipuo della restituzione. Intervista realizzata in mediapartnership

Foto di Margherita Masé

Interno e esterno teatro. Inquadrature, punti di vista su uno stesso oggetto in un orizzonte che ha visto la nostra quotidianità completamente stravolta. Qual è oggi la realtà di Teatri di Vetro?

L’oggi ci richiede una meditazione artistica sul reale, un’arte e un teatro che siano quanto più permeabili a ciò che sta succedendo. La natura di Teatri di Vetro, in particolare per quanto riguarda la sezione Oscillazioni, pone lo spettatore di fronte a processualità diverse, piani di lavoro rispetto ai quali la fruizione stessa viene messa alla prova e indagata. Le ultime restrizioni mi hanno portato a uno choc per cui ho dovuto ripensare la programmazione ponendomi necessariamente il problema della restituzione: Oscillazioni si incarna nella compresenza tra artisti e spettatori e per questo, anche in un momento senza precedenti, bisogna far emergere ogni singolo elemento di questa condivisione. Organizzare un festival e decidere di confermarlo in questo periodo è perciò una scelta che ti porta a tenere in conto il fallimento, l’ho sempre tenuto in considerazione votandomi alla bellezza dell’esitazione ma mai come quest’anno me ne assumo ancora di più la responsabilità. La sfera del linguaggio nella quale siamo entrati non ha margini di conoscenza reali, almeno non ancora, Zoom sta diventando una protesi delle relazioni: ho fatto tutoraggio tramite la piattaforma, ho seguito le prove, sono stata in sala a distanza… Per venire incontro alle nuove esigenze, abbiamo quindi costruito una squadra di professionisti: un regista cinematografico, una regia video, tecnici e supporti audio video e registrazione. Non riusciremo a post produrre i video, ma in tempo reale decideremo con gli artisti cosa montare e trasmettere poi in streaming, evitando le dirette. La relazione individuale e specifica con ogni artista e con ogni singolo lavoro deve essere particolareggiata, per questo ho scelto di dotarmi di un’ingente tecnica per poter fare ragionamenti diversificati per ciascun progetto.

Foto di Margherita Masé

Oscillazioni, Composizioni e poi Trasmissioni, capitoli distinti ma facenti parte di un’unica, annuale e continuativa visione di lavoro. Come dialogano tra loro queste diverse sezioni?

Siamo sempre dentro una processualità per la quale non si può dare per scontata una sola modalità di creazione, progettazione, visione. Trasmissioni riconsidera la verticalità dei ruoli in virtù di una loro ricontestualizzazione, anche nel mio ruolo vi è stata una trasmissione per quanto riguarda la composizione di un processo, e le risposte che ho ricevuto dagli artisti mi hanno emozionato e interrogato. Per il mio intervento al recente festival Testimonianze, Ricerca azioni di Teatro Akropolis avevo preso come riferimento Inception di Christopher Nolan: come nel film, le varie sezioni non sono spazi distinti ma sono livelli. Tuscania (dove si svolge il festival Trasmissioni ndr) non è Roma, gli strumenti e i temi sono diversi ma Tuscania potremmo dire che rappresenta il primo livello di discesa nel sogno. “Quando sarò là sotto, lavoro con quello che trovo e lì dovrò improvvisare”, la mia visione è questa. È quella di un ladro, come è il ruolo interpretato da Leonardo Di Caprio. Siamo su livelli in cui non devi esercitare un comando, perché sai che stai correndo il rischio di non tornare su; l’arte è così, ed è questo che ci tiene in vita.

Foto di Margherita Masé

La natura dialettica di Teatri di Vetro che fonda la sua prassi nell’incontro coi processi come è stata tradotta in chiave digitale e perché è stata irrinunciabile?

È come quando sei in una casa che sta crollando: vuoi crollare con lei o salvare i tuoi attaccandoti con tutte le forze a ciò che può rimanere in piedi? Dovevo allargare il pensiero e iniziare a considerare tutte le variabili ponendomi in dialogo con le esigenze che sentivo intorno a me. La relazione finora costruita non è fittizia, non è occasionale e ha bisogno di tempo, e io non potevo che dire “dai, proviamo” perché non avrei potuto porre fine ai giochi, sarebbe stato frustrante. Dovevo confermare questa edizione per poter accedere al sostegno garantito dagli enti, Comune e Regione, che mi permetterà di contribuire ai cachet degli artisti. E non ci sono solo gli artisti ma tutta una serie di collaborazioni in atto che non avrei potuto far saltare, sarebbe stata un’offesa. Nel solo mese e mezzo di progettazione, ho quindi studiato i lavori, dialogato con gli artisti e diviso i materiali in work in progress, diari, abbrivi di progetti…Molti dei processi messi in campo non hanno potuto affrontare le diverse fasi produttive perché sono saltate le residenze creative di marzo e giugno, quindi molti lavori sono rimasti a uno stadio iniziale, con le domande ancora aperte e per le quali ancora non vi era stata una sintesi. A questi artisti ho chiesto quindi di elaborare delle restituzioni digitali, affiancate con un video maker, per dare visione di un processo che possa avvicinarsi il più possibile al divenire della creazione. I lavori invece più definiti, quattordici in tutto, per i quali non era possibile l’affiancamento, saranno ripresi al Teatro India e saranno registrati. Ragionare con gli artisti su come i loro lavori potevano essere tradotti in video, se fosse stato più adatto un campo lungo oppure un primo piano, è stato molto stimolante. L’unica preoccupazione è il tempo, troppo breve, perché il tempo del live non è quello della creazione filmica. Il momento delle riprese sarà quello più difficile, nel quale dovrò fare appello alla mia capacità di tradurre la relazione in video, aiutata dagli artisti, alcuni dei quali sono abituati, altri no, in quanto si sono dimostrati, anche legittimamente, resistenti a ciò che il video non riesce a salvaguardare.

Foto di Ornella Mignella

Sembra che questa quattordicesima edizione sia una sorta di “teatro da camere”, ognuna delle quali pensata con una propria tematica per accogliere gli spettatori…

La campagna di comunicazione è supportata dalle immagini di Ornella Mignella, gli interni disabitati da lei fotografati mi hanno rimandato a un sentimento chiaro e condiviso. Le camere sono la condizione nella quale abbiamo vissuto e creato e nella quale siamo ancora. Gli interni sono un tema fondamentale di questo anno, nell’editoriale video Vuoto apparente, ultimo capitolo del catalogo, si parla proprio di questo interno vuoto che senza l’esterno non vive di suo in quanto la semplice comunicazione tra interno e esterno si è interrotta. I processi non possono non rispondere a questa necessità, devono rendersi permeabili a quello che sta succedendo. Per esempio, il corpo ferito e immolato sull’altare del lavoro di Alessandra Cristiani racchiude in sé queste riflessioni, le incorpora. Quando lei lavorava su Francis Bacon il clima era diverso, anche i temi trattati, ma poi in fondo Nucleo nasce proprio nel tempo del Covid e sono sicura che il suo corpo sarà completamente dentro questa condizione e dentro l’impossibilità della sua estensione. Gli spettatori vedranno questa straordinaria programmazione dalla loro stanza, non saranno in teatro, la telecamera cercherà di guidare la visione ma di fatto, questo sarà un teatro fatto per e guardato dietro lo schermo.

Foto di Margherita Masé

Come, e se, è cambiato o cambierà il tuo lavoro di “cura artistica”?

Non ho fiducia nelle visioni univoche e credo nella complessità, nella difficoltà e nel dolore di questo periodo. Oggi, che stiamo per iniziare, ti rispondo che non vedo l’ora di imparare delle cose nuove, essere risucchiata da ciò che non so, ma dietro quest’oggettività e razionalità governatrice si sono mosse emotività impazzite. Sento e voglio sentire l’incertezza del nostro corpo e sono piena di pensieri che mi spostano continuamente più in là. Mi sono ulteriormente presa cura delle istanze di molti artisti, ma è vero anche che molti di loro si sono presi cura di me: la qualità della relazione ha fatto dei passaggi ulteriori, passaggi di intimità che hanno ancora di più azzerato la convenzionalità dei ruoli e che non sono certo slegati da quelli vitali e personali. Quest’anno ci ha dimostrato come lo schema dei ruoli finora replicato ha prodotto un sistema teatrale che non può più essere questo. Io sento di essere stata accudita nella risposta alle mie stesse sollecitazioni. “Come stai?” è una domanda semplice ma indispensabile per poter cambiare, e spostare più in là le relazioni.

Foto di Margherita Masé

Quanto di quello sperimentato in questa edizione ipotizzi potrà confluire nella prossima, la quindicesima?

Sinceramente, non lo so. So già che alcuni processi artistici vanno modificandosi, come quello di Chiara Frigo, nato come installazione ma che ora forse diverrà un fim. Molti si tradurranno definitivamente nel video forse, come quello di Opera Bianco che ha lavorato sul campo lungo e campo lunghissimo, il ragionamento di Marta e Vincenzo è nato all’interno della scena ed è poi passato nell’inquadratura. Inevitabilmente i lavori si nutrono di questi passaggi. Temo che questa storia della pandemia non la liquideremo presto, sento che da adesso in poi avremo bisogno di un ulteriore lancio, non so di che tipo e verso cosa ma mi piacerebbe per esempio lavorare con gli urbanisti e gli architetti. Vorrei che la futura forma di Teatri di Vetro fosse quella di un centro studi pratico teorico e non un festival, vorrei far esplodere la scena come ho provato a fare negli spazi del Teatro India, che si presta alla liquidità e duttilità del reale.

Redazione

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