Intervista a Simone Bruscia che dal 2011 dirige Riccione Teatro, l’associazione che organizza lo storico premio di drammaturgia e il Riccione TTV Festival.
Simone Bruscia è uno di quegli uomini che non passano inosservati, per la sua eleganza e per quel grande sorriso con il quale sembra riuscire a infondere fiducia in qualsiasi situazione. Dal 2011 dirige l’associazione Riccione Teatro che ogni due anni si occupa di bandire il tradizionale concorso per premiare i nuovi drammaturghi. Bruscia si muove con agilità tra l’attenzione alla tradizione e una spinta verso l’innovazione attraverso la quale negli ultimi anni sta imprimendo nuove forme al premio e alle manifestazioni ad esso collegate. Lo trovo in video, è ancora in ufficio, dove, al Comune di Riccione, svolge l’attività di coordinatore del settore Turismo Cultura. Rimaniamo a parlare e a guardarci, da Roma a Riccione, per un’ora e mezza, cercando di capire cosa voglia dire scrivere per il teatro oggi, come possano mutare un Premio e un Festival nell’epoca del distanziamento sociale; mi racconta di performance all’alba e del sogno di un nuovo spazio culturale per la città; ci confrontiamo sulle probabili nuove direzioni artistiche della Fondazione Emilia Romagna Teatro, fino a cominciare un discorso sui territori e le geografie del teatro che avrebbe bisogno di essere approfondito per quanto è centrale.
Sono passati due mesi da quando il Riccione TTV Festival è terminato, ci siamo visti nell’ambito di un importante e interessante convegno che avete dedicato a Fausto Paravidino (curato da Graziano Graziani e Rossella Menna), sono passati 2 mesi ma sembrano 2 anni per quante cose intanto sono cambiate, compreso il nuovo stop a spettacoli e manifestazioni dal vivo. Il vostro è stato uno dei festival che si sono potuti svolgere in presenza, ma la progettazione ha dovuto tener conto delle misure di restrizione, molto precise. Come si organizza un evento del genere durante una pandemia, quali sono le difficoltà e lo spirito?
Questa domanda mi ha accompagnato per tanti mesi, per certi versi anche prima della pandemia, ora ti spiegherò cosa intendo. In realtà questa edizione del TTV è stata quella con maggiore restituzione live. Parliamo di un festival che nasce con il video al centro, così lo ha pensato Franco Quadri, a metà degli anni Ottanta. Questa era la missione originaria: il video, i media, l’immagine in rapporto con le arti sceniche; questo era il percorso e dunque possiamo dire che il TTV in questo senso ha innescato una ricerca, all’epoca del tutto sperimentale in Italia, relativa al video teatro, alla video danza. In quegli anni abbiamo anche cominciato a raccogliere il materiale video che ora compone un archivio molto prezioso. Accanto all’archivio video c’è quello dei dattiloscritti, non solo drammaturgici.
Abbiamo ad esempio Il sentiero dei Nidi di ragno di Calvino del 1947, in versione dattiloscritta con le correzioni appuntate a mano (primo vincitore, quando il concorso era aperto anche ai romanzi, ndr.), nei faldoni qui si trovano anche i dattiloscritti di grandi registi come Valerio Zurlini, i testi di Enrico Vaime, che vinse nel ‘63. Poi ci siamo resi conto che il format si potesse rimodulare incrociando ancora di più il rapporto tra video, immagine e performance. Dunque quest’anno dovevamo pensare a una ricaduta importante sul territorio: con l’amministrazione di Riccione abbiamo scelto un momento ben preciso in cui andare in scena con il TTV Festival, verso la fine della stagione balneare. Ed è stata una proposta precisa per un certo tipo di spettatore, di visitatore, un tipo di turista nuovo. Abbiamo pensato a un festival strutturato per tappe, una di queste è stata una mostra della nostra fotografa di scena Beatrice Imparato. Sono dettagli, scorci e racconti di un’estate straordinaria per Riccione. Beatrice è riuscita a imbastire un corpus di scatti che ci ha permesso di trasformare la Villa Mussolini in un teatro per immagini dove ad essere rappresentata era la città stessa. È stato il primo atto del festival che poi si è trasferito in un luogo simbolico, centrale per Riccione, ovvero l’arenile, siamo andati in scena all’alba, sulla spiaggia.
Il mare come teatro ha rappresentato una sfida: portare il pubblico in orari non convenzionali alle prime ore del mattino e al tramonto, per una serie di performance e incontri sulla spiaggia; abbiamo vissuto momenti importanti, memorabili, tutti eventi unici, come il debutto di Cristina Donà e Daniele Ninarello con Perpendicolare, il roteare infinito e rituale del Leone d’oro Alessandro Sciarroni e gli omaggi a Pina Bausch con l’amazzone bionda del Tanztheater Wuppertal Julie Shanahan davanti all’“Oceano Adriatico” e con la camminata danzante lungo la riva, Join! The Nelken Line, che ha coinvolto tutta la comunità riccionese e non solo.
Come ha reagito il pubblico?
Spesso si guarda ai problemi di chi ha dovuto organizzare eventi con le restrizioni della pandemia, ma non si pensa al pubblico, a quanto sia sfidante anche per gli spettatori recarsi agli eventi in momenti come quelli vissuti questa estate. C’è un’empatia fortissima, è un pubblico che partecipa e compartecipa, è un’empatia quasi nuova, che fa comunità.
Questo lo pensi nonostante lo spettatore debba rispettare le distanze di sicurezza e dunque vivere con maggiore solitudine l’evento? Cioè, pensi ci sia un’intimità maggiore?
Sì, penso che spetti a noi riflettere su tutto questo, è un’occasione per creare un nuovo patto tra il pubblico e il teatro. Per considerare il teatro come il luogo in cui ritrovare quell’aspetto fisico, di carnalità che spesso è mancato e ci manca soprattutto ora. D’altronde il virtuale è diventato il rifugio, il nido accomodante, il luogo delle nostre fragilità quotidiane, ma allora il teatro può diventar davvero il luogo nuovo, dove tra l’altro, come spesso afferma Ostermeier, convivono sia il virtuale che la realtà. Ho trovato in queste albe al mare, anche nella solitudine dello spettatore, una ritualità che si trasformava poi in comunità, con il sole che sorge e il respiro impetuoso del mare ad accordare tutto.
Come direttore di Riccione Teatro sei anche il curatore dello Spazio Tondelli, state già pensando a modalità promozionali per riavvicinare il pubblico quando si potrà riaprire?
Noi intanto siamo riusciti quasi a terminare la stagione scorsa, che poi è un progetto artistico più che un cartellone: dove programmiamo spettacoli di prosa, con attori di chiara fama, accompagnati però anche da importanti esempi di nuova drammaturgia. Quella dello Spazio Tondelli era una Casa del popolo che negli anni poi si è trasformata varie volte, diventando un dancing, una balera, un luogo per i comizi, negli anni ‘70 ci facevano i campionati di pugilato, sempre in quegli anni avvenne anche un misfatto, un omicidio si dice, insomma un luogo straordinario, ma tutto tranne che un teatro all’italiana. Dunque, non è un pubblico allenato al teatro quello riccionese, ma lavorando a un progetto artistico come il nostro trovo riscontri molto positivi tra gli abbonati proprio per gli spettacoli relativi ai nuovi linguaggi, più sperimentali, alle nuove drammaturgie, ai testi del Premio Riccione. Poi devi pensare che quando costruiamo la stagione del Tondelli cerchiamo di non arrivare a primavera inoltrata perché, come puoi immaginare, qui a Riccione il pensiero in quel periodo è quello di “schiodare le assi delle cabine”, siamo votati all’economia del mare e del turismo, insomma. Cerchiamo di avere un dialogo costante con gli spettatori, per questo per il nostro pubblico non c’è stato un disagio importante. Stiamo anche progettando un nuovo Spazio Tondelli, che sarà proprio un luogo aperto in cui dare valore alla comunità.
Anche il Premio Riccione si sta evolvendo e mi sembra stia facendo emergere una drammaturgia sempre aperta ai meccanismi del teatro, che tenga sempre di più conto dello specifico teatrale già nella scrittura. Di cosa parlano gli autori che arrivano in finale al Premio Riccione? Quali sono i temi con i quali cercano di attraversare la complessità del mondo?
In qualche modo nella tua bellissima domanda c’è già la risposta. Comincio dal rivendicare la scelta di Fausto Paravidino come presidente della Giuria: un artista che già al suo debutto sul finire degli anni Novanta ha innescato un’intera generazione di giovani autori. Questi poi sono andati proprio in quella direzione: ovvero nella possibilità di utilizzare tutti gli strumenti, tutti i linguaggi della nostra visione generazionale del mondo, dalla letteratura al fumetto, passando per il cinema e altre arti. Il percorso di Paravidino ha cambiato morfologia al Premio così come fu precedentemente con Franco Quadri e i temi che vengono affrontati nei centinaia di testi con cui gli autori partecipano al Premio. D’altronde nel 2011 quando curai la mia prima edizione del premio trovai Fausto e chiamammo il Teatro Valle che in quel momento restituiva una centralità inedita nel dibattito pubblico al teatro e alla drammaturgia. Ricordo infatti soprattutto lui e Cristian Ceresoli che in quell’esperienza con i loro laboratori davano la possibilità di vivere totalmente il teatro. Per diversi autori quei momenti sono stati decisivi, Carlotta Corradi lo ha ricordato proprio nella sua testimonianza al convegno. Senza dimenticare l’utopia politica, il teatro come luogo politico. Ecco, questi temi, che il Valle innescava, sono i temi toccati da molte delle drammaturgie di oggi: la paura, l’irrequietezza, sono questioni speculari alla forma utilizzata, alla modalità di scrittura.
In effetti per la sua storia, dal 1947, da quel debutto con Italo Calvino, il Premio Riccione rappresenta un unicum nel panorama teatrale e culturale italiano. Cosa bisognerebbe fare a livello istituzionale, di quali scelte politiche c’è bisogno, per creare un terreno fertile sul quale possano nascere nuovi e interessanti autori teatrali?
Forse occorre arrivare a questa consapevolezza per cui la scrittura, la traccia, la partitura – o il suo travestimento – la riscrittura, la traduzione sono le pratiche delle arti sceniche. La scrittura è centrale in tutte le sue modalità, anche in territori dove sembra una questione meno importante come la danza o la performance. Occorre prendere consapevolezza di questa centralità e offrire agli autori gli spazi per poter costruire questo pezzo importante del marchingegno teatrale. Così come esistono le residenze per attori e registi bisogna trovare (nei teatri e nei festival) le situazioni per mettere in primo piano il lavoro degli autori. Poi c’è la questione dell’editoria, che potrebbe beneficiare di un rapporto nuovo con l’autore teatrale.
In qualche modo sembra sempre che il drammaturgo sia un corpo estraneo al fare teatro, un corpo che viene consultato per la scrittura, l’adattamento e poi lasciato in un angolo; basti pensare a questo momento in cui importanti teatri vedono accesi dibattiti sulle direzioni artistiche, mai si sente parlare di un autore teatrale alla direzione di un teatro. Secondo te perché?
Come dicevi tu, è anche una questione di riconoscibilità. Poi spesso quelle direzioni artistiche vengono da scelte prese da pochi; ma non è questo il tema, non critico le scelte però la mancanza di riconoscibilità dell’autore pesa. D’altronde, se ci pensi, un drammaturgo non viene mai interpellato dai giornali per un’opinione sul mondo che ci circonda. Sui giornali nazionali non compaiono articoli firmati da autori teatrali, pensa dunque quanto è distante la strada per dirigere un teatro o un festival.
Ert sta per avere una nuova direzione artistica, ora che Claudio Longhi è diventato il direttore del Piccolo Teatro di Milano, cosa vi aspettate come Riccione Teatro dal nuovo assetto? C’è anche un nome che vorresti vedere alla guida di Emilia Romagna Teatro?
Un’altra cosa di cui vado orgoglioso è proprio il rapporto che Riccione Teatro ha istituito da tempo con Ert, per me è stato decisivo il passaggio della direzione a Claudio Longhi, da quel momento il dialogo s’è fatto fitto, concreto, legato ai testi. Anche perché Longhi è un componente della Giuria del Premio Riccione e il suo è lo sguardo di un regista ma anche di uno storico del teatro; insomma un grande conoscitore della scena. Inoltre Longhi ha una dedizione impressionante per le nuove generazioni e la formazione; con lui abbiamo un rapporto molto progettuale. Ci sono state importanti coproduzioni tra Riccione Teatro ed Ert. Certo, questo rapporto potrebbe diventare più solido, ma lo dico con speranza e ottimismo data la governance che fortunatamente abbiamo qui in Emilia Romagna. Poi sui singoli nomi non lo so, non so neanche quali siano in lizza…
Quelli che ricorrono maggiormente sono Lino Guanciale, Romeo Castellucci e fino a qualche settimana fa si faceva anche il nome di Antonio Latella. Il sogno proibito per molti, forse soprattutto per i più indipendenti è Elena Di Gioia…
Sono nomi molto diversi tra di loro, ma straordinari per storia e portato generazionale. Non esprimo una preferenza, poi, certo, tra i nomi che hai fatto, quello di Elena Di Gioia esprime una qualità importante che è quella che lega le pratiche del teatro ai territori. Viviamo in un Paese fatto di peculiarità locali che spesso emergono grazie a queste personalità: la cartografia teatrale potrebbe essere un esercizio in cui applicarci maggiormente. Anche in un momento come questo, così complesso, nel quale le istituzioni devono prendere delle misure decisive: mi viene in mente appunto il tema dell’apertura e chiusura dei teatri, ecco forse riflettere sulle specificità, sulle peculiarità dei territori sarebbe stato interessante, avrebbe portato a ragionamenti forse diversi.
Intendi il fatto che teatri e spettacoli sono rimasti fuori dalla mappatura delle restrizioni regionali?
Sì, è proprio strano che non sia avvenuto, avremmo aiutato i ministri ad avere maggiore profondità in questo tipo di interventi e Franceschini, con lo sprone delle Regioni, avrebbe avuto minori difficoltà. Perché ci sono dei casi territoriali specifici, in cui centri teatrali e culturali non solo danno lavoro a tante persone ma illuminano i territori. Parlo di luoghi, teatri o festival che hanno trasformato la questione dell’andare a teatro facendola diventare qualcosa di altro, hanno creato comunità, collante ed economia. In questo hanno responsabilità gli enti locali, le amministrazioni, regionali e provinciali, che forse dovevano mandare un messaggio più forte, devono prendere consapevolezza e trasmettere meglio questi concetti. Forse io me ne accorgo più facilmente perché ho un incarico in un’amministrazione; a Riccione abbiamo voluto lanciare un messaggio preciso con la progettazione del nuovo Spazio Tondelli: dunque parlare di riqualificazione e rigenerazione urbana attraverso un luogo votato alle arti sceniche significa lanciare un segnale ben preciso oggi a tutta la cittadinanza. Arrivando ora a Riccione, dal casello dell’autostrada, si trova una rotatoria in cui campeggia l’immagine del nuovo Spazio Tondelli, uno spazio per le arti e per la cultura. Viviamo in un’epoca in cui dobbiamo avere un coraggio sfacciato, dobbiamo osare.
Andrea Pocosgnich