Episodio speciale di Teatro In Video, n°62: un ricordo di Ferdinando Taviani, un’esplorazione del suo lavoro per accompagnare un video dall’archivio dell’Odin Teatret nel quale Taviani racconta la propria esperienza all’Ista (International School of Theatre Antropology).
Ferdinando (Nando) Taviani è morto il 4 novembre del 2020.
Non scomparso, come certi preferiscono dire per rendere alcuni eventi più tollerabili (lui peraltro rifiutava la formula categoricamente); tantomeno andato via, o spento.
È infatti il cono di luce, e non una lente di ingrandimento, lo strumento che mi pare più adatto per raccontarlo. È evidente ora che i ricordi si sommano e svelano la rete che Taviani ha creato tra teatranti, studiosi e artisti, studenti e allievi, persone che abitano il teatro in modi diversi. Solo ai grandi intellettuali riesce di farlo.
Professore emerito all’Università dell’Aquila, dove ha insegnato per più di vent’anni, consigliere letterario, amico e guida dell’Odin Teatret; è stato tra i fondatori dell’ISTA (International School of Theatre Antropology): nel video che queste righe si limitano ad accompagnare Taviani ne parla come una scuola dello sguardo, anni prima l’aveva definita “di guerra”, un momento di “addestramento per teatranti diseredati quanto ostinati”.
Quello che scandisce gli appuntamenti dell’ISTA è un tempo in cui allo studioso è concessa la sospensione, il piacere di ridimensionare i propri saperi mentre per ore e ore sta a guardare attori far training ed esercizi. “Il problema principale dello storico è che domande poni ai documenti, se non hai il sospetto che esistano certi problemi, sei uno storico dimezzato” – dice Taviani. Ed è per questo che senza quella profonda vicinanza con i teatranti lo studioso non avrebbe forse scritto i suoi saggi più illuminati, i libri più preziosi (La Commedia dell’Arte e la Società Barocca. La Fascinazione del Teatro, Roma, Bulzoni, 1969 rist.1992; Il segreto della Commedia dell’Arte, in collaborazione con Mirella Schino, Firenze, la Casa Usher, 1982; Uomini di scena, uomini di libro, Bologna, Il Mulino, 1995).
Abbiamo così imparato che per fare storia bisogna stare immersi nel presente, fuori dall’imbottita ricamata del sapere; perché il necessario equipaggiamento di uno storico rischia di congestionare i pensieri se non si ha il coraggio di guardare almeno doppio e provare a capire che negli errori c’è almeno una parte di verità, e in quelle che ci appaiono tali si nasconde comunque uno smarrimento.
A Palazzo Camponeschi, ex-sede della vecchia facoltà di Lettere e Filosofia dell’Aquila, si percorreva un lungo stretto corridoio per arrivare all’auletta 26 (portava il nome della danzatrice Sanjukta Panigrahi). Non era un pellegrinaggio, quello che muoveva noi vecchi studenti, piuttosto una corsa verso il fondo della coscienza. Ricordo Nando Taviani sedere sulla destra e tenere spesso in mano una pipa, dall’altra parte Mirella Schino, e un dialogo serrato ed ostinato cui assistevamo come complici. Mi sono subito arresa all’idea che non avrei riempito i fogli di classici appunti, solo lasciato domande da porre al teatro: nell’auletta 26 infatti non si parlava di verità, ma si discuteva con esattezza e rigore, il modo delle persone libere. Qualche anno più tardi Taviani mi ripeteva ancora “Ogni notizia è come un sasso nello stagno. Segui i cerchi il più possibile, entro il limite del ragionevole e rispetta la logica della bilancia: ogni ordine cui non si ottempera, dev’essere sostituito da qualcosa d’equivalente peso”.
Si può essere studiosi, o aspiranti tali, perché qualcuno ha saputo raccontare il teatro come un territorio ignoto tutto da esplorare, un osso da mordere; ma è anche vero che “si è attori perché ci sono studiosi come te” – lo ha detto Valerio Apice (il Pulcinella universitario, come lo ha ribattezzato Taviani) proprio di fronte Palazzo Camponeschi, qualche giorno fa.
Da questo sacco d’oro abbiamo dunque pescato in molti: chi ha conosciuto Nando Taviani vive ora nell’intimità di un segreto ben custodito, ma per tutti è evidente che la provvista delle sue parole favorisce l’incontro con il teatro di certo, e con lo studioso in particolare. Le pagine rimangono anche per trovare sempre vivi quelli che dolorosamente la ragione ci obbliga a dire morti.
A presto dunque, e arrivederci maestro, come per molti aggiungo un indispensabile “mio”.
Doriana Legge
Qui una bibliografia, necessariamente parziale, degli studi di Ferdinando Taviani