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HomeArticoliLa periferia è il centro delle arti: un racconto in soggettiva

La periferia è il centro delle arti: un racconto in soggettiva

Video e racconti della Redazione Meticcia dall’ultimo sabato del festival curato da Margine Operativo al Quadraro

Sabato sera, penultima giornata del festival diretto da Margine Operativo, a vent’anni dalla sua prima edizione. Ormai da tre anni, con delle temporanee REdazioni Meticce del progetto Spettatori Migranti, raccontiamo dalle pagine del blog ufficiale la vita di Attraversamenti Multipli; di quest’azione metropolitana che conserva del festival la ricerca artistica e la curatela, della performance urbana la permeabilità con il territorio e dell’operazione politica la dimensione meticcia e di resistenza. In questo articolo partiamo dalle immagini di una giornata di festival, di scampata pioggia come ogni autunno che inizia, firmate da Zakaria Mohamed Ali.

Alle 19:00 ci aspetta Salvo Lombardo, con la performance Alone in the moltitude per uno spettatore o spettatrice per volta. Quando è il mio turno, dopo Alagie Camara, Alessia Passalacqua e Mahamadou Kara Traore della Redazione Meticcia, entro io; indosso le cuffie, percorro la pedana in discesa in un’intercapedine degli spazi del Quadraro e nella penombra busso su una porta segnata da una luce rossa; apro, dentro c’è il performer, mi sorride.

foto Carolina Farina

Poi interagisco con lui, succede qualcosa, ma non ve lo diciamo, altrimenti dovremmo usare parole quali “dispositivo” “social dance” e “comfort zone”, e se usassi queste parole per raccontarlo non tutti capirebbero a cosa ci stiamo riferendo. Manterrò quel non detto che tutti della redazione meticcia, uno alla volta, hanno mantenuto uscendo, con un sorriso di intesa con chi era entrato. Si incontra un uomo lì dentro, si danza con lui, ci si tocca con lo sguardo, si leggono delle parole difficili, per chi ci riesce, in un’azione della durata di cinque minuti. Ci si sente intimi con un estraneo e estranei a tratti con il proprio corpo, almeno io con il mio, che fatica a liberarsi, a seguire dei semplici passi. Intanto, fuori, Zakaria Mohamed Ali sta facendo dei ritratti ad alcuni componenti alla Redazione Meticcia del festival.

Alle 21 ci dirigiamo verso Largo Spartaco, piazza principale del festival. Quando arriviamo è in corso Teleradio Metropoli, postazione live curata da Stefano Patti e Simone Giustinelli / L’ultimo nastro di Krapp con Margine Operativo, continuando la quell’idea di radio mobile pensata e portata avanti per anni da Graziani e Ferraro.

foto Carolina Farina

Simone Giustinelli ci invita a parlare, Zakaria Mohamed Ali va al microfono, saluta la piazza in somalo, si scherza, si parla del concetto di presenza. In piazza balliamo, cavalchiamo l’onda di Teleradio Metropoli, ogni tanto dalle finestre del boomerang, l’edificio che incornicia il festival, si affaccia qualcuno, fino a quando da dietro l’info-point sbuca sulla piazza Francesca Lombardo, con in mano una busta di carta e la creatura di Margine Operativo: Beautiful borders. Tema caro ad Alessandra Ferraro e Pako Graziani, quello dei confini. Sconfino anch’io dalle pagine di Teatro e Critica a quelle del blog del festival, per trovare lo sguardo di Jack Spittle, statunitense, e Giulia Lannutti, italiana, della redazione meticcia:

Lombardo è vestita di stracci, porta un lungo cappotto e un cappello largo. Gli occhi statunitensi di Jack Spittle che è a fianco a me vedono, in questa figura, l’immagine di un qualsiasi George Floyd americano, quelli miei, italiani, vedono un individuo qualunque, forse uomo, forse donna.

foto Carolina Farina

Francesca Lombardo negli occhi di Giulia è “una marionetta guidata da una mano distratta, che la sballotta ovunque nello spazio”, un individuo che appare così svuotato e privato di qualsiasi forma di identità e di dominio del proprio corpo, in balìa di chissà quale forza. Lombardo è magnetica, è altro da sé, coperta di stracci, nonostante il suo corpo danzi, e noi siamo immobili, in piedi in mezzo a Largo Spartaco, a fissarla.

Una volta spostati i ricci possiamo vederne finalmente il volto, intuiamo già che il soggetto è donna. Continua sfilandosi il cappotto e i pantaloni larghi di tuta e rimane lì ferma con un vestito. Si mette anche il rossetto. Ora la vediamo: è una ragazza, è bella, è curata. La riconosciamo. (…) E dunque, è così necessario rispettare dei canoni affinché gli altri possano vedere in un individuo una persona?

Francesca Lombardo, negli occhi di Jack, invece, è definita dalla casualità della scritta che campeggia proprio dietro lo spettacolo, con una bomboletta nera “George Floyd vive”; lo sguardo di Jack è sul bordo della piazza.

Mentre la danzatrice lasciava lo spazio scenico, ora fattasi donna, fiera con la sua busta di carta, io ho pensato ad un vecchio amico mio, nero, nuovamente politicizzato come tantissimi altri, e a quella specie di haiku spontaneo che ha lasciato su Facebook la mattina seguente alla sua prima protesta negli Stati Uniti:

our youth
real life
hard body

ed è uscito poi per la seconda.

foto Carolina Farina

Che sia forse questa la ricerca di un festival, ancor prima di essere evento artistico? Quella di “scegliere” dei luoghi e far “dire” a quei luoghi come la vita sia arrivata fino a quel punto per immaginare insieme, attraverso l’arte, il punto successivo? Alla fine della performance regaliamo una rosa rossa a Francesca Lombardo, la stessa che avete visto nel video VOLTI in mano ad Alagie Camara. E prima di mangiare o berci una birra insieme sul piazzale, artisti e pubblico, ci lasciamo accompagnare da Alessandra Ferraro a Garage Zero per l’ultimo lavoro di Simone Amendola e Valerio Malorni. Eravamo, primo capitolo di uno spettacolo più ampio a cui la compagnia sta lavorando, così si legge nella descrizione e del quale avremo quindi modo poi di parlare. Un lavoro anche questo sui confini, ma stavolta sulla necessità del confine, del definirsi, a partire dalla vita in una comune; lavoro critico, complementare al refrain del festival Everything is connected, che con intelligenza ma in forma ancora da svolgere ci interroga sul rischio dell’iperconnessione, sia questa abitativa, identitaria o digitale. Chiamando alcuni spettatori a una presenza fisica sulla scena, che amplifica ancora di più la drammaturgia e la capacità attoriale di Valerio Malorni.
Poi tutti a Largo Spartaco, a bere e a parlare tra noi, con gli artisti, a chiederci cosa portiamo con noi, a casa, di Attraversamenti Multipli e del Quadraro. Riscoprendo anche quest’anno che è per questo che si continua ad andare in piazza. Come chiude Nour Zarafi, nell’ultima riga che pubblichiamo come Redazione Meticcia di quest’anno:

Per tornare a vivere per un’ora in comunità. Abbandoniamo quello schermo, guardiamoci. Sradichiamoci da un’immagine comune. Le alternative non ci sono? Siamo già distanziati fisicamente, cerchiamo di avvicinarci tra noi, basta poco, spesso anche solo uno sguardo dalla finestra di casa sulla piazza del quartiere.

Luca Lòtano, Zakaria Mohamed Ali, Nour Zarafi, Giulia Lannutti, Jack Spittle, Lucrezia Odino

foto Carolina Farina

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Luca Lòtano
Luca Lòtano
Luca Lòtano è giornalista pubblicista e laureato in giurisprudenza con tesi sul giornalismo e sul diritto d’autore nel digitale. Si avvicina al teatro come attore e autore, concedendosi poi la costruzione di uno sguardo critico sulla scena contemporanea. Insegnante di italiano per stranieri (Università per Stranieri di Siena e di Perugia), lavora come docente di italiano L2 in centri di accoglienza per richiedenti asilo politico, all'interno dei quali sviluppa il progetto di sguardo critico e cittadinanza Spettatori Migranti/Attori Sociali; è impegnato in progetti di formazione e creazione scenica per migranti. Dal 2015 fa parte del progetto Radio Ghetto e sempre dal 2015 è redattore presso la testata online Teatro e Critica.

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