Bartolini/Baronio presentano a Romaeuropa Festival il debutto di 333 km Esercizi sull’abitare #2. Intervista
«Mamma mi tremano le gambe!» Inizia così l’intervista a Bartolini/Baronio. Ci troviamo nel loro salone, nella casa dove si sono da poco trasferiti stabilmente. È Thea quella che prende la parola per prima, dopo aver giocato sta per andare a dormire ma guardando i genitori vuole essere tranquillizzata rispetto quello strano tremore: «Non ti preoccupare, saranno i muscoli, sei stanca» la rassicura papà Michele. Sono giorni di prove questi, che precedono il debutto a Romaeuropa Festival di 333 km Esercizi sull’abitare #2, secondo capitolo che segue 16,9 Km. Home Concert esercizi sull’abitare dello scorso anno. Dopo aver “legato insieme” zone distinte e lontane della Capitale attraverso un riconoscibile impulso per l’inclusività, mossi dall’intento di continuare a camminare fuori, oltre i riconoscibili e protetti confini, rifuggendo la chiusura romanocentrica; Tamara e Michele hanno continuato a scrivere la loro drammaturgia empirica in altri contesti dediti alla contaminazione e alla multidisciplinarietà, funzionali all’allargamento e consolidamento della comunità alla quale si relazionano. Per questo, la seconda tappa parte dall’incontro con lo spazio MateMù di Roma, passa per Ostia – dalle ragazze e i ragazzi del laboratorio Ritratti di un territorio – e poi si allarga tra alcuni Comuni del Lazio grazie alla collaborazione determinante dell’ATCL (Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio) per le residenze svolte ad Alvito, Castrocielo e Maenza.
Sono giornate strane queste. Si respira della tensione, siete preoccupati?
La situazione è tesa rispetto a questo momento. Si vive con il timore che a tre giorni dal debutto si possa rischiare di non andare in scena. Dobbiamo, giustamente e per rispetto del lavoro nostro e altrui, fare i tamponi prima di entrare in teatro ma non sappiamo se uno di noi potrebbe essere positivo asintomatico e determinare l’annullamento dello spettacolo…Si è in attesa dei vari dpcm per cercare di capire come la nostra vita personale potrebbe incontrarsi o meno con quella professionale. Tutto ciò genera una stanchezza di fondo: le residenze sarebbero dovute iniziare a marzo, invece sono slittate ad agosto a causa del lockdown e in estate abbiamo dovuto recuperare tutte le interviste, facendole durante il giorno e occupandoci della post produzione la sera. Il Covid-19 ha decisamente massacrato i tempi e il tempo…
Cosa è cambiato rispetto al prima?
A causa della pandemia, abbiamo avuto bisogno di intermediari funzionali a entrare in relazione coi luoghi e le persone, e ammettiamo che in questa fase c’è stata maggiore organizzazione ma forse minore spontaneità. Non crediamo però sia andato perso qualcosa, piuttosto è stato scoperto. Le persone intervistate ci hanno portato nei luoghi che erano casa per loro, fuori dalla casa. Ci hanno fatto scoprire l’interno, inteso come intimità, di un luogo esterno. Siamo stati sostenuti da un confronto indispensabile e proficuo portato avanti da Isabella di Cola (in ATCL per organizzazione e promozione, ndr) che ci ha permesso di concretizzare la nostra idea progettuale. Ci interessava profilare delle mappe per creare paesaggi e geografie emotive e rivelarne delle altre, che è forse l’aspetto più dirompente di questa fase storica che si ripercuote nelle vite di ognuno di noi, il modo in cui noi cadiamo in tutto ciò come fossimo travolti in una Cosmic dance.
Da dove inizia questo secondo viaggio?
I ragazzi di Ostia non sono i protagonisti ma ci sembrava giusto che questo progetto partisse dal laboratorio tenuto con loro. Non è facile essere adolescenti in questo periodo e crediamo fosse giusto salutarli e dare continuità al loro percorso. Quando abbiamo deciso di fare la seconda tappa, volevamo indagare alcune tematiche nello specifico e, col supporto di ATCL, quest’osservazione si è radicata nei luoghi a seconda delle necessità di ciascuno. MateMù (Centro Giovani e Scuola d’Arte del Municipio Roma I, creato e gestito dal CIES Onlus ndr) rappresenta il centro di Roma e allo stesso tempo il mondo, accumunati dalla cultura che lega insieme i ragazzi romani e quelli di seconda generazione. Ad Alvito le pratiche messe in atto hanno avuto una natura più artistica perché lì c’è già un realtà dedita al teatro grazie al lavoro sul territorio svolto da Castellinaria Festival di Teatro Pop; a Maenza, l’attenzione è stata posta sulle donne e le esigenze che rivendicano circa la salute, il lavoro, la famiglia e la rielaborazione di violenze subite. Con gli abitanti di Castrocielo, abbiamo invece svolto un lavoro con dei bambini facenti parte di un’orchestra di chitarre.
Se in 16,9 Km ci trovavamo dentro una casa, ora invece in questo secondo movimento la casa ha delle gambe…
La struttura odierna è il risultato della contingenza che stiamo vivendo, un reportage di un viaggio in fin dei conti: non possiamo fare la lasagna per tutti, non possiamo far entrare tutte quelle persone e avvicinarle le une alle altre, non possiamo far salire in scena sessanta ragazzi di un coro. Per questo abbiamo dovuto iniziare da quello che siamo e da come stiamo. Gilles Clément ci dice: “mi hanno cambiato la serratura, non posso più entrare, è uno sfratto, un giorno bianco, territorio completamente da rinventariare”. L’uomo, in tutta la sua bellezza, sa andare oltre i limiti imposti e trasformarli in possibilità.
Qual è il vostro giorno bianco?
Abbiamo ragionato a lungo attorno a questo concetto, per cui il nostro lavoro si è svolto tenendo come punto di riferimento proprio il foglio bianco, dove poter iniziare a scrivere quello che abbiamo vissuto in questi mesi passati, raccontando l’interno attraverso suoni e/o un lessico di frasi che hanno riempito quelle giornate. Il pubblico entrerà in uno spazio che vive di questo fuori. Non possiamo portare le persone, riempire il teatro coi corpi, possiamo però far sentire degli odori delle piante, e poi andarle a piantare. Quei 120 posti, che siamo obbligati a lasciare liberi, saranno occupati da tutto ciò e cercheremo di colmare la distanza tracciando dei cammini emotivi. Gli spettatori entreranno in un dentro che è fuori, in cui domina la natura, perché in questi giorni di chiusura abbiamo assistito al predominio di essa, alla sua rivalsa.
Se l’orizzonte è quantomai incerto, se si è parlato spesso in questi ultimi tempi del teatro che sopravvive allo spettacolo, potreste mai pensare che tutto questo vostro, enorme, lavoro possa prescindere da una resa scenica e condivisa con gli spettatori?
Quest’ultimo lavoro in particolare. Ce lo siamo già detto in realtà, rispetto a una postura raggiunta che riteniamo più matura e anche alla volontà di compiere uno step successivo per la nostra poetica. Esercizi sull’abitare #2 potrebbe infatti avere una forma diversa non rappresentata dal vivo: un video, una mostra o o del materiale multimediale. La traduzione artistica dei nostri esercizi, che possono avere una natura sociale per il dialogo impostato con l’interlocutore, ha tuttavia una valenza precipua se si finalizza nella rappresentazione scenica, perché vi è un rispecchiamento dello spettatore che è unico e insostituibile. E noi abbiamo bisogno di questo momento. In tutto questo spazio bianco noi vorremmo che l’ultima immagine del nostro spettacolo fosse proprio l’esserci, prendere il proprio posto, nelle nostre distanze e nei nostri mondi ma inevitabilmente tutti collegati.
Cosa succederà?
Quello che è successo durante un’intervista, e cioè un incendio doloso appiccato durante la notte, in montagna. “La situazione è incendiaria”, lo ha detto anche Dina (Giuseppetti ndr) di MateMù. Ci sono tanti incendi che potrebbero divampare, anche e soprattutto nell’accezione positiva e rivoluzionaria del termine. L’incendio è l’apice del nostro racconto, la ferita che accomuna i tanti discorsi fatti insieme alle persone, qualcosa che sta sotto ma è pronto a esplodere. Una sorta di purificazione. Bisogna sempre chiedersi, c’è una luce o è tutto buio?
Lucia Medri
In scena il 15 e 16 ottobre al Mattatoio La Pelanda – Romaeuropa Festival
333 km Esercizi sull’abitare #2
Un progetto di e con: Tamara Bartolini, Michele Baronio
Drammaturgia: Tamara Bartolini
Paesaggio sonoro e canzoni: Michele Baronio, Renato Ciunfrini,
Sebastiano Forte
Immagini e regia video: Raffaele Fiorella
Luce: Gianni Staropoli
Suono: Michele Boreggi
Identità visiva: Margherita Masè
Supervisione alla scena: Marta Montevecchi
Editing interviste: Livia de Paoli
Produzione: Bartolini/Baronio e 369gradi
In collaborazione con: Romaeuropa Festival e Teatro di Roma e con ATCL per la residenza svolta nei comuni di Alvito, Castrocielo e Maenza
Con il sostegno di: Teatro Biblioteca Quarticciolo e Carrozzerie n.o.t
Con la partecipazione dei progetti: MaTeMu Spazio giovani scuola d’arte del CIES | CastellinAria Festival di Teatro Pop |
Eko Orchestra | Festival Radure: Spazi culturali lungo la Via Francigena del Sud | “Ritratti di un territorio” Teatro del Lido di Ostia