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Dove stai guardando? The Mountain, Señor Serrano

Recensione. The Mountain di Agrupación Señor Serrano, visto a Primavera dei Teatri. In scena anche a Milano, Zona K.

Foto Angelo Maggio

Un teatro con una tettoia per il palco e la platea all’interno del castello, sul quale tra l’altro si muovono le suggestive proiezioni in video mapping di Giancarlo Cauteruccio, abitato per una sera da una compagnia internazionale per vocazione e caratura: Primavera dei Teatri nella sua versione autunnale e anti-Covid fa addirittura un balzo in avanti ospitando per la prima volta artisti stranieri. Agrupación Señor Serrano, passata da poco anche nel programma di Contemporanea Festival a Prato, trova a Castrovillari lo spazio per far risuonare l’interrogativo sul quale è stato costruito The Mountain: What’s true, cos’è vero? Questione epocale, domanda da un milione di dollari, chimera filosofica del nuovo millennio.

Foto Angelo Maggio

Torna alla mente un saggio di Giorgio Agamben del 2016, Che cos’è reale? Questo interrogativo esplodeva però attraverso l’analisi della celebre scomparsa di cui già si occupò Sciascia; secondo il filosofo «se non è certo che Majorana avesse intravisto le conseguenze della scissione dell’atomo, è invece sicuro che egli avesse visto con chiarezza le implicazioni di una meccanica che rinunciava a ogni concezione non probabilistica del reale: la scienza non cercava più di conoscere la realtà – ma al pari della statistica nelle scienza sociali – soltanto di intervenire su di essa per governarla».

Quando “verità” e “realtà” si sovrappongono? Qualcosa che appare reale ai nostri occhi è sempre vera? Se la virtualizzazione della realtà ormai è a un punto tale da rendere ciò che era irreale intercambiabile con ciò che è reale che valore dobbiamo dare alla nostra vita?

Foto Angelo Maggio

Il gruppo teatrale catalano, fondato da Alex Serrano (in scena, con lo stesso Serrano, Anna Pérez Moya, Pau Palacios, David Muñiz), è tornato in Italia con uno spettacolo internazionale (in lingua inglese con sovratitoli italiani) di altissimo livello che intende proprio sondare i confini di questa riflessione; lo fa con il sorriso sardonico di un tiranno malamente imitato da un software, con la dolcezza di una storia d’amore chiusa in un’avventura estrema tra rocce e ghiacciai, con il racconto di una bufala mitica e spettacolare, la trasmissione radiofonica di Orson Welles del 1938.

Se l’obiettivo è quello di riflettere sul concetto di verità nell’epoca della post-verità ‒ certo senza muovere slanci intellettuali e filosofici che non siano mainstream, anzi pescando spesso in un immaginario pop ‒, ecco che la risultante teatrale è dirompente. Le storie che si intrecciano hanno valore di per sé, per le modalità con cui sono raccontate e le qualità specifiche: ogni piano del discorso infatti utilizza un linguaggio teatrale e una relazione con la finzione (e dunque con la realtà) differenti. Putin è interpretato da Anna Pérez Moya, la quale immobile ‒ ma con forza e presenza scenica rara ‒ di fronte a una telecamera fa parlare il tiranno con il pubblico, utilizzando quei momenti come fossero proprio delle spiegazioni sul rapporto che oggi viviamo con la libertà e l’informazione, mentre un software fa muovere il faccione dell’oligarca proiettandolo su uno degli schermi. La narrazione del mancato raggiungimento della vetta dell’Everest (il mistero di Irvine e Mallory del 1924) appare invece con la consueta ripresa live di un plastico ‒ l’immagine è realistica nonostante assistiamo alla sua creazione finzionale (la neve con la bomboletta, l’inquadratura di uno scarpone, ecc.). E poi la Guerra dei Mondi appunto, sunto totalizzante delle capacità mistificatorie dell’uomo già nella prima metà del Novecento: in questo caso il plastico e i modellini riproducono un altro riflesso di realtà, quell’immagine degli States di metà secolo scorso fatta di casalinghe con la vita stretta, le ampie gonne pastello, le famiglie raccolte di fronte alle radio nei grandi soggiorni, i diner e le prime pubblicità della Coca Cola.

Agrupación Señor Serrano gioca qui con un cospicuo tasso di tecnologia sul palcoscenico, ma attraverso scene leggere, schermi di proiezioni spostabili, telecamere wireless e un drone con cui riprendere le scene dall’alto a inquadrare il pubblico. Ma nonostante la complessità delle partiture sceniche, visive e uditive colpisce una precisione di esecuzione e una tecnica generale di altissima cura: non c’è un’immagine sgranata, fuori fuoco; un’estrema pulizia accompagna il dipanarsi delle vicende e il comporsi di un grande spettacolo dalla qualità anche popolare: toccanti le lettere della moglie di Mallory che continua a scrivere senza sapere che il corpo del marito giace sotto metri di neve; divertente e acuto il montaggio delle narrazione sulla Guerra dei Mondi, Welles appare sia come il giovane attore che all’indomani del caos radiofonico si scusa affermando di non conoscere il mezzo, sia come l’artista consumato che ammette invece quanto fosse in grado di anticipare gli effetti di quel tipo di realismo radiofonico sul pubblico. Quanto siamo in grado di riconoscere le verità veicolate dai media popolari di oggi come Facebook?

Foto Angelo Maggio

La vetta non viene raggiunta: è impossibile, come il raggiungimento della verità? Oppure, tutto è più complesso e ogni questione va approfondita e contestualizzata; d’altro canto Irvine e Mallory puntarono alla cima dell’Everest con un’attrezzatura degli anni Venti. Agrupación ci invita a non accontentarci di un punto di vista, come accade di fronte a The Mountain; qui lo sguardo del pubblico deve autonomamente scegliere dove e come guardare: nel punto in cui la realtà viene creata o quello in cui viene mostrata.

The Mountain è anche una scatola barocca di fantasmagorie visive, di cui stupisce, però, la capacità con cui la suggestione spettacolare viene messa al servizio del racconto ‒ come d’altronde accadeva nel primo spettacolo portato in Italia, A House in Asia ‒ e di quella domanda iniziale, complessa e vischiosa: cos’è la verità?

Andrea Pocosgnich

14 Ottobre 2020, Castrovillari, Primavera dei Teatri

Creazione: Agrupación Señor Serrano / Drammaturgia e messa in scena: Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal / Performance: Anna Pérez Moya, Àlex Serrano, Pau Palacios, David Muñiz / Musica: Nico Roig / Video-programmazione: David Muñiz / Video-creazione: Jordi Soler Quintana / Spazio scenico e modellini in scala: Lola Belles, Àlex Serrano / Assistente di scenografia: Mariona Signes / Costumi: Lola Belles / Design di lucis: Cube.bz / Maschera digitale: Román Torre / Produzione: Barbara Bloin / Produzione esecutiva: Paula Sáenz de Viteri / Direttore tecnico: David Muñiz / Diffusione in Italia: Ilaria Mancia / Management: Art Republic.

Una produzione di
GREC Festival de Barcelona / Teatre Lliure / Conde Duque Centro de Cultura Contemporánea / CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli – Venezia Giulia / Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale / Zona K / Monty Kultuurfaktorij / Grand Theatre / Feikes Huis.

Con il sostegno di
Departament de Cultura de la Generalitat / Graner – Mercat de les Flors.

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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