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Coefore Rock & Roll. Via dal teatro a ritmo di un’apocalisse

Debutto nazionale della seconda tappa del ciclo che Enzo Cosimi sta dedicando all’Orestea di Eschilo, la performance concerto è anche stato l’ultimo spettacolo di Romaeuropa Festival 2020 prima della nuova chiusura dei teatri. Recensione.

foto di Piero Tauro

Il prologo. Una fila ordinata fra i padiglioni della Pelanda. Quasi sempre il metro fra spettatore e spettatore cresce, come per un lievito di cura fra i membri una comunità riscopertasi tale nel rispetto ineccepibile delle regole durante questi mesi, nel rituale dell’ingresso che consacra un luogo. L’avvicinamento oltre quel metro è segno di intimità: tenersi la mano, scambiarsi una carezza diventano gesti accessori, perché basta la topografia disegnata dai corpi a questo racconto nel racconto. Per chi osserva, la scena è già un palinsesto di emozioni implicite nei saluti accennati, negli sguardi sfuggenti. A pochi palmi di città, per Simone Nebbia il desiderio di riempirsi lo sguardo di immagini, per un’altra-ultima-volta e chissà-per-quanto-ancora, si mescola alla rabbia; qui c’è silenzio commosso, c’è nostalgia nel foyer troppo grande, troppo luminoso, nel cortile di bagliori aciduli e bluastri gettati dalla Galleria delle Vasche.

La parodo. Oreste e Pilade hanno il volto mascherato da due passamontagna gialli, malviventi gonfi di un eros un po’ grunge. In piedi fianco a fianco, tracannano e sputano latte. S’ubriacano di un nettare materno intrattenbile. Clitennestra e Elettra hanno per maschera un eccesso di ombretto a far loro occhi di tragedia, per costumi veli color carne. Fra di loro, le coefore sono sette “figure in nero” disseminate lungo la candida pedana che, lunga e stretta, dilata e fende la galleria. Chiazze variopinte come grumi d’infanzia, un’invasione di pelouches e tappeti rimescola il sovraccarico sessuale e mortifero di quei corpi giovani, per l’impudicizia dello smisurato desiderio infantile. Il sound ininterrotto disattende il titolo: Coefore Rock & Roll è un rave in fondo a una spelonca, è tecno dal battito storpiato a forza di riff e acuti laceranti, è un’atmosfera di ferite inferte ora con languore, ora con protervia.

foto di Piero Tauro

Un anno fa, con Glitters in my tears. Agamennone, Enzo Cosimi gettava un primo sguardo nell’universo eschileo dell’Orestea, cercando nel viluppo delle partiture, fra coreografia, musica e parola, un’estetica del potere nel segno del sadomasochismo, di una dialettica fra piacere e dolore, fra desiderio e regolamentazione. In questo concerto-performance, la tara biopolitica sembra invece volgersi in disamina psicanalitica: l’eroe matricida Oreste, e il suo doppio Pilade nei corpi scambievoli di Francesco Saverio Cavaliere e Luca Della Corte, vive in una gestualità che è risalita uterina, e prima ancora gioco di bambini, gioco di specchi, squadernato in una coreografia a tratti simmetrica. Secondo una connotazione psicologica coerente, Clitennestra-Elettra manda dagli occhi e dai gesti un eros incestuoso e fusionale, tatuato a fior di pelle nel velo dei body color carne di Alice Raffaelli (già nell’Agamennone) e Roberta Racis. Al montaggio più complesso dell’Agamennone, in cui il ragionamento scenico di Cosimi denotava la coerenza di un lettura e di una restituzione drammaturgica di spessore saggistico, fa fronte la forma frammentata, a tratti immatura della performance, ben più parca di enunciati e schemi teatrali. 

foto di Piero Tauro

La segmentazione si diffonde nel respiro coreografico, spezzato da ricorrenti esodi delle figure in scena che corrono via, oltre una porta laterale incorniciante un terrificante capirote. L’andirivieni scandisce una sorta di catwalk (spesso il segno glam, sospeso tra fascinazione e ironia, ha attraversato l’immaginario di Cosimi), ma è più una sfilata di bambine e bambini che imitano la violenza del mondo adulto, immortalato nel suo gioco ipnotico e perverso, indagato nelle possibilità plastiche del cadere e del rialzarsi. Se su quella passerella scorre la parusia del tragico, del destino di un eroe “imprigionato dal conflitto tra il porre nuovo ordine al mondo e l’essere dannato a vita per l’assassinio della propria madre”, l’atto matricida è tuttavia edulcorato in una battaglia a suon di pelouches, la vendetta è degradata a schermaglia puberale. I giocattoli lanciati non sono però innocui: straniati dall’atmosfera libidinosa, ricordano l’ambiguità degli objects surreali di Mereth Oppenheim, in cui l’eros è già indagato come segno politico. Questa tempesta di segni iridescenti e ineffabili trova nel disegno luci di Gianni Staropoli, da anni vicino al lavoro di Cosimi, un commento sempre misurato, forse la scrittura più certa e rifinita dell’esito spettacolare.

foto di Piero Tauro

Se sin qui non è menzionata la funzione corale delle coefore, giovani danzatrici dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma, è forse per una certa irrisolutezza drammaturgica, per l’indecisa interazione fra le figure nerovestite e la partitura affidata ai quattro performer. L’apporto mortifero nell’economia del mito e della performance è veicolato dalle movenze ieraticamente funeree della prima parte, e da brani di danza sfrenata nella seconda, in cui “coloro che portano il cibo ai defunti” diventano anche le Erinni che scacciano l’eroe dalla città. Lo svuotamento della scena, un playground abitato infine solo dai pupazzi ammonticchiati alla rinfusa dopo la battaglia, è infatti l’esito apocalittico di questo secondo attraversamento di Cosimi nell’Orestea. C’è una spietatezza puntuale e precisa nel riconsegnare il pubblico al lockdown dei teatri con questo triumphum mortis, in cui le presenze fisiche lasciano luogo al sound estremo e postremo di Lady Maru, dj mascherata da nera mietitrice che, con tanto di set su carello obitoriale, dà il via alle danze quando tutto è ormai compiuto. Gli applausi seguono la forma sincopata della performance: esplodono e implodono a più riprese, restituendo la temperatura emotiva di un pubblico devoto (quanto copioso), ma interiormente rotto dalla profezia di un finale che si vorrebbe diverso, un pubblico fotografato con grazia eloquente nelle mani di due giovanissime spettatrici che si afferrano per tutta la serata. Poi la tensione si scoglie nell’applauso più fluido tributato al direttore di REF Fabrizio Grifasi, che salutandoci ricorda i considerevoli numeri sin qui registrati da questa edizione mutila del festival, in risposta a quanti (forse in primis a noi stessi) sfuggisse l’importanza anche economica del settore.

Andrea Zangari

Romaeuropa Festival, ottobre 2020

COEFORE ROCK & ROLL

regia, coreografia, scene e costumi: Enzo Cosimi
drammaturgia: Enzo Cosimi, Maria Paola Zedda
danzatori: Alice Raffaelli, Francesco Saverio Cavaliere, Luca Della Corte, Roberta Racis
figure in nero: Francesca Adamo, Carlotta Floridia, Francesca Formisano, Francesca Neri, Giulia Pirandello, Elettra Rossi, Valentina Sansone
assistente: Corinna Anastasio
musica dal vivo: Lady Maru
disegno luci: Gianni Staropoli
si ringrazia Filippo Lilli per il suono e Lorenzo Lupano per le maschere

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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