Un racconto dal Festival Trasparenze 2020, quest’anno anche nei luoghi del borgo di Gombola, in provincia di Modena
Cos’è una crepa?
Ciò che rimane, il vuoto, lo spazio rinnovato di una possibilità.
Oppure ciò che viene infranto, ciò che senza rimedio segna lo spazio di un’interruzione, di un distacco insanabile. In ogni caso la crepa è, per sua natura, sintomo dinamico di un cambiamento in atto, di un divenire che può terrorizzare e paralizzare, e insieme eccitare ed essere nuovo stimolo.
Si è svolto nel suggestivo borgo di Gombola (là dove era stato inaugurato il 31 luglio scorso), il terzo e ultimo fine settimana di Trasparenze Festival. Grande attenzione, chiamata dal luogo e dall’atmosfera di un appennino ancora ruvido e boscoso, è stata destinata ai temi della natura e della campagna. Un grande lavoro sul mito antico, quello svolto dal Teatro dei Venti in collaborazione con Vittorio Continelli (ne parla Enrico Piergiacomi), che si intreccia a una forma popolare e rustica di mitologia: dalla vita quotidiana cantata da Camilla Dell’Agnola e Valentina Turrini (O Thiasos Teatro Natura), alle mitologie calcistiche narrate con ironia e raffinatezza da Peppe Servillo, accompagnato al pianoforte da Natalio Mangalavite in Il resto della settimana.
Agire come oro tra le crepe, questo il sottotitolo dell’edizione 2020 del Festival. L’espressione, spiega Giulio Sonno, deriva dal Kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”, antica pratica giapponese che prevede di aggiustare oggetti rotti e frantumati con una resina cosparsa di polvere d’oro. Nella tradizione giapponese questi oggetti, lungi dall’essere di seconda mano, acquistano così nuovo valore, godendo di maggiore bellezza e preziosità.
Di crepe e oro abbiamo parlato all’Asineria di Gombola, nell’Appennino, seduti in cerchio. Riparare, salvare, recuperare. Questo il primo significato che salta agli occhi, specialmente in un luogo in cui ancora si respira una tradizione di tipo contadino, povera e volta all’essenziale. Ciò che si infrange può essere conservato. Non solo: ciò che si è infranto, quando risanato, diviene ancora più forte. È il tema delle ferite come sintomo di vita, dei graffi che sono segno di nuove stabilità e conquiste.
Passeggiando per il borgo di Gombola, recuperato dallo sfacelo in anni recenti, ci viene raccontato di una comunità semplice, di una vita scandita da ritmi regolari e rassicuranti, di un’attività umana connessa e in ascolto rispetto alla natura. Il kintsugi suggerisce anche questo: intervenire senza modificare, senza invadere, ma preservando e rispettando. Con questo spirito il borgo è stato salvato, tentando di saldare le faglie create dal tempo, tentando di mantenere viva la memoria del luogo e di valorizzarla e renderla nuovamente abitata tramite l’arte e la cultura, parola d’ordine il rispetto.
In questa prospettiva si inserisce anche Trasparenze. Salendo per la prima volta al borgo per una strada tortuosa che segue il profilo delle colline, oppure camminando per un sentiero scosceso nel bosco, la voce calda, suadente di Ermanna Montanari ci ha accompagnato nel tramonto leggendo alcuni estratti delle Miniature Campianesi, presentate a Modena qualche giorno prima, a ricordarci la differenza tra il ritmo serrato, in contro-tempo della città e quello disteso, regolare della campagna. Qui, nel vecchio borgo, seduti nel prato su tronchi d’albero, il tempo della terra torna a respirare e impone ai propri visitatori un ascolto nuovo. Per chi proviene dalla campagna, per chi vi è cresciuto, tutto questo può apparire retorico. Ma basta aver vissuto e conosciuto la città, per comprendere la rinnovata potenza dei luoghi silenziosi della natura.
Il Teatro dei Venti, nell’intrecciare quest’anno una nuova rete di relazioni con il territorio gombolese e l’appennino modenese, ha saputo tener conto di questa nuova dinamica progettando un’esperienza performativa profondamente legata al luogo ospitante. Sia le performance nel bosco, più propriamente site specific, che quelle organizzate nella piazza del borgo, tengono conto di spazialità e dimensioni peculiari, si sommano con delicatezza all’ambiente e con questo interagiscono. Camilla Dell’Agnola e Valentina Turrini, in Canti del vivo – Serenate, lamenti e altri canti dell’anima, cantando scendono dalla collina, dietro al piccolo cimitero scompaiono e risalgono verso l’area scenica senza fretta. Il lavoro di O Thiasos Teatro Natura propone un repertorio di brani della tradizione popolare, dai Balcani alla Sicilia, dal Veneto all’Appennino Emiliano. Sono canti di donne e di contadini, che nascono con la funzione di veicolare un sapere ma anche di farsi voce sincera, non edulcorata, di una visione franca, schietta del mondo. Le due attrici ce li restituiscono per lo più in una modalità a cappella, talora accompagnandosi con una viola e pochi effetti percussivi: i loro canti, voci ora più dolci ora più aspre della vita di una volta, si perdono nel tramonto e abitano la collina ormai notturna. Sullo stesso panorama Vittorio Continelli, in Discorso sul mito, racconta degli dei, mentre nel bosco, per lo studio Artemide e Atteone, ninfe e personaggi mitici si rincorrono e svaniscono. Poco dopo, nella piazza del piccolo borgo, di fronte alla chiesa illuminata, Peppe Servillo ci parlerà di una passione viscerale come quella per il calcio: quattro sconclusionati amici che possiamo immaginare in una piccola piazzetta di quartiere, forse simile a questa, e che partono alla volta della vittoria; i toni epici del racconto, gli aspetti più caricaturali, si legano con raffinatezza alle note del pianoforte e le canzoni, agli scatti più ironici del Servillo narratore. La dinamica scenica, seppur ridotta e semplificata, non risulta costretta dal poco convenzionale palcoscenico in discesa. Ciò che più ha importanza in questo contesto non è la consistenza dei singoli spettacoli e progetti, bensì il modo in cui essi riescono ad intrecciarsi tra di loro e con il luogo, il totale di un’esperienza e di una giornata, il senso di nuovo respiro e rinnovato incontro che può circondare la comunità che qui è convocata temporaneamente.
Che cosa significa oro?
Oro è un canto che giunge da lontano, al tramonto, dal crinale della collina. Oro è luce che filtra fra le fronde degli alberi, nel bosco. È oro la vita che torna ad abitare luoghi dimenticati, che si infiltra nelle crepe di un passato insieme vicino e lontano, ricordo e memoria viva.
Angela Forti