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Partita di tennis con Lolita. Tra Nabokov e Čechov

Recensione di About Lolita. Alla Biennale Teatro 2020 la compagnia Biancofango ha presentato una riscrittura dal romanzo di Vladimir Nabokov.

Foto Piero Tauro

“Il cinema mente, lo sport no”. La citazione di Jean-Luc Godard non si trova in esergo, ma viene proiettata soltanto verso la fine del debutto di Biancofango al quarto anno della Biennale Teatro curata da Antonio Latella. Edizione, questa, incentrata sul tema della censura (e su tutti i corollari, esortativi compresi, che ne derivano) che, nello spettacolo della compagnia diretta da Francesca Macrì e Andrea Trapani, si esplicita nel chiaro riferimento al romanzo di Vladimir Nabokov, Lolita, le cui vicende censorie sono note forse al pari delle vicende narrate. About Lolita non è un adattamento, però, quanto una riscrittura che isola alcuni momenti, li rielabora e li fa attraversare da una serie di riferimenti teatrali che diventano lente di ingrandimento, richiamo provocatorio, ricordo nostalgico. 

Che c’entra allora quella citazione con cui abbiamo aperto? L’abbiamo intesa innanzi tutto come un suggerimento di lettura delle bellissime immagini video che aprono lo spettacolo: una donna in mezzo all’erba di campo che scruta in camera con un sorriso accennato, ambiguo; si gode il piacere estatico del vento che le frusta i rossi capelli e, nel contempo, sembra quasi tralasciare un dolore inespresso.

Foto Piero Tauro

Strega e Madonna, assume, nell’inquadratura successiva, una postura cristica, totalmente immersa in un ambiente marino; ben presto alla sua figura si sostituisce quella di un uomo, ma sul suo volto la sofferenza è palese, anche se trattenuta come il respiro sott’acqua o come l’urlo che mozza le parole. Immagini troppo belle per essere vere? Emblema di un’idea idealizzata, che cozza con la realtà dei fatti e che, difatti, viene presto dimenticata. E se il cinema può mentire, o meglio può raccontarci un di più del reale, cosa racconta invece la scena? Totalmente ambientata in un campo da tennis, la regia di Francesca Macrì isola le funzioni di Humbert (qui interpretato da Francesco Villano, misuratissimo nel gestire viscidezza e supplica genuina), di Lolita (Gaia Masciale energica, leggera e spietata, col gonnellino e, fortunatamente solo per poco, gli iconici occhiali a cuore) e dell’ambiguo Quilty (Trapani stesso, che rende umano un personaggio altrimenti di contorno); tralascia la madre di lei e la sua morte, il giovane amante, i viaggi senza fine per i motel e la provincia americana, la fuga, il riscatto, la fine. A rimanere è l’espressione del piacere raccontato a mezza bocca all’amico/antagonista, quello desiderato e promesso soltanto in uno scambio di sguardi, nella foga ad ingozzarsi di  leccornie dannose (lollipop, marshmallow e fonzies che inondano a un certo punto le gambe della ninfetta) e, soprattutto, nel lungo allenamento-amplesso, in cui le quattro fasi della battuta del tennis diventano l’espediente per dare suono al godimento e allo sforzo e alla disperazione.

Foto Piero Tauro

Come quello sport che non mente, così, come due palline fuori controllo, scattano Lolita e il suo patrigno, avviluppati in un gioco che non sanno né come proseguire né come terminare, ma l’intento sembra proprio quello di rimanere sospesi nell’attimo. L’intuizione interpretativa, che pure trova un aggancio nel romanzo, in quanto davvero il tennis è uno sport amato dalla protagonista, diventa il segno e nel contempo l’ambiente concreto in cui far vivere questo dramma sospeso, in cui piacere e dolore sono parimenti mescolati.

Questa sospensione, del resto, si ritrova negli scambi di battute tra i due uomini, che parlano dell’impossibilità di trovarsi, ma manifestano al contempo anche una evidente impossibilità dialogica, dove ogni risposta slitta rispetto alla domanda, è sfasata o in netto contrasto. I due, come Casey e Jerry dei Tradimenti di Pinter, celano, dietro l’alone di cordialità e la presunta amicizia di lunga data, sospetti, insinuazioni, gelosie, senso di rivalsa.

Foto Piero Tauro

Attori anche da personaggi (in una scelta drammaturgica forse un po’ da limare con tutti i continui riferimenti al teatro) sono uomini del loro tempo, con il peso di una generazione in crisi e dell’età che avanza, che più che stordire in contrasto all’età di colei per cui hanno perso la testa, è afflizione innanzi tutto lavorativa, piena di rimpianti, impantanata nella logica dei progetti, del costante e insuperato riferimento ai maestri, ai drammaturghi che li hanno segnati, all’ambiente teatrale con le sue idiosincrasie. A emergere, in questo secondo habitat che diventa quasi un tema parallelo, c’è la presenza di Čechov (che Nabokov stimava molto) e un raffronto con Il gabbiano, come a suggerire similitudini tra Nina e Lola o tra Humbert e Trigorin, in quell’equilibrio (formale, ancora più che tematico) che appartiene a entrambi gli autori, tra realtà e sogno, tra sprofondamento e elevazione, ancora una volta tra piacere e dolore. 

Foto Piero Tauro

About Lolita è uno spettacolo chiaro nelle sue intenzioni, con un’ottima compagine attoriale, in grado di confrontarsi con un gigante della letteratura e restituirne una visione se non originale sicuramente fedele nella pur presente diversità. Lolita, che ha giocato col suo corpo, non è mai stata di carne, non era mai per sé, ma frammentata, come la Lo della mattina, la Dolly bomboletta durante la scuola, la Dolores dei documenti, Lolita, anche dopo la sua fine nel romanzo, non è stata più solo lei,  era un atteggiamento, era di tutti, un modo di dire, di essere, di agire; per alcuni anche un modo per rivendicare la propria indipendenza anche a scapito del resto. Se allora quella donna con i capelli rossi, bellissima, bugiarda, guarda dalla fantasmagoria cinematografica e in un’ultima proiezione sorride, forse Lei, senza più quel nome a etichettarla, forse potrebbe dirsi libera. 

“Che strana cosa sono il piacere e il dolore; sembra che ognuno di loro segua sempre il suo contrario e che tutti e due non vogliano mai trovarsi nella stessa persona”.  Socrate, in Platone, Fedone

Viviana Raciti

Biennale Teatro, Venezia, settembre 2020

ABOUT LOLITA
Un progetto di: Biancofango
Drammaturgia: Francesca Macrì e Andrea Trapani
Con: Gaia Masciale, Andrea Trapani, Francesco Villano
Regia: Francesca Macrì
Assistente alla regia: Andrea Milano
Luci: Gianni Staropoli
Video: Lorenzo Letizia
Direzione tecnica: Massimiliano Chinelli
Produzione: Teatro Metastasio di Prato e Fattore K
In collaborazione con: TWAIN Residenze di spettacolo dal vivo

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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