Cambio di sede per la XXIII edizione di Inequilibrio: il festival di Armunia lascia Castiglioncello e si trasferisce a Rosignano. Il racconto di questo nuovo inizio
Inequilibrio è stato uno dei miei primi festival di teatro ai quali ho partecipato, e sicuramente lo sarà stato per altri. Inequilibrio-Armunia-Castiglioncello-Castello Pasquini, si fa presto a giungere a conclusioni familiari, a una relazione, turbolenta, iniziata alla fine degli anni Novanta e proseguita fino a quest’anno, il 2020. Il nesso associativo è immediato e tiene uniti il festival, il progetto artistico che lo sostiene, il territorio al quale è stato legato e il suo luogo simbolo. Non è finita però, al di là di tutti questi tratti distintivi vi sono alla base le persone che finora hanno permesso tutto ciò e coloro i quali lo hanno accolto e seguito. Noi pubblico, loro organizzatori e poi la città ospitante. «Alla fine si ha bisogno di una fine?» ci ha chiesto, spiazzandoci, il poeta e artista Marcello Sambati al termine della presentazione del libro di poesia Viriditas tornare vivi di Ilaria Drago.
È proprio da una fine che inizia questa XXIII edizione di Inequilibrio, nei giardini di Piazza Carducci, nella loro inerzia pomeridiana, con il vento che ci consegna l’emozione pura e viscerale, incandescente tanto è la vividezza della parola, dei versi di Ilaria Drago da lei e da Andrea Peracchi interpretati, per i quali la stessa autrice ha cercato «di fare della ferita, una nuova fioritura». Non siamo però a Castiglioncello, perché Inequilibrio sarà ospitato a partire da questa edizione a Rosignano Marittimo, in cui si scriverà, come affermato nel programma, «una nuova storia di quel libro iniziato 23 anni fa a Castiglioncello, che non parlerà di nostalgia ma di creatività, passioni, intuizioni e nuovi inizi». Così quella fine racchiusa nella domanda di Sambati e alla quale, io come anche voi, sto ancora pensando, c’è stata ed è stata funzionale affinché il progetto artistico diretto dal 2014 da Angela Fumarola e Fabio Masi potesse continuare.
L’occasione risulta funzionale ad allargare il pensiero intorno ai luoghi dei festival, a come questi puntellino la geografia teatrale italiana attraverso una mappa, come si diceva all’inzio, di connessioni e identità, per cui segni specifici contraddistinguono le diverse realtà una dall’altra. Soprattutto per Inequilibrio, il legame tra idea e luogo è stato da sempre elemento identificativo di una direzione e non è stato dunque semplice, soprattutto in un anno come quello che stiamo vivendo, decidere di lasciare la location storica per trovarne un’altra. Una location non per forza diventa luogo, soprattutto se il rapporto istituzionale nei confronti dei progetti programmati è piuttosto limitato e limitante e impedisce la ricerca residenziale e l’accoglienza degli artisti: quando il luogo si limita a diventare un contenitore, all’interno del quale si possono classificare tutte quelle attività all’insegna dell’intrattenimento senza attuare una selezione critica, quella «parabola di un sempre» – altro verso di Drago pertinente alla nostra riflessione – allora forse sì, che ha bisogno di una fine.
Tuttavia, nel cambiamento di questa costante riconoscibile e quindi ricercata, di quella atmosfera che ha sempre caratterizzato Inequilibrio come tra i primi appuntamenti della stagione estiva, l’onere della perdita non può che essere previsto ed elaborato: perdita di pubblico? Di critici e operatori? Di terra e territorio sotto i piedi? La risposta da parte della cittadina di Rosignano non è mancata, a detta dei direttori artistici, il passaggio è stato accolto con fervore dall’assessorato che dopo anni di conoscenza a distanza, ha potuto contribuire direttamente al sostegno del festival. Sarà questo un abbrivio graduale, e anche difficile, inutile negarlo, i cui risultati saranno osservabili con maggiori complicazioni, se si considera inoltre la contingenza della pandemia da Covid-19. «È finita un’epoca» confesserà Fabio Masi, e il principio di quella attuale è stato un momento intimo, senza clamore, vissuto nella quiete, quasi fossimo ospiti in una nuova casa dopo un trasloco, a osservare come le persone a noi familiari hanno deciso di abitarla, quali le abitudini aggiunte, i vicini, ciò che si è portato e ciò che si è deciso di lasciare. Anche per gli artisti è stato così, i più presenti sia durante il lockdown che nei giorni del festival. A loro è andata l’attenzione e la cura per la fragilità e l’incertezza di questi mesi, il sostegno durante questa edizione la quale, anche se spostata a settembre e in un frangente di passaggio da un luogo ad un altro, non è stata di certo disattesa. Agli artisti Sambati, Alessandra Cristiani, Drago e Piergiuseppe Di Tanno è stato porto l’invito di “visualizzare” questo nuovo habitat e attraversarlo, comunicandolo, tramite la propria natura poetica, senza confine alcuno alla creazione in itinere, il cui processo residenziale ha dato origine ai site specific dal titolo Dell’invisibile/incarnazioni Azioni in natura e urbane dall’alba al tramonto. E se da un lato, l’attacco subìto dal performer Pierugo Le Bon (Di Tanno) è senza dubbio un atto esecrabile e violento, è tuttavia un sintomo di questa traduzione del luogo operata dagli artisti: una conseguenza illegittima ma degna di attenzione proprio per la frattura che questa incursione performativa ha determinato in chi ne è stato testimone impreparato ad accoglierla. In questa nuova sfida per Armunia, è stata inoltre costituita una «rete di spazi» che favorirà il perseguimento e consolidamento della ricerca e delle residenze e contribuirà a vitalizzare il Borgo medievale della cittadina di Rosignano. Così si sono resi disponibili gli spazi della nuova foresteria nel complesso del castello medievale di Rosignano Marittimo, dove attualmente Armunia ha la sua nuova sede, il capannone prove chiamato dagli artisti The Space, completamente attrezzato, il Teatro Solvay già da anni utilizzato per il teatro ragazzi, e per la stagione realizzata con Fondazione Toscana Spettacolo, la sala Don Nardini e l’auditorium Giuseppe Danesin.
In questi due ultimi spazi abbiamo assistito alla presentazione dei lavori di tre autrici dalla formazione eterogenea, le quali ci hanno restituito la densità di poetiche distinte e autonome. La prima, Francesca Sarteanesi, ha presentato la bozza del monologo Sergio, un affondo introspettivo sull’economia domestica di una relazione di lunga data: l’attrice e autrice ha lasciato gli astanti vogliosi di conoscerne lo sviluppo ulteriore, per la pregnanza interpretativa, la gestualità esile ma efficace e il ritratto neorealista di un qualsiasi “interno familiare”. L’opinione di zia Angelina di e con Rita Frongia è un altro testo, del quale sono stati presentati giusto i primi 15 minuti, che sottolinea maggiormente l’attaccamento alla sfera parentale traendo spunto proprio da una videochiamata, mezzo di contatto più usato durante la recente quarantena, per elaborare una riflessione stratificata che indaga le dinamiche sociali di una piccola realtà contadina, la politica, la religione attraverso il punto di vista della zia. Chiude il trittico, l’assolo T.I.N.A. (There Is No Alternative) della danzatrice Giselda Ranieri: slapstick coreografata rigidissima, maniacale nella sua perfezione formale quasi da avere la sensazione di poter mettere “stop” alla sequenza dei suoi movimenti. Ranieri è un esserino mutevole, un po’ schizoide anche, e dolcemente magnetico che attraverso voce e corpo sonda l’impossibilità di sfuggire all’overdose di stimoli che quotidianamente riceviamo: l’iperconnessione ha sostituito l’esserci, perciò l’ente non può che rappresentarsi nella sua onnipresenza bulimica e frammentata.
Seppur nella visione parziale dell’osservatore e nell’incertezza per il futuro, Armunia ha dimostrato di voler cimentarsi da capo nella costruzione di una dialettica col territorio, di voler definitivamente e finalmente un luogo per il festival difendendo il principio che «ci tiene insieme l’oltremisura». Quella capacità riletta in versi da Ilaria Drago che sostiene la tensione a proseguire in avanti, consapevoli dell’arduo compito di dover cambiare ogni volta la misura di noi stessi e della realtà circostante, incrociando nuovi ostacoli volenterosi di portarli, quando inevitabile, a una fine risolutiva.
Lucia Medri
Inequilibrio Festival – settembre 2020
VIRIDITAS_tornare vivi
di Ilaria Drago e Andrea Peracchi
SERGIO
Associazione Culturale gli Scarti/Murmuris/Armunia
di e con Francesca Sarteanesi
L’OPINIONE DI ZIA ANGELINA
Compagnia Esecutivi Per Lo Spettacolo
di e con Rita Frongia
T.I.N.A. (There Is No Alternative)
di e con Giselda Ranieri
Aldes
In collaborazione con Anticorpi XL