Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza scava nella Genesi e con Naturae compie, nel tempo della grande paura, una straordinaria opera di poesia, compie il rito del teatro. Recensione
E adesso come te lo dico? Adesso come faccio a fare spazio in me per te? La vita, qui in teatro, è affare dubbio, s’arrende a diventare una materia, si plasma e muta in altra vita, urgente e necessaria. E basterebbe dirti questo, ma no, non posso. Non sarei onesto. Non basta che trapassi in me attraverso, perché se ne abbia vita ancora, oltre il teatro. E allora scavo, di nuovo, alla ricerca di parole brade da legare a nodo stretto, tra me che scrivo e te, che leggi e dunque vivi. Perché ne ho bisogno, dici? È vero, ma è vero anche che il bisogno mio traspare in te, come in un’onda crespa si raccoglie il mare largo. Diversamente no, sarei in silenzio. E sola, asciutta, la scogliera che ci aspetta. Come altrimenti fare, allora, per dirti di Naturae – La vita mancata visto in carcere a Volterra, tra i detenuti attori e Armando Punzo che li guida e chiama, tutti, da 30 anni, Compagnia della Fortezza?
C’è un uomo, dietro il verde indigerito, in anticamera forzata; vestito in abiti di scena, seduto attende il turno, l’ora in cui sarà – lui – teatro; ha un’espressione assente, è forse concentrato, ripete a mente i passi da seguire. Una finestra, non lontano, corrompe ciò che ero poco prima: c’è un pappagallo in una gabbia, sul davanzale esterno, cinguetta fuori ogni silenzio della gabbia dentro. E un gatto nero, sulla linea tra l’ombra e il sole, con la coda al suolo batte il ritmo delle percussioni che nel frattempo funestano l’aria. È chiaro che sta per succedere qualcosa. Mi faccio coraggio, una voce me lo chiede: “Non aver paura!” e io mi affido; lo spazio si riduce metro a metro, il bianco accoglie il rosso come vene affiorano alla pelle, al centro un uomo trattenuto cerca di strappare briglie nere, ma nello stesso tempo le trascina a sé, porta sulla schiena tutto quanto gli sta alle spalle, che non vede con gli occhi, forse il passato, forse quel futuro impalpabile del non vissuto. Armando Punzo, l’ospite e ministro, sfoglia parole in una polifonia, come mazzi di fiori mescolati da cui trarre ben precisi petali: “Quel che sono, io lo respiro…” e l’aria d’improvviso diventa concreta e visibile, ogni quadro attorno è carico di simboli essenziali, ogni immagine ruba gli occhi a un’altra, ogni parola scalza via la precedente, eppure non è mai sovrabbondante l’impianto dei segni, finché si compie l’esperienza della bellezza, della reattiva felicità.
La musica di corde pizzicate, all’angolo della scena, segue il ritmo della percussione; presenze come fantasmi in biacca bianca esercitano congiunti il timore e il coraggio, emerge una sensazione languida di appartenenza all’inesistente: può mai esistere l’origine? Quali cause ha la Genesi? La finitudine dell’uomo è spesso immaginata a partire dalla conclusione, ma in parallelo anche l’inizio delimita il confine della vita; ecco che l’origine, pur essendo sorgente, non è altro che una tappa dell’inestinguibile: non il mondo esiste, ma il tempo. Un effetto ottico in bianco/nero copre il fondale, un uomo vestito con l’identica labirintica fantasia lo ricerca, lo abbraccia con i suoi arti limitati, con nostalgia gli vuole appartenere, ne ha i colori, le forme, ma non lo consiste, non più.
Genesi è, dunque, parte del tutto. E l’uomo che voglia schiuderla non può che schierarsi “contro” ciò che essa rappresenta: “Io non sono altro che una promessa”, dichiara mentre un albero artefatto, dal tronco secco e sottile, dipinto di rosso posticcio, tradisce e capovolge in artificio l’albero della vita, sconfina l’immaginario del principio mentre una voce di donna, in abiti orientali (Oriente, dove si leva il sole), con voce sospesa lo pronuncia. Così una mela morsa, un peccato, è ancora origine come da Scrittura oppure è ciò che resta di quel che fu una mela intera? La misura del divenire, sembra dire Punzo, non ha un punto da cui scaturire, non è che un urlo mozzato d’uomo, finito in sé stesso, nell’uniformità indeperibile del tempo. E antiche caravelle in mani umane volteggiano l’aria e non il mare veleggiano, appaiono fiere al vento invece immobile, come vessilli svettano sopra l’elmo agli officianti sacerdoti dell’impossibile scoperta (verso Occidente), combattenti del buio, ladri d’avvenire; avanzano, gli officianti, vestiti in drappi preziosi, puntano lance alla gola, solenni minacciano l’altro da sé, trafiggono il silenzio a conquistare il vuoto.
Ogni quadro produce simboli concreti che via via prendono vita a centro scena come una miniatura crescente, come caratteri di un rebus in cui ricorre l’azione; gli uomini si fanno marionette, il mare si asciuga condensato in sale, il prima e il dopo scompaiono in un teatrino: la verità e il ridicolo si contendono, alla pari, l’essenziale. Comprendi allora che non posso dire? Urla, l’uomo: “Io non ho una trama di vita, sono frammentario” e dirlo a te sarebbe dir che è vero, ammettere che esistere non è che sospensione dell’inesistenza. Mi credi? Dire è tradirne il monito segreto, nella paura che non vede fine e nel richiamo della morte attorno, in lotta tra desiderio e delusione, sarebbe un grosso azzardo cui solo la poesia, suono d’abisso giunto in superficie, concede l’innocenza.
Simone Nebbia
Leggi anche Compagnia della Fortezza: genesi di Naturae innocenti
Fortezza Medicea/Casa di Reclusione di Volterra – Luglio 2020
NATURAE
la vita mancata – 1° quadro
la valle dell’innocenza – 2° quadro
regia, drammaturgia Armando Punzo
musiche originali e sound design Andrea Salvadori
scene Alessandro Marzetti, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
coreografie Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
cura del progetto Cinzia de Felice
assistente alla regia Alice Toccacieli
aiuto scenografo Yuri Punzo
collaborazione alle scenografia Marian Josif Petru, Vitaly Skripeliov
collaborazione drammaturgica Alice Toccacieli, Francesca Tisano, Fabio Valentino
in scena Armando Punzo, Cristian Aiello, Sebastiano Amodei, Endrit Bajra, Carmine Balzano, Saverio Barbera, Franco Bellingheri, Karim Ben Mamì, Amaell Ben Nour, Nikolin Bishkashi, Filippo Bonura, Claudio Borgarelli, Isabella Brogi, Paolo Brucci, Valentin Bucur, Vincenzo Carandente Giarrusso, Maxwell Caratti, Francesco Cavallaro, Paul Andrei Cocian, Gillo Conti Bernini, Giuliano Costantini, Ismet Cuka, Indrit Demiri, Lucio Di Iorio, Fabrizio Dipasquale, Joussef El Khalidi, Nicola Esposito, Vincenzo Fagone, Faquan Fan, Francesco Felici, Giovanni Fontana, Salvatore Giordano, Nori Golemi, Francesco Guardo, Nunzio Guarino, Antonio Iazzetta, Fraj Imami, Massimo Interlici, Ibrahima Kandji, Naser Kermeni, Kujtim Kodra, Nik Kodra, Urim Laci, Giuseppe Licata, Vito Maenza, Domenico Maggio, Jinjie Li, Mbaresim Malaj, Jetmir Marku, Emanuele Matarazzo, Luca Matarazzo, Paolo Matija, Luigi Messina, Amin Montassir, Antonio Nastro, Tarek Omezzine, Marian Josif Petru, Marco Piras, Domenico Prospero, Andrea Taddeus Punzo de Felice, Marius Putanu, Hamadi Rezeg, Adrian Nicusor Saracil, Ivan Savic, Vitaly Skripeliov, Vincenzo Sorio, Gaetano Spera, Marian Stamate, Simone Tarantino, Timon Tarantino, Francesca Tisano, Mestan Thaqi, Fabio Valentino, Tommaso Vaja, Alessandro Ventriglia, Tony Waychey, Carlo Zingarello
collaborazione artistica Francesca Lateana, Alessandra Pirisi, Giulia Guastalegname, Elisa Betti, Luca Dal Pozzo, Adriana Follieri, Daniela Mangiacavallo, Marta Panciera, Eleonora Risso, Luisa Raimondi, Marco Mario Gino Eugenio Marzi, Massimiliano Carastro, Roberta Castorina, Carlo Genova, Sebastiano Sicurezza
hanno partecipato al gruppo di lavoro in chat durante il lockdown Federica Armillotta, Francesca Astrei, Pierpaolo Candela, Silvia Cioni, Roberta Rotante, Silvia Santagata, Alessandra Stefanini, Margherita Saltamacchia, Anahi Traversi, Elisabetta Irrera, Cristina Zamboni, Eden Tosi, Margherita Coldesina, Rocco Schira, Maria Bettiol, Luciano Caracciolo, Rossella Menna, Lorenza Ferrari, Letizia Zaffini, Fabrizio Parrini, Lidia Riviello, Elena Turchi, Aniello Arena, Ivan Chepiha, Placido Calogero, Giuseppe Venuto, Qinhai Weng, Giacomo Trinci