IL TUO NOME È DONNA, racconto della residenza diretta da Angelo Campolo dal 3 al 9 agosto. Prima edizione, Parco Robinson di Galati Mamertino.
Sicilia. Galati Mamertino è un piccolo paese immerso nel Parco dei Nebrodi, a 800 metri dal livello del mare. Il borgo vanta buona cucina, tradizioni sacre e una naturale predisposizione dei suoi abitati all’accoglienza e all’ospitalità. La cucina di Donna Santina ogni sera ha accolto le nove attrici protagoniste di questo progetto che dopo il rinvio a causa delle restrizioni imposte dal Covid, ha trovato una sede grazie all’attenzione da parte dell’amministrazione comunale. L’atmosfera unica del parco Robinson ci avvolge al suo ingresso tra faggi, querce, noccioli e oliveti. In questo luogo suggestivo, domenica 9 agosto, veniamo ad assistere alla restituzione finale della prima edizione della residenza artistica “Il tuo nome è donna”, ideata e diretta dall’attore e regista Angelo Campolo (finalista premio UBU 2016 e recente vintore del premio In-Box), da anni impegnato in un percorso di ricerca che lega teatro e tematiche sociali. Veniamo accolti da un sole caldo che lentamente si avvia al tramonto, mentre le 9 attrici sono ancora impegnate nel training guidato dalla coreografa Sarah Lanza. Al segnale di Campolo, tutti prendiamo posto nelle sedie disposte in cerchio. “Partiamo da un piccolo, semplice esercizio per capire il grado di ascolto del gruppo. Contiamo insieme, senza sovrapporci, da uno a venti. Che dite, vi va? Proviamo?”. Ed eccoci tutti coinvolti all’interno del laboratorio, pubblico e attori, a sorprenderci e ridere dell’impossibilità di eseguire un esercizio solo in apparenza semplice. “Per parlare di donne, oggi, credo che sia necessario stare in ascolto. È quello che ho cercato di fare organizzando questa residenza, lontano dagli estremismi, riflettendo insieme alle partecipanti, quanto sia difficile e inedito, a volte per le stesse donne, affrontare la vita con un sistema di pensiero diverso da quello maschile”. Per questo veniamo invitati all’ascolto delle storie raccontate da ognuna di loro. Storie in parte ispirate alle biografie delle attrici, al centro del lavoro condotto da Campolo nel corso della residenza. “Ho invitato ciascuna di loro a rimettere in discussione la consegna iniziale (il racconto di una persona realmente conosciuta), attraverso continue riscritture e confronti soprattutto incentrati sui reali bisogni che possono spingerci a trovare nelle parole che usiamo in scena, qualcosa che investa la nostra responsabilità, non solo come artisti, ma anche come esseri umani”.
Le storie che prendono vita davanti a noi, sono suddivise in due capitoli: “donne di terra”, in riferimento a figure femminili forti, concrete (madri, nonne, attiviste), e “donne d’aria”, che invece esplorano donne che hanno inciso nell’immaginario collettivo come Marylin Monroe, o figure storiche come Macalda di Scaletta, prima donna scacchista celebre e protagonista di una scalata sociale unica ai tempi della guerra del Vespro. Nell’atmosfera iniziale, conviviale e leggera, le parole di Federica, scandite in uno dei due microfoni posti al vertice del cerchio, ci introducono verso un’immaginaria via della libertà, popolata di sogni e immagini, dove non sembra esserci spazio per paure e ripensamenti. Ascoltiamo i racconti di Beatrice e Giorgia che, una sposando ironia da stand-up, l’altra con poesia e passionalità, tracciano due figure femminili forti, radicate nelle proprie abitudini e tradizioni, fino ad arrivare ad Alessandra che nell’immagine di un seme, generatore di vita, ritrova la battaglia per i diritti dei più poveri, portata avanti dall’attivista indiana Vandana Shiva. A concludere questa prima parte è il racconto di Isabella, attrice italo – svizzera, che in una lunga passeggiata al cimitero, ritrova il coraggio di confidare alla propria nonna tutto il suo amore/odio nei confronti delle scelte di vita intraprese. Sotto i nostri occhi, quella che, da premessa, sembrava una tranquilla prova aperta, storia dopo storia, prende una piega vibrante e coinvolgente. Da una parte e dall’altra del cerchio, mentre il sole si avvia al tramonto, assistiamo a confessioni che sanno di vita vera. “Uno, due, tre… devono essere cento!” è il mantra che ricorre nelle parole di Rosaria e Pamela, che narrano di Macalda e Morgana, come di donne spinte verso un incessante desiderio di bruciare vita, al di là delle convenzioni e delle costrizioni alle quali vengono sottoposte. E poi gli specchi, che frammentano e restituiscono cento, mille donne, incapaci di riconoscersi, come succede a Morena che, in una toccante confessione, riscopre il suo corpo di donna. E infine la carica sensuale e passionale di Sara che trova la forza di sfidare pregiudizi, convenzioni e tabù, nell’evocazione di donne anticipatrici di quella rivoluzione sessuale così necessaria oggi per parlare di donne in termini più sofisticati, al di là delle linee che dividono il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Alla fine, mentre applaudiamo calorosamente, restiamo con il desiderio di ascoltarle ancora quelle storie che sanno parlare al cuore e rivelano una forza drammaturgica sorprendente.
Qualche domanda ad Angelo Campolo, che per tutto il tempo dell’esibizione è stato in costante ascolto di ciascuna delle interpreti.
Da dove parti nell’ideazione di un progetto del genere?
Da una semplice domanda: possiamo permetterci di andare in scena, isolando le nostre proposte dagli avvenimenti a noi contemporanei? Sembra una provocazione, ma in realtà aprirsi a quello che avviene intorno a noi non dovrebbe essere scontato nel lavoro che facciamo. O vogliamo consegnare direttamente ai musei questa benedetta ostinazione che abbiamo nel fare teatro?
Da qui l’idea di realizzare una residenza.
Quello che insieme abbiamo realizzato in questi giorni non è un laboratorio o un workshop dove venire ad imparare qualcosa, ma un luogo di confronto, all’interno del quale ha trovato spazio anche una discussione intorno al senso del fare il nostro mestiere oggi. Ho cercato di stimolare ogni giorno un confronto tra attrici diversa formazione ed esperienza, proprio perché credo nell’importanza di ritrovarci insieme, soprattutto oggi, come lavoratori dello spettacolo, per capire, nel nostro piccolo, in che direzione stiamo andando, riconoscendoci o scoprendoci nelle nostre legittime differenze.
Come avete lavorato?
Siamo partiti da una riflessione intorno al valore e l’importanza che alcuni incontri assumono nella vita di ciascuno di noi. Incontri che possono cambiare, anche di poco, il nostro punto di vista sulle cose. Rispetto al mondo di raccontare l’altro da noi, credo che il teatro possa ricreare, o almeno tentare di farlo, quel senso di umanità di cui oggi sentiamo particolarmente bisogno, sia alla luce del momento difficile che stiamo vivendo in tutto il mondo, sia in considerazione delle difficoltà legate alla possibilità di fare il nostro mestiere. Elementi che ci spingono a interrogarci sul reale motivo per cui oggi andiamo in scena, affrontando spesso mille difficoltà.
Felici dell’accoglienza ricevuta?
Devo davvero dire tanti grazie. A tutta l’amministrazione comunale di Galati che accolto e sostenuto la nostra proposta, al fondo PSMSAD dell’Inps che ha reso possibile concretizzare questo progetto multidisciplinare. E un grazie speciale all’associazione Messina TB, diretta da Gaetano Majolino, che ha coordinato l’organizzazione e la logistica di questi giorni, attraverso il prezioso lavoro di assistenza guidato da Antonio Previti.
Appuntamento al prossimo anno!
a cura di A. Mantineo