Recensione. I sentimenti del maiale, scritto e diretto da Licia Lanera, è andato in scena nel programma del Festival delle Colline Torinesi al Teatro Carignano di Torino.
Lo spettacolo con cui Licia Lanera chiude Guarda come nevica, la trilogia sulla Russia novecentesca, è la riflessione di una donna che cresce e che ha una maledetta paura di invecchiare. Siamo indotti a misurare la nostra maturazione con lo spietato bisogno di lasciare una traccia, di moltiplicare noi stessi attraverso la creazione. Kurt Cobain, Ian Curtis, Vladimir Vladimirovič Majakovskij: la fortuna di morire giovani non è tanto (o non solo) quella di sparire all’apice del vigore artistico e dunque imprimere quell’immagine di enfant prodige stroncati dal destino, ma soprattutto – afferma Lanera in uno dei momenti più cinici e intelligenti, rovesciando lo stereotipo comune in cui si piange la mancanza di nuove opere e pensieri dell’artista morto prematuramente – la fortuna è proprio nel non dover dimostrare più niente, nel non dover dimostrare tutta la vita di essere l’artista in grado di affondare nel presente con le proprie idee. Meglio sparire prima, prima di imborghesirsi, anche perché poi il contraltare quotidiano di quel romanticismo da cartolina è il rapporto col sistema teatrale, stigmatizzato con l’immagine dell’F24, il famigerato modulo delle tasse.
«Ti dico la verità, certe volte provo un senso di invidia così forte per le ventenni che gli strapperei la carne di dosso»: la paura di invecchiare all’interno de I sentimenti del maiale, però, si mostra anche nello sguardo sulla giovinezza. L’attrice e autrice gioca questi momenti con un segno recitativo che cerca e trova la sincerità: è una questione di carne e sangue, è un sentore animalesco. E d’altronde qualcosa era già avvenuto in Cuore di cane, nel recupero di un certo piacere per il gioco teatrale, quello della maschera e dei dialetti, che non teme di far interagire l’alto con il basso, l’altissimo con il triviale. Chi conosce il lavoro precedente dell’artista barese, quello confezionato con le drammaturgie di Riccardo Spagnulo ai tempi di Fibre Parallele, troverà nel finto, ma credibile, maiale appeso e nel monologo dedicato alla sua uccisione un rimando proprio a quel teatro terrigno e feroce, alla violenza di un Sud popolato di mostri. Ora però quel paesaggio può tornare rinnovato, per certi versi placato, mondato grazie alla ricerca sui classici russi, all’ironia fantastica di Bulgakov, alla perfezione orchestrale di Cechov, alla poesia carnale di Majakovskij.
Ma il maiale è finto. C’è un altro piano, quello della rappresentazione appunto, nel quale i due attori – insieme a Lanera c’è un altrettanto puntuale ed efficace Danilo Giuva – giocano ad essere sé stessi durante le prove dello spettacolo, dunque con un meccanismo metateatrale svelato sin da subito ma che, appunto, come la questione del confinamento, è solo un vestito all’interno del quale far germinare questioni più profonde del quotidiano. Lo spazio e il tempo asfittici del lockdown sono il brodo di coltura nel quale far crescere i mostri. Ed è centrale proprio il ruolo di Giuva, con la sua recitazione geometrica e apparentemente più fredda di quella di Lanera, in grado però poi di esplodere quando il suo ruolo di spalla catalizzatrice diventa di primo piano.
«Che cosa voglio dire? Come? Chi sono? Io. L’attore. Il personaggio. Ma che cosa ci voglio fare di questa arte? Esattamente. Voglio godere, certo, se non, che lo faccio a fare. Lo dovrò appagare questo bisogno della mia carne. Questo bisogno di stare al centro delle cose, al centro della vita degli altri. Ma devo trovare la forma». È la fotografia in movimento di un’artista stretta tra due poli, la necessità della ricerca e la corsa alla produzione. «Devi fare lo spettacolo, devi debuttare. Corri corri che hai da finire l’opera» le fa eco Giuva quasi incarnando la voce del sistema, l’ingranaggio metallico del Fus fatto di numeri, di recite e giornate di lavoro.
In questa strana stanza (di fronte alla solitudine delle poltrone rosse sfalsate del Carignano di Torino, per il Festival delle Colline Torinesi) in cui si intravedono tracce di storie apparse nello spazio come un gelido vento (l’abat jour di Cuore di cane, la neve del Gabbiano, le posizioni che ritornano di alcuni oggetti), c’è anche una rock band, suoneranno pezzi dei Joy Division e dei Nirvana. Lanera nel finale si fa strada nella melodia cavalcando il poema La nuvola in calzoni: è l’unico momento in cui Majakovskij entra in gioco direttamente, con un testo originale. L’amore, per quanto complesso, forse è l’unica certezza, unica salvazione; «è il cuore di tutte le cose». Ma noi di cosa abbiamo bisogno? Di un cuore di maiale da fare a fette in padella, come raccontato con precisione culinaria nel testo di Lanera, o di quel cuore umano e palpitante che il giovane poeta vorrebbe salvare con le carezze, dalle fiamme?
Andrea Pocosgnich
Agosto 2020, Teatro Carignano, Torino
GUARDA COME NEVICA 3. I SENTIMENTI DEL MAIALE
di Licia Lanera / ispirato alla figura di Vladimir Majakovskij
con Danilo Giuva e Licia Lanera / batteria Giorgio Cardone, chitarra e voce Dario Bissanti, basso Nico Morde Crumor
regia Licia Lanera
Compagnia Licia Lanera
TPE – Teatro Piemonte Europa
Festival delle Colline Torinesi