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Una famiglia. Il vortice degli affetti

Al Napoli Teatro Festival 2020 arriva Il dolore di prima di Jo Lattari. Regia di Mario Scandale. Con Arturo Cirillo e Valentina Picello. Recensione

Foto di Sabrina Cirillo

Ci sono consuetudini, norme non registrate, nelle forme di rappresentazione. Ad esempio, tra regia e scenografia, l’abitudine a un certo realismo suppone che, nella quasi totalità degli allestimenti, se poniamo il caso si stia trattando della storia di una famiglia, l’ambiente descritto dalle scene sia quello di un interno casalingo. E anche in tale stanza delimitata da pareti con porte e finestre, non di rado si ravvisa la presenza di un tavolo con delle sedie, forse una poltrona; ecco, forse più raro trovarci un triciclo di legno o, magari appena oltre la porta che dà sul giardino o balcone, la prospettiva di qualche pianta che dia l’idea di spazio esterno. È questo lo spazio in cui prende forma il testo firmato da Jo Lattari, autrice di Il dolore di prima (edito anche da Castelvecchi Editore) che Mario Scandale dirige per il Napoli Teatro Festival 2020, nello spazio della Fagianeria della Reggia di Capodimonte.

Foto di Sabrina Cirillo

Siamo in una città qualsiasi di una provincia che si suppone del centro Italia, la famiglia si trova in un particolare momento storico: la figlia più piccola (Valentina Picello), che vive al nord, torna a casa, richiamata dalla sorella più grande (Paola Fresa), sempre indaffarata con i figli, perché la loro madre (Betti Pedrazzi) è, si presume, ammalata; contestualmente c’è un fratello, fin dall’inizio solo evocato con l’appellativo di “quello”, il quale non appare mai se non nei loro appelli a uscire fuori dalla stanza e nel simbolico triciclo che, pare, gli sia appartenuto nell’infanzia. Tra di loro appare e scompare tra le musiche dei Platters la figura del padre (Arturo Cirillo), morto il primo giorno d’estate di qualche anno prima, che dialoga con l’intimità recondita di questa giovane figlia, la sola che probabilmente ne abbia un ricordo espanso e veritiero. La relazione tra i protagonisti si sviluppa pertanto attorno al problema centrale che è proprio la natura di quella relazione: la famiglia ha legami imposti, secondo un certo modo di guardare, ma anche i soli che, nel bene o nel male, valga la pena di coltivare, da un altro punto di osservazione; in questa dicotomia si articola l’intera drammaturgia, fatta di dialoghi serrati e frenetici, sia nell’interazione verbale che nell’occupazione spaziale, capaci di innescare e disinnescare in poche battute delle vere e proprie bombe a orologeria, tra i componenti della famiglia.

La regia di Mario Scandale, artisticamente giovane e con buone prospettive, descrive gli spazi con timidi rimandi, veicolando le istanze del testo attraverso simboli non ancora ben sviluppati e chiamando in aiuto elementi, il video su tutti, non sempre di buona qualità; maneggia un testo in cui non è chiaro quale sia il punto, non molto equilibrato nei pesi disposti dagli eventi (di certo nella vicenda che riguarda questo fratello fuori scena, l’elemento più dirompente e più nascosto), capace di produrre un estremo volume di parole e interazioni, ma scarsa concretezza utile a delineare o indirizzare gli obiettivi dei personaggi. Un corpo attori di talento e coesione – da segnalare la prova dei quattro, ognuno capace di porre l’accento sul proprio personaggio con scelte accurate – è di eccellente aiuto a veicolare il testo, non solo attraverso i dialoghi ma anche in brevi monologhi di natura più poetica.

Foto di Sabrina Cirillo

La famiglia, questo luogo sospeso di rapporti basculanti; i suoi componenti si avvicinano e allontanano come molecole, come mossi da una forza indipendente. Il dolore è di prima ma fa male oggi e la memoria di una famiglia resta, come in una pianta che cresce l’acqua che l’ha nutrita. Il tempo vi è dunque come sottratto al divenire, gli accadimenti attraverso il ricordo appaiono ora vicini ora lontani, ora in sequenza ora come esplosi in parole taciute per troppi anni e ora non rimandabili. Questo continuo vuoto in cui apparire in relazione agli altri, congiunti, è nello spettacolo un vortice che ha come conclusione sé stesso, senza soluzione di continuità. L’indagine, la ricerca del nucleo da definire attraverso la resa scenica, forse allora sconta proprio questa difficoltà peculiare e dagli avvenimenti prescinde, si distacca, quasi li umilia per l’incapacità di cambiare l’ordine degli affetti.

Simone Nebbia

Fagianeria, Reggia di Capodimonte, Napoli Teatro Festival – Luglio 2020

IL DOLORE DI PRIMA
di Jo Lattari
edito da Castelvecchi Editore

regia Mario Scandale

con Betti Pedrazzi, Arturo Cirillo, Valentina Picello, Paola Fresa

scene Francesco Fassone
luci Camilla Piccioni
costumi Nika Campisi
video Leo Merati
collaborazione scenotecnica Flavio Doglione
assistente alla regia Diego Pleuteri
foto di scena e grafica Manuela Giusto

produzione CrAnPi, Marche Teatro, Fondazione Sipario Toscana-Centro di Produzione teatrale, Sardegna Teatro
con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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