Analisi e racconto da Esperidi on the Moon, primo festival tra quelli di teatro contemporaneo a ripartire nell’estate 2020.
La XVI edizione de Il Giardino delle Esperidi Festival organizzato da Campsirago Residenza (Esperidi on the Moon) ha al centro il tema del rapporto tra natura e performance, dunque tra dimensione naturale ed espressività umana. Ideata ben prima dell’emergenza sanitaria, la tematica ha acquisito maggiore attualità con l’irrompere della pandemia. A detta del direttore artistico Michele Losi, quest’ultima ha confermato che il nostro mondo soffre di un «legame spezzato» con la natura (qui la video intervista). Inoltre, la pandemia ha reso «ancora più fragili le nostre esistenze» e costringe a ripensare l’arte come veicolo per «definire un futuro possibile e positivo».
Quando si parla di “natura”, ci si addentra inevitabilmente in un terreno scivoloso e complesso. Tale concetto è infatti spesso associato ad attributi contraddittori. La natura ora è identificata con ciò che è razionale, buono, regolare, costruttivo e viene in tal senso assunto come criterio normativo per una prassi felice, ora è letta come un organismo selvaggio, aggressivo, dissonante, distruttivo, ossia un brulicare di forze che sfuggono al controllo della ragione. Essa è allora per così dire un puro neutro. La natura non è né luce né ombra, ma entrambe le cose insieme. Il carattere ambiguo di questo organismo è ben espresso dai versi del De rerum natura di Lucrezio. Al cospetto del mondo naturale, egli confessa di essere preso sia da divino piacere, che all’inizio del poema è incarnato dal simbolo della dea Venere, sia dall’orrore che raggiunge il suo massimo di intensità, quando il poeta chiude l’opera con il racconto della peste di Atene.
Tenendo in sottofondo tale indicazione concettuale, si può provare a leggere l’operazione artistica di Esperidi on the Moon come il tentativo di usare la performance per comprendere su quali attributi della natura vale concentrarsi per «definire un futuro possibile e positivo». L’originalità del festival risiede nell’operare un interessante cambio di prospettiva. Si costruisce di norma una prassi positiva a partire dagli attributi luminosi della natura. È il caso della teoria ecologista, che parte dell’assunto che il mondo naturale è un organismo gentile e caritatevole, che va rispettato per i molti doni che fa alla nostra specie. Invece, Esperidi on the Moon costruisce una prassi o una teoria positiva che insiste sugli attributi oscuri della natura. Il suo volto autentico è quello di un coacervo di forze irrazionali dall’andamento imprevedibile, ma anche esaltante e vitale, che fanno capire quanto al confronto l’umanità sia insignificante. Riconoscere questa “massa” energetica e guardare l’horror degli abissi della natura consente così di costruire un teatro che aspira a far emergere qualcosa che è più immenso di noi
La selezione degli spettacoli del festival obbedisce a questo programma poetico generale. Tra quelli più rappresentativi, si può anzitutto ricordare Hamlet Private di ScarlattineTeatro: lo spettatore siede al tavolo davanti a un performer che lo guida a scoprire il proprio destino scritto nelle carte Talmeh (una variante degli arcani maggiori), arrivando a poco a poco a conoscere che il suo fato è identico a quello di Amleto. Si rivela, più nello specifico, che ogni esistenza umana è sospesa tra l’abisso limitante del dubbio e la voragine del desiderio infinito. Il suo dramma è così la ricerca di un’uscita della stessa «bufera» che trascina Amleto, una conciliazione tra questi due estremi. Il dubbio va reso meno ferreo e il desiderio va meglio controllato, arrivando alla sintesi del “dubbio desiderante”, o del “desiderio dubitante”. In ogni caso, la rivelazione che il destino di ciascuno coincide con quello di Amleto mostra come la natura umana sia il riflesso di un archetipo mitico che si ripete dall’eternità, di un fato atavico a cui nessuno può sfuggire.
Si può poi ricordare l’anteprima del Progetto Conrad- In to THEatre Wild, che unisce le ricerche della compagnia INTI e di Campsirago Residenza. Ispirato al romanzo Cuore di tenebra di Conrad, il lavoro dei collettivi artistici aspira in realtà alla non-performance. Lo spettatore intraprende un percorso dentro la natura che ripercorre simbolicamente il viaggio del capitano Marlow in Congo alla ricerca del commerciante d’avorio Kurtz, costellato dall’incontro con apparizioni impreviste, forze primordiali e personaggi oscuri. Durante il tracciato, però, solo poche cose sono programmate: un incontro con un attore mascherato da selvaggio (Luigi D’Elia), o l’ascolto di alcune registrazioni di estratti dal romanzo, attraverso alcune radioline nascoste tra gli alberi. Il resto è lasciato appunto all’accadimento imprevedibile. Lo spettatore che ascolta le parole di Conrad che parlano dei misteri primordiali/oscuri della natura è indotto a guardare quest’ultima con occhi nuovi, più attenti e insieme più inquieti.
Va infine menzionato lo spettacolo Vieni su Marte di VicoQuartoMazzini (Michele Altamura, Gabriele Paolocà, qui la recensione dopo il debutto), che indaga le ragioni del continuo anelare di noi esseri umani ad essere altrove, o ad andare nei luoghi più remoti dell’universo. A partire dal progetto realmente esistente e ancora attivo di Mars One, che si propone di fondare una colonia permanente su Marte, la compagnia immagina che la spinta del continuo proiettarsi in avanti è il bisogno di colmare il vuoto di senso. L’umanità va lontano per trovare l’appagamento che non trova negli spazi che già abita e conosce, nella speranza che questo pianeta distante lo renda finalmente felice. Ma il “sogno marziano” – che non si ferma nemmeno di fronte alla schiavizzazione dei Marziani che vivevano in pace prima dell’arrivo degli esseri umani – è destinato a infrangersi, di fronte allo spettacolo di una natura desolata e desolante. Vieni su Marte si conclude infatti con la lettura della favola del Woyzeck di Georg Büchner, in cui si racconta di un bambino che sale sempre più in alto nell’universo e scopre che la terra è un pezzo di legno marcio, il sole un girasole appassito, e che le stelle sono lucciole morte da tempo. Per quanto lontano si possa dunque andare, su Marte e anche oltre Marte, si avrà sempre lo sguardo fisso su una natura in putrefazione o in miseria, che dovrebbe razionalmente invitarci a fermare il nostro folle vagare.
La poetica di Esperidi on the Moon compie un duplice movimento cognitivo ed etico. Da un lato, essa cerca di manifestare il Dark Side of Nature, dall’altro immagina un Wild Side of Theatre. Il teatro è un tentativo di far accedere al cuore di tenebra del lato selvaggio della natura, che comporta una sfida ai nostri valori/comportamenti antropocentrici e dischiude l’orrendo pensiero della nostra collocazione marginale in un mondo incomprensibile.
Enrico Piergiacomi