Dall’isolamento e dal blocco di tutte le attività teatrali in seguito al lock down, è emersa Radio India, un esperimento condiviso assieme alle compagnie residenti a Teatro India, Oceano Indiano, e a Daria Deflorian. Intervista Francesca Corona, ideatrice di Oceano Indiano e consulente artistica del Teatro di Roma.
Tramite il mezzo radiofonico avete ovviato a quel problema obiettivo che ha avuto lo spettacolo dal vivo in questo periodo, ovvero l’impossibilità di essere presenti artisti e spettatori in uno stesso luogo. Ma Radio India sembra recuperare anche molte caratteristiche del performativo, peculiari della pratica artistica dei diversi curatori delle trasmissioni. Come è nata l’idea e come avete strutturato il palinsesto?
Radio india, come dicevi, è nata “grazie” al lockdown, uno dei pochi ringraziamenti che posso fare a questo periodo così complesso. La chiusura dei teatri è arrivata in un momento per noi di grande fermento e apertura, l’isolamento ha interrotto un processo che stava proprio in quelle settimane prendendo forma con forza. Dopo una decina di giorni di chiusura ho risentito le artiste e gli artisti di Oceano Indiano chiedendo loro di provare a immaginare un altro tipo di presenza, ci siamo chiesti insieme se e come mantenere attiva la relazione con il pubblico, un’idea, anche se ancora sfumata, di un progetto radiofonico è entrata subito nei discorsi con Oceano Indiano. Questo stesso invito a immaginare altre possibilità di presenza è stato condiviso con tante/i altre/i artiste/i il cui lavoro era previsto all’interno della stagione in corso, tra cui Daria Deflorian. Parlando con lei ho condiviso anche questa pista radiofonica, idea che ha raccolto il suo immediato entusiasmo, ed è anche questo slancio che ha segnato il passo per iniziarci a lavorare davvero. Per me e Giorgio Barberio Corsetti, come per tutto il Teatro di Roma, il progetto online nato durante il lockdown nelle sue diverse e articolate forme, di cui fa parte ovviamente la Radio, è stato certo un modo per tenere viva la relazione con i diversi pubblici ma anche una strategia per dare una minima continuità di reddito agli artisti e alle artiste con cui stavamo lavorando o con cui avremmo lavorato nei mesi successivi. Chiaramente questo invito è stato rivolto con molta discrezione, in una grande apertura di possibilità e formati, anche nel rispetto di chi non si sentiva a proprio agio nel dover trasformare il proprio fare artistico.
Radio India ha permesso a chi l’ha immaginata di continuare a lavorare ad un progetto comune, facendo emergere i propri linguaggi e atteggiamenti all’interno di un contesto largo e collettivo, in continua connessione redazionale. La radio poi era una parola e una possibilità che circolava nei discorsi di Oceano Indiano già da prima del lockdown. Muta Imago per il programma di aperture poi annullate per il lockdown, aveva proposto Indian Trasmission, concerti che poi sarebbero stati registrati e trasmessi come da uno studio radiofonico. Ci attirava poi l’idea di un archivio sonoro, la possibilità di creare qualcosa che potesse anche essere percepita altrove, al di là della geografia della città… Tuttavia, non avevamo ancora concretamente pensato alla possibilità di fondare una vera e propria radio.
Questa lunga premessa spero racconti anche una grande naturalezza nel processo, che ha trovato poi una sintesi chiara ed efficace in breve tempo. Abbiamo cercato di dare vita a qualcosa che non fosse il surrogato di quello che ci stavamo perdendo dal vivo, ed è stato bellissimo ritrovarsi intorno a un formato sconosciuto a tutti, in un primo passo tutti assieme, un gruppo di persone che immaginano percorsi di ricerca, formati, discipline e atteggiamenti molto diversi tra loro.
Uno degli elementi che ha fatto la differenza sia nel nostro fare che nella relazione al pubblico è stata la quotidianità della programmazione, quel “tutti i giorni” che la rendeva così vicina alla quotidianità propria dei luoghi del teatro. Chiaramente, per una redazione domestica e avendo a disposizione solo quello che le/gli artiste/i avevamo nelle nostre case, essere on-air tutti i giorni per tre ore al giorno è stata un’avventura monumentale!
La radio è uno strumento meraviglioso, che trovo abbia una grande affinità con il teatro e la performatività, anche la radio riesce a creare quell’intimità così propria dello spettacolo dal vivo: sappiamo che siamo in tanti ad ascoltare, ma hai la sensazione che quella cosa stia accadendo proprio per te.
Un altro aspetto che è emerso anche da quanto dici, e che ovviamente accomuna mezzo radio e mezzi performativi, è quella della condivisione di un’azione. Penso ad esempio all’impatto di 4’33’’ che parte dall’invito di Cage a recuperare le soglie imprevedibili di uno spazio non destinato per essere ascoltato e che però si fa invece evento sonoro concreto, partitura; agli stimoli di ascolto di Vancouver quasi fossero dei diari che invitavano a prendere parte attiva a partire dalle narrazioni; ai Bagni di suono con le proposte sonore e musicali; all’iniziale spazio libero di essere riempito dalle dediche. Che tipo di risposta avete avuto?
Quando abbiamo iniziato non sapevamo minimamente quanto sarebbe durata, ci siamo detti iniziamo e continuiamo finché abbiamo fiato, finché sentiamo che risuona. La prima fase è durata 45 giorni e la risposta è stata enorme, ben al di sopra delle nostre aspettative. La piattaforma che abbiamo usato è Spreaker, e analizzando quotidianamente i dati abbiamo scoperto di avere moltiplicato il pubblico di quello che materialmente avrebbe potuto assistere alle proposte a India. Abbiamo avuto una media di 700/800 podcast di ascolto giornalieri, per un totale di 30.000 tra ascolti live e podcast scaricati. Chiaramente ancora adesso gli ascolti continuano, Radio India è ora un archivio potenzialmente sempre riproducibile: può essere riascoltata e riattraversata secondo altre prospettive e altro ordine.
Il programma 4’33’’ che citi è stato il nostro mantra quotidiano. Ci sono arrivate registrazioni non soltanto da Roma, ma anche da tutta Italia e dall’estero, dall’Iran, da New York: la continua conferma della potenza senza confini del suono. Dunque, oltre ad averlo moltiplicato, siamo arrivati anche a un pubblico che a India non sarebbe mai venuto: o perché più appassionato di radio, o perché fisicamente non a Roma.
C’erano poi anche tante altre trasmissioni che prevedevano un alto grado partecipazione. Per esempio, Gruppo 2020: una rubrica radiofonica ma anche una call organizzata da Industria Indipendente e lacasadargilla, rivolta a scrittori e scrittrici tra i 13 e i 20 anni, ai quali si chiedeva di inviare racconti di fantascienza o horror – categorie letterarie perfette per il periodo che stavamo vivendo. Ci sono stati tantissimi invii e alcuni sono diventati dei racconti radiofonici. Il progetto è andato così bene che sta continuando attraverso la messa in video di altri racconti e a luglio si tramuterà anche in un laboratorio di scrittura, ampliando e affinando quanto emerso durante la prima fase.
Dopo la prima fase, dal 3 luglio seguirà una nuova traccia non soltanto radiofonica ma anche in presenza. Cosa cambierà in questa “fase 2”?
Ad un certo punto è diventato evidente che la radio doveva cambiare passo e che quel primo ciclo. Il mondo riapriva, e noi, dopo questa immersione gigantesca in cui la radio era particolarmente pervasiva, abbiamo sentito il momento di mettere un punto per tornare a una dimensione diversa. Dunque, a partire dal 3 luglio prenderà vita Cronache fluviali. La “grana” e l’atteggiamento sono gli stessi, ma il ritmo e la modalità cambiano: si trasmetterà da India, dunque uscendo dalla dimensione domestica, quello che era il bar (per questo periodo estivo spostato all’aperto) diventerà lo studio radiofonico, sarà visibile da fuori, sarà fruibile live sia “in presenza” da India sia online e poi chiaramente in podcast. Abbandoniamo le rubriche riconoscibili e curate dai singoli artisti ed entriamo in una creazione più collettiva e fluida. Per 3 ore al giorno, ogni venerdì e sabato di luglio, per 24 ore totali, un unico flusso, tutte/i insieme. Cronache fluviali, diventa un viaggio alla deriva verso il mare aperto. Ogni week end ha un titolo, una fase del viaggio: Partenze, Navigazioni, Avvistamenti, Mare aperto. Il Tevere è una delle anime di India e il fiume è per eccellenza un luogo trasformativo, un perfetto stratagemma visivo e immaginario per viaggiare da dove ci troviamo – geograficamente, politicamente, socialmente, verso il fuori, sbandando in derive inimmaginabili.
Il passaggio di consegne di Barberio Corsetti da direttore generale a direttore artistico e le polemiche che ne sono conseguite hanno influenzato il tuo lavoro? Come rispondi a chi dice che quando ci sarà un nuovo direttore generale, questi non avrà la possibilità di scegliere i suoi consulenti, ovvero te e Corsetti?
Il passaggio di Corsetti da direttore generale a direttore artistico è stato un passaggio condiviso, processato e deciso da Corsetti insieme al CdA e ai soci del TdR, come primo step per poter articolare diversamente la direzione del teatro, lasciando spazio ad un’idea di direzione plurale, responsabile, articolata. Quindi no, questo passaggio non ha influenzato il mio lavoro nei termini dell’immaginazione artistica, che è sempre stata condivisa e plurale. Il dialogo con Corsetti è il panorama nel quale si sviluppa il nostro progetto artistico, pienamente consapevoli del fatto che questo teatro non ci appartiene, ma che siamo qui chiamati a condurlo altrove, a partecipare con tutte le scelte quotidiane che prendiamo a immaginare un’istituzione del futuro, e che tutto questo è un lungo processo, urgente e necessario. Le polemiche che ne sono conseguite sono state molto diverse tra di loro, dalle accuse di aver trasformato India in un « centro sociale », a richieste di una comunicazione istituzionale con migliore tempistica, a divagazioni sulle legittimità di queste scelte.
I soci del Teatro di Roma e il suo CdA hanno sostenuto e continuano a sostenere la direzione artistica di Giorgio Barberio Corsetti con la mia consulenza e sta in effetti proprio a loro scegliere i « consulenti artistici », il CdA appena nominato individuerà un direttore o direttrice generale che accompagnerà questa direzione artistica, una direzione generale che si occuperà della gestione di questo sistema culturale complesso che è il Teatro di Roma, affiancandola. Il centro e il motore del nostro lavoro è il progetto artistico e culturale, lavoriamo tutte e tutti perché questo possa essere un modello di direzione articolato, muovendoci insieme verso un teatro che non ha controparte ma che si muove insieme, in modo organico, verso il futuro.
Tra le tante questioni emerse in questo periodo fuori dall’ordinario, c’è sicuramente quella consapevolezza della fragilità del nostro sistema lavorativo, che in questi mesi ha esposto il fianco alle contraddizioni, alla perenne precarietà. Che ne pensi in relazione alle questioni sollevate dai vari gruppi, e come pensi che si evolverà la situazione?
Rispetto le lotte che stanno emergendo anche nel nostro settore, le seguo con attenzione e alcune le sostengo personalmente. L’elemento che rimane per me imprescindibile e dirimente è quello dell’intersezionalità delle lotte, non è davvero più pensabile portare avanti lotte che non siano condivise. Senza questa profonda e radicale alleanza tra tutte le urgenze, le battaglie e le lotte fondamentali per i diritti, perdiamo la possibilità data da questa grande destabilizzazione. Nella spaccatura che si è creata si devono riaffermare delle esigenze radicali e il più ampie possibili. Non possiamo ragionare per compartimenti, per settori, la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo credo debba sostenere e far risuonare le lotte di Black Lives Matter, le lotte dei braccianti, le lotte trans-femministe. L’unico modo di andare avanti è tutte/i insieme, nella volontà di essere corpo assieme agli altri corpi.
E questo credo possa e debba convivere con delle battaglie specifiche a livello legislativo e di tutela, ma è un piano che credo vada sempre tenuto insieme con un’alleanza feroce con tutto quello in cui crediamo. Quello che cerco di fare, sia personalmente che istituzionalmente, è di tenere insieme questi aspetti, queste diverse angolazioni dei processi e delle possibilità. E credo che anche lavorare all’interno di un’istituzione come il Teatro di Roma, sia una possibilità per contribuire alla messa in discussione di un sistema, lavorando quotidianamente al creare le condizioni per fare spazio ad un’istituzione del futuro.
Passando invece allo spazio teatrale, la pandemia ha interrotto le attività che avevate previsto, alcune delle quali verranno recuperate all’interno di questa stagione estiva. India, così come Argentina tornerà ad essere popolato: come avete pensato a questo viaggio, che si chiama appunto Verso il ritorno?
Verso il ritorno racconta bene la gradualità di questo riavvicinarsi, la volontà di riprendere spazio ripercorrendo le funzioni di questo teatro, una specie di carotaggio del nostro fare. Il 15 giugno sono stati gli artisti e le artiste che hanno ripreso confidenza con gli spazi teatrali facendo soprattutto prove, ma anche provini, allenamenti, riunioni, a India, all’Argentina e anche a Torlonia. Dal 29 giugno a India ha riaperto la Scuola Serale, uno dei progetti più importanti di India che aveva avuto una vita brevissima ma già incredibile. Dei tre corsi iniziali (il coro con Monica Demuru, le pratiche di ascolto con Pescheria e il movimento con Silvia Rampelli) in questa fase estiva abbiamo deciso di proporre alla cittadinanza un ciclo di incontri di Corofilla (il coro) e di Bagni di suono (l’ascolto), quei percorsi che meglio si prestavano alle condizioni di protezione e sicurezza, senza esserne snaturati e che potessero essere svolti all’aperto. Da ottobre la Scuola Serale ricomincerà nella sua completezza, sarà un basso continuo che ci accompagnerà per tutta la prossima stagione. La terza apertura è prevista il 9 luglio, quando apriamo gli spazi esterni di India a un programma di spettacoli e performance (una preview della programmazione estiva è già avvenuta il 2 luglio all’Argentina): abbiamo composto questo programma scegliendo alcuni dei lavori che abbiamo perso nella seconda parte di stagione, anche in questo caso capendo insieme agli artisti e alle artiste quali fossero gli spettacoli più adatti ad una programmazione all’aperto e rispetto alla fase nella quale ci troviamo a lavorare.
Apriremo India con Turning_Orlando’s version di Alessandro Sciarroni, un nuovo capitolo della sua ricerca partita dall’osservazione dei fenomeni migratori, in questo caso esplorando la pratica della danza classica e del lavoro in punta. Proseguiamo con due dei Red Reading di Bartolini/Baronio che avremmo presentato in primavera a Torlonia, e con grande emozione riprenderemo Jukebox di Encyclopédie de la Parole con Monica Demuru, spettacolo che andava in scena il giorno di chiusura dei teatri. Le Domeniche Indiane di teatrodelleapparizioni non potevano essere ripresentate così come ce le ricordiamo, il progetto nella sua fluidità sarebbe stato troppo snaturato dalle restrizioni, per cui la compagnia propone ora un altro formato dal titolo Ritorno al teatro, creato per 40 spettatori dai 7 anni in su.
India come sua tradizione dà spazio anche ad altre associazioni e realtà romane che lavorano su formati e progetti culturali, a luglio quindi ospiteremo Dominio Pubblico (che avrebbe dovuto svolgersi i primi di giugno) e poi Fuori Programma, il festival di danza diretto da Valentina Marini, già ospitato a India lo scorso anno.
E la stagione prossima?
Smontata e rimontata decine di volte! Quando è arrivata la chiusura dei teatri, la stagione 2020/2021 era vicina alla definizione, è stato quindi molto laborioso, e lo è tuttora, trovare un equilibrio. In autunno era già prevista le presentazione al pubblico di alcuni dei nostri progetti produttivi, e questa è la parte di stagione che ha subito meno stravolgimenti. Aspettiamo soprattutto di definire la modalità di accoglienza del pubblico e il numero di spettatori e spettatrici che potranno accedere agli spazi.
La seconda parte di stagione si articolerà tra la riprogrammazione degli spettacoli che abbiamo perso in questa primavera, le ospitalità e le coproduzioni internazionali e tanti altri progetti di artiste/i e di compagnie romane e nazionali.
A settembre abbiamo previsto un momento di passaggio per noi fondamentale, che si chiamerà Cantiere dell’immaginazione: è un progetto di tutto il Teatro di Roma, un cantiere legato al pensiero, all’attivismo, alla relazione tra arte e politica, dando spazio, prima di iniziare con la stagione, a tutte quelle istanze che si sono rafforzate in questo periodo di crisi, in collaborazione con chi conduce queste battaglie dal punto di vista associativo e/o individuale. Riteniamo che sia un momento fondamentale per allenarci a questo futuro in modo consapevole, certo non per tornare al “prima” perché la normalità “di prima” fa parte del problema. Speriamo che ci possa ancora essere un residuo di possibilità, che tutto non si richiuda, che questa crisi possa avere degli elementi di ripensamento sostanziale.
Viviana Raciti