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Napoli e il conflitto di Koltès

Apre il Napoli Teatro Festival 2020 con Nella solitudine dei campi di cotone di Koltès, per la regia di Andrea De Rosa. Con Federica Rosellini e Lino Musella. Recensione. Dal 17 al 29 maggio 2022 al Teatro India di Roma.

Foto Salvatore Pastore

Il treno in partenza ha un ritardo di. Eccola la voce delle stazioni, mi mancava anche l’annuncio del ritardo, correndo da un treno all’altro, per andare a vedere spettacoli ovunque. E con lo stesso, di ritardo, è ripartito il teatro. Lo ha fatto nelle grandi e piccole città, sta abitando luoghi metropolitani e angoli nascosti tra le montagne, affacciati sul mare; il teatro, la danza, la performance, ogni espressione dell’umano che l’umano rappresenta, è tornata a parlare e far parlare di sé. Ma qual è la lingua, ora, del nostro teatro? Le distanze e la disinfezione, la temperatura del corpo e la circospezione nel foyer, ogni elemento offerto dal dibattito sulla gestione del post-pandemia è finito nel dibattito sulle arti sceniche, generando più di un dubbio sulla reale fattibilità dell’alzata di sipario. E però non ce l’ho fatta e, se il treno partito dalla Torino di Summer Plays finiva nella città del Napoli Teatro Festival 2020, proprio a Napoli sono sbarcato per un altro – titubante ma coriaceo – esperimento dell’esperienza.

Foto Salvatore Pastore

Dunque, a partire dalle differenze storiche e sociali che le due città qui esemplari portano in seno, vi sono poche difformità di protocollo: in entrambi i casi l’ingresso negli spazi festivalieri è contenuto in una misura ordinata, quasi maniacale, frutto di una aderenza precisa ai dettami medico-sanitari. E questo non sorprende, perché lo stesso è il mandante finanziario e culturale che li determina: lo Stato, attraverso le sue espressioni istituzionali locali, che non può ammettere di contravvenire alle proprie stesse disposizioni. Ma anche fuori, tutto sommato, la metallica Torino e l’incandescente Napoli si somigliano nei luoghi aperti alla socialità, dal Parco del Valentino in festa per la musica ai turisti sul Lungomare Caracciolo, poco è lo scarto e fin troppo evidente la necessità di contatto.

C’è posto solo alle 23.30 (!) per assistere al debutto di Andrea De Rosa, che allestisce, in un cortile interno del Palazzo Reale, Nella solitudine dei campi di cotone (1986) di Bernard-Marie Koltès, dirigendo in scena Federica Rosellini e Lino Musella. E il posto è di per sé un lusso, considerato il fatto che nel giorno di apertura della biglietteria in mezz’ora si era già al tutto esaurito, quindi in poco tempo il pubblico napoletano ha raccolto l’invito alla partecipazione, chissà ora se per una impellente necessità al teatro in sé, scelto con dettagliata volontà, oppure con l’intenzione di raggiungere finalmente, dopo mesi di chiusura, l’ingresso in una serata sociale ma esclusiva.

Foto Salvatore Pastore

Si comincia in luce piena, solo dopo e poco a poco arriva il buio: Rosellini attende in scena, definisce la distanza testuale da Musella che giungerà dalla platea, in corso d’opera, fornendo “l’altro” alla forma dialogica attraverso cui Koltès articola questa pièce che scava nei protagonisti a estrapolarne derivati concettuali, filosofici, molto densi. Quello del drammaturgo francese è un dialogo dell’assoluto, un mistero celato in un abisso per metà interiore, individuale e per metà costituito dalla relazione; il linguaggio è ricco e complesso, pieno di metafore e arguzie, muove dal tema del desiderio visto però nell’ottica di rapporto tra acquisizione e privazione, tra offerta e lusinga, quel sottile e pericoloso gioco tra scelta volontaria e abbandono.

È una penombra occlusiva quella che segue alla piena luce, il percorso del protagonista dunque, nella regia di De Rosa, procede da un punto alto, aereo, fino alla terreità del confronto, è costretto a rinunciare a una libertà luminosa per andare incontro alle oscurità della coscienza più profonda. Ma non accade solo con la luce (disegnata da Pasquale Mari): dai corpi incastonati in scena su piani sovrapposti alla contrapposizione tra il suono insistito di pianoforte e il silenzio (progetto sonoro di G.U.P. Alcaro), tutto concorre a definire il conflitto espresso dal testo di Koltès. La determinazione dei movimenti è delicata, avvolge di luce le parole come a volerne esaltare la profondità, ne asseconda il ritmo fin quasi all’ossessività; la mobilità ridotta sul palco è una precisa scelta di veicolare il testo con una efficacia derivata dalla presenza, dalla compiuta occupazione dello spazio a opera dell’intero corpo e dei gesti che ne definiscono le intenzioni.

Foto Salvatore Pastore

Quella densità che non cala mai, talvolta intrisa di compiacimento, è una lotta aspra, quasi eroica, per un attore: ne esce meglio Musella che ha più libertà d’azione e al quale è affidato il ruolo del “cliente”, colui cioè per cui già da testo è prevista un’evoluzione; fatica di più Rosellini cui è richiesto l’arduo compito di dimorare in uno spazio e in un abito immobilizzanti, curando assieme un’espressione che più di una volta la tradisce, anche e soprattutto per la difficoltà di ricoprire un ruolo già di per sé maschile, quello del “venditore”, che ha meno agio al mutamento nel corso dell’opera, nonostante il regista lo trasformi in una attrice dimenticata sul palco. Ne nasce uno spettacolo dalle buone intenzioni e dalla resa non ancora messa a punto, certo per la mancanza di tempo in prova e per una disagevole, improba replica in piena notte; e tuttavia, a margine di tutti i suoi difetti, anche questo lavoro insiste una volta di più nel rimarcare la necessità che il teatro possa interpretare il nostro tempo, come lo stesso De Rosa esprime nelle sue note: uno spazio vuoto e al centro una trattativa che ne definisce l’abitazione, accorda volontà e accettazione, misura il senso, l’entità della rinuncia al quale ogni uomo è chiamato per la propria trasformazione.

Simone Nebbia

Palazzo Reale, Napoli Teatro Festival – Luglio 2020

Prossime date in calendario tournée

17-29 maggio 2022 Teatro India di Roma

NELLA SOLITUDINE DEI CAMPI DI COTONE
DI BERNARD-MARIE KOLTÈS
TRADUZIONE ANNA BARBERA
CON FEDERICA ROSELLINI, LINO MUSELLA
REGIA ANDREA DE ROSA
PROGETTO SONORO G.U.P. ALCARO
DISEGNO LUCI PASQUALE MARI
ASSISTENTE ALLE LUCI ANDREA TOCCHIO
ASSISTENTE ALLA REGIA THEA DELLAVALLE
ASSISTENZA AI COSTUMI BÀSTE
ORGANIZZAZIONE PAOLO BROGLIO MONTANI
IL COSTUME DI FEDERICA ROSELLINI È DI TIRELLI COSTUMI SPA
PRODUZIONE COMPAGNIA ORSINI

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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