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Lapsus di quarantena, e il teatro è una voce nella testa

Kepler-452. ha allestito “Lapsus urbano: Il primo giorno possibile”, a Castel Maggiore e a Bologna, prodotto da Associazione Liberty nella stagione Agorà. Una riflessione di A. Zangari e un video reportage di F. Pierri.

Foto Paolo Cortesi

Immaginare il ritorno a teatro, un gioco che forse molti avranno fatto in questi mesi. Chi scrive portava con sé due immagini. Una sala all’italiana, luci basse, la platea diradata, un fumo leggero. Un freddo respingente. Oppure: un parco, il colore dell’oro, forse di erba arsa o di grano appena raccolto, il tramonto, gli attori accaldati.

Capitolo 1 – Castel Maggiore, 15 giugno
La realtà di lunedì 15 giugno, il primo giorno possibile per tornare in scena, è invece l’impressione di un’attenzione rarefatta durante l’attesa prima dell’azione, fra l’imbarazzo di scegliere dove appostarsi, a distanza dagli altri spettatori o in cerchi ampi a cercare un dialogo, le voci un po’ ovattate per le mascherine. Si cerca di riconoscere, nei volti tagliati dai nastri di tessuto, l’identità dagli sguardi, così intensi in questi mesi per l’inusuale dominanza degli occhi. Eppure, a pochi metri, dei ragazzi bevono uno spritz senza presidi né distanziamento. Ci si fa caso proprio perché, come pubblico, siamo entrati in uno spazio regolamentato. Altrimenti forse ci saremmo aggirati per la piazza, la mascherina in tasca, già in una mentale fase 4, spingendo indietro il ricordo del pericolo ad ogni passo. Le fasi: i capitoli di una giga-biografia collettiva, rigorosamente battuta a computer. Un’ipoteca narrativa che ci accompagna da giorni, e così pure nel primo giorno possibile del teatro post-pandemico (o ancora pienamente pandemico?), nella piazza del municipio a Castel Maggiore, piccolo centro dell’hinterland bolognese, un po’ paese un po’ periferia. Alle sei un traffico quieto si effonde dalla città, una pioggia sottile raffredda i sampietrini della piazza irregolare, dai margini slabbrati fra una rotonda e un’area verde, indecisa come le architetture tutt’intorno.  

Lo spazio urbano circoscrive impressioni e pensieri: l’uno e gli altri hanno una qualità annebbiata, come incerto chiarore, e si sovrascrivono mentre indossiamo le cuffie, pochi istanti prima che cominci Lapsus urbano: Il primo giorno possibile, di Kepler-452. Ma l’inizio è più una virgola che un punto: quello che avevamo sentito e pensato negli istanti ore giorni precedenti si fa performance: scansione drammaturgica e posa partecipativa. Sono ancora “fresche di stampa” le parole che Nicola Borghesi ha affidato ad Altre Velocità “[…] quando e se dovremo adattare uno spettacolo a causa del distanziamento o di altre misure, penso dovremmo fare sì che questa distanza diventi drammaturgia e memoria della nostra condizione di sopravvissuti”. E, d’altro canto, l’inizio era prima, mentre ci avvicinavamo alla piazza o almeno nell’estraniato riacclimatarsi del pubblico nella condizione di pubblico, con le cuffie già indossate, e la voce off dello stesso Borghesi che, in loop, rassicura: sono cuffie sanificate. Quattro totem di legno disegnano un rombo nella piazza: segnano i punti cardinali (chissà se fedelmente), ma hanno l’aria di piccoli patiboli montati per gioco. L’incipit, neanche a dirlo, prosegue con le norme da rispettare, come al supermercato, come sul treno: il racconto estende le forme cogenti di controllo, è una voce paterna da amare e odiare. Per necessità e per scelta, questo teatro della realtà non scardina la prossemica della nuova quotidianità: mai avvicinarsi troppo agli altri partecipanti. Un personaggio-arbitro ce lo ricorda (in questa occasione Michela Buscema, responsabile del coordinamento della compagnia) con tanto di fischietto e bandierina. La condizione dello spettatore, d’altronde, discende dal rinnovo puntuale di un patto, come in un gioco: un gioco della distanza è Lapsus urbano. Distanza di corpi abituati al fitto delle poltroncine, distanza del soggetto partecipante dagli oggetti della narrazione: i lutti personali, la paura di morire e di veder morire i propri cari, ma anche l’ipertrofia di un’infosfera che fa lievitare le nostre volubilità, paure, meschinità. Ci si muove sulla piazza come il diagramma di un ricordo vivo, indirizzati ora ai punti cardinali, ora al centro dello spazio, come in un training radiocomandato, per rispondere col movimento agli interrogativi dei Kepler. Con chi abbiamo trascorso il lockdown? In quali spazi? Grandi? Piccoli? Abbiamo perso il lavoro per via di questa crisi? Abbiamo perso dei cari? Abbiamo pensato di morire?

In questa piazza, date le circostanze, il teatro può essere tanto di chi lo fa quanto del pubblico, la drammaturgia nel baricentro emozionale e geometrico del suo spazio. Tanto che la scrittura è più incisiva quanto più è assente, ovvero puro richiamo alla voce-ricordo interiore di ogni partecipante, quanto più rinuncia a segnare l’ascolto, se non per qualche figura in cui agire un sovrappiù di emozione. A margine dello spettacolo, colleghi, amici e alcuni spettatori annotano quanto lo sguardo (e il gioco) restino imbrigliati nella cronaca, ventilando più o meno esplicitamente la necessità di trovare una distanza maggiore dagli eventi. Ma il linguaggio dei Kepler ha spesso cercato la trasparenza, l’immediata adesione al tempo del vivere civile – né appare necessario un nesso deontologico fra storicizzazione dei fenomeni e atto performativo: questa drammaturgia non è storiografica (e per questo appare ingenua l’idea di voler raccontare la Storia, consegnata dai Kepler alle pagine di un quotidiano). L’evanescenza di questo Lapsus è semmai in una scrittura che non si separa dal serbatoio di parole e figure già segnate nella grafia collettiva dei social, anche sulle pagine dei Kepler. Si pongono interrogativi che, proprio per l’attenzione a pescare nel diagramma collettivo delle emozioni, rinunciano a quel punto di vista nuovo avocato dallo stesso Borghesi nell’intervento di cui sopra. Come se la forza, se non poetica almeno programmatica, di post e articoli preceda e ingeneri la drammaturgia. Nulla di nuovo, appunto: la teatralità della piazza digitale invade la piazza attraverso la voce e i corpi della comunità. Certo la dimensione storica e specifica dello spazio avrebbe potuto fornire materiale per dilatare più l’invenzione del racconto; diversamente, Borghesi, Enrico Baraldi e Riccardo Tabilio (coautore di Lapsus e collaboratore della compagnia) hanno scelto piuttosto di incapsulare il pubblico e dare alla piazza, ai passanti lo statuto di un film muto, intangibile. Il mondo visto dalla finestra, come nella fase 1.

E d’altro canto, forse, tanto basta – un atto di discreta urgenza, nel giorno del ritorno. Chi è qui non poteva attendere oltre, è tornato nell’agorà-teatro consacrando la necessità di una pratica popolare. Realmente popolare è stata anche la politica della prenotazione gratuita, rivendicata dalla compagnia e da Liberty, che ha prodotto questo lavoro per riprendere la stagione diffusa di Agorà nei comuni dell’area metropolitana bolognese.

Questo pubblico è una ricchezza; questo momento, il primo possibile, non si ripeterà.

Capitolo 2 – Bologna, 21 giugno
Piazza Maggiore, Bologna. La luce del tramonto incendia la teoria di mattoni sulle facciate. Sembra arrivata davvero l’estate. Un altro inizio, altra replica, stesso spettacolo, tutto è uguale e diverso rispetto a 6 giorni fa, a 12 km da qui. La ripartenza del teatro è già un fatto, la critica è tornata a scrivere di spettacoli. Gli sguardi sembrano più accesi, commossi, come se sapessero meglio cosa ci facciamo, lì, qui. Sarà pure una cartolina, ma l’atmosfera più del pensiero brucia ricordi e fa crescere il pianto. (di Andrea Zangari)

Tournée (calendario in aggiornamento)

8/07 La Corte Ospitale, Rubiera (RE)

9/07 Insolito Festival, Parma

11-12/07 Terreni fertili festival , Teatro Sociale di Gualtieri (RE)

5/09 Le città visibili, Rimini

Lapsus Urbano // Il primo giorno possibile
Kepler-452
Spettacolo audioguidato
Ingresso libero. Posti limitati con prenotazione obbligatoria

un progetto di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi, Riccardo Tabilio
coordinamento Michela Buscema
supervisione musicale Bebo Guidetti
a cura di Agorà / Liberty / Kepler-452
Unione Reno Galliera, Regione Emilia Romagna, Fondazione del Monte
nell’ambito di Agorà e di Bologna Estate

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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