Al Teatro India, nell’ambito della rassegna dedicata alla danza contemporanea Grandi Pianure ,è andato in scena Shadows of Tomorrow di Ingri Fiksdal. Recensione
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Un “concerto muto” sembra essere una contraddizione in termini. In assenza di musica o suoni sulla scena, il pubblico si trova immerso nel silenzio, dunque a non ascoltare nulla. Eppure, è proprio un concerto muto ciò che Ingri Fiksdal intende allestire con Shadows of Tomorrow, visto a Roma all’interno di Grandi Pianure. Si tratta di una performance musicale e coreografica ispirata alla dodicesima traccia dell’album Madvillainy del gruppo hip-hop Madvillan al suo debutto (2004), che a sua volta attinge alla poesia Shadow of Tomorrow del jazzista afro-americano Sun Ra (J.L. Wolf, H. Geerken, Sun Ra. The Immensurable Equation, Waitawhile, Wartaweil 2005, p. 339).
L’apparente paradosso viene però meno a un’analisi più attenta. Fiksdal crea volutamente una coreografia per una “partitura senza note” perché intende far percepire distintamente i suoni concreti dei movimenti dei venti danzatori coinvolti nella performance e dell’ambiente che si trovano ad attraversare, venti performer locali che hanno partecipato a un laboratorio con la coreografa nei giorni precedenti.
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A livello scenico, infatti, tutto è organizzato in modo da raggiungere la massima neutralità visiva e narrativa, lasciando così che ad essere stimolato sia soltanto l’udito del pubblico. I venti danzatori sono coperti da strati sovrapposti di stracci colorati che lasciano solo scoperte le mani, sicché è precluso di cogliere il loro sesso, la loro età, o qualsiasi tratto distintivo della loro persona. Lo spazio al Teatro India è una grande sala dalle pareti bianche, sulle quali vengono proiettate luci di diversi colori che si alternano a intermittenza. I movimenti dei performer sono semplici, compiuti da tutti i danzatori insieme o in piccoli gruppi, ma sempre in una generale omogeneità d’azione: ora ondeggiano, ora tremolano in piedi sul posto, ora strisciano per terra, ora si siedono ora si rialzano con lentezza. Entro tale cornice non c’è alcuna storia da seguire o simbolo da decodificare, a dominare c’è solo un silenzio pregno dei respiri dei danzatori e del pubblico, degli stracci che sfregano il pavimento, di altri suoni che rilasciano i corpi coinvolti nell’azione collettiva. Benché non vi sia dunque musica, vi è comunque un concerto, non meno ricco di esperienze sonore rispetto a quelle che si possono ricavare da un’orchestra dal vivo.
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L’operazione in sé non è del tutto innovativa. Il principio che il silenzio non esiste perché pieno di suoni che non vengono normalmente uditi è ad esempio un tratto caratteristico della poetica di John Cage, che ha portato a sua volta a molti “concerti muti”, il più noto dei quali è senza dubbio 4’33” del 1952. L’aspetto originale di Shadows of Tomorrow è semmai il tentativo di spingersi un po’ oltre, ossia di provare a cercare il suono non solo dei corpi che si muovono nello spazio, ma anche il ritmo delle ombre proiettate a intermittenza sulle pareti (il cui light design è cura di Ingeborg Olerud). Le luci mirano, infatti, a mettere in rilievo – nella percezione degli spettatori – i movimenti di queste forme riflesse dei danzatori, a farle diventare le protagoniste di un’altra danza e di un’altra melodia silenziosa, che procede in parallelo a quella che ha luogo nello spazio fisico della scena.
Ci troviamo naturalmente così catapultati da un piccolo paradosso (il “concerto muto”) a un paradosso ancora più grande. L’ombra è di per sé il riflesso di un corpo esposto alla luce, vale a dire un incorporeo che di per sé non ha consistenza e, in quanto tale, non emette il minimo suono. È però qui che l’uso delle luci psichedeliche manifesta il suo senso profondo. Se infatti la psichedelia è il tentativo di spingere la coscienza e la percezione oltre i suoi limiti, allora il concerto di Shadows of Tomorrow è psichedelico perché fa lo sforzo di far udire il suono di un’ombra: un puro assurdo, o un obiettivo che sembrerebbe folle perseguire per la sua impossibilità e inutilità. Se non fosse per il desiderio di procedere laddove la mente ordinaria spesso nemmeno sogna di poter andare.
Enrico Piergiacomi
Grandi Pianure, ROma – febbraio 2020
SHADOWS OF TOMORROW
disegno luci Ingeborg Olerud
costumi Ingri Fiksdal, Elena Becker e Signe Vasshus
performer Pernille Holden, Sigrid Hirsch Kopperdal, Venke Sortland, Marianne Skjeldal
e venti performer locali
produzione Nicole Schuchardt – amministrazione Eva Grainger
Con il sostegno di The Norwegian Arts Council e The Norwegian Artistic Research Program
ringraziamenti Skolen for Samtidsdans, Det Andre Teatret, Black Box Teater, Dansens Hus e Kunsthøgskolen i Oslo