Claudio Morici, al quale abbiamo richiesto un’intervista in esclusiva dopo lo straordinario accesso alla finale di Italian’s got talent di venerdì 6 marzo, si è negato per esigenze televisive, alle quali, c’è da dire, si è piegato senza battere ciglio. Ma noi siamo andati a scovare nella sua famiglia, fino a trovare uno dei veri artefici del suo successo: Amilcare Morici, ottuagenario conoscitore di aspetti poco noti della vita dell’artista. Perché dietro ogni grande performer, talvolta, c’è un grande zio. Intervista
Amilcare Morici, suo nipote Claudio che si è sempre esibito in teatri off o centri sociali, proprio ieri sera ha brillantemente conquistato la finale di Italian’s got talent (dopo l’articolo il video della performance in semifinale) e sta per replicare un suo spettacolo con il Teatro di Roma. Sappiamo che lei lo ha sempre seguito: cosa la colpisce di questo andamento?
Mah, pure da piccolo lo faceva. Per lui basta che c’è un leggio. Mi ricordo che girava per tutte le stanze con questo coso più alto di lui… Se lo portava in salotto, davanti la televisione, al bagno. Se lo portava pure in cucina, quando pranzavamo tutti insieme, con la madre che urlava “te lo sporchi de sugo!”. I suoi coetanei avevano l’orsacchiotto marrone per addormentarsi? Lui il leggio nero. Lo sa zio Amilcare, lo sa…
Ma dice davvero?
Certo! E se lo portava anche in situazioni più istituzionali, come la scuola. Mi ricordo un Natale dove tutti gli facevamo gli auguri e lui tirava fuori questo leggio, lo poggiava a terra, ci metteva sopra il foglio e poi leggeva: “Auguri anche a te, zio Amilcare”. Vuole che mi meravigli ora se, negli ultimi 10 giorni, è andato prima in un centro sociale, poi in un Talent e quindi al Teatro di Roma?
…
C’era un leggio?
Sì.
Appunto. Se lo portava pure a calcetto! Se lo immagina correre appresso al pallone col leggio? Poggiare il leggio all’improvviso e leggere “Passala!”.
Ma per suo nipote adesso si tratta di un percorso in crescita?
“Dipende”, ti risponderebbe lui.
Da cosa scusi?
Dipende da come erano i leggii. A volte il leggio è un vecchio leggio mezzo rotto, e magari stai dove dovrebbe essere nuovo di zecca e in titanio. Altre volte è semplice e bellissimo. Altre sembra bello ma l’hanno avvitato male, ti casca sui piedi. Altre volte ancora è così vecchio che è sacro, altre ha quel tipo di incrinatura che ti fa andare lo spettacolo in discesa. Senza dimenticare quando, non si capisce perché, non si riesce a leggere quello che ci metti sopra.
E come erano questi leggii?
Non lo so, dovrebbe chiederlo a lui. Quello che direbbe mio nipote, conoscendolo, è che non dipende più dai posti dove fai lo spettacolo, ma dalle persone che ci sono dentro. Non è mai stato così tanto così.
Lei crede che suo nipote si sia montato la testa e si senta un alfiere del teatro italiano?
Un alfiere ce l’ha il leggio?
No.
Il cavallo?
Nemmeno.
Allora la vedo difficile. Significa forse che questa scacchiera del teatro è diventata ormai anche da noi una specie di parco giochi, dove ci sono gli scacchi ma anche, che so, “Indovina chi?” oppure “Pizzico arrampichino”. Mio nipote dove lo metti lo metti fa sempre gli stessi pezzi. Il breve monologo con cui è andato in finale a Italian’s got talent ha debuttato in un centro sociale, il Nuovo Cinema Palazzo e poco dopo ha fatto un sold out al Teatro Biblioteca Quarticciolo. Lui fa sempre gli stessi pezzi, ma si ritrova ogni volta in un gioco diverso. È un segno dei tempi? Qualcuno si è sbagliato? Un caso?
Simone Nebbia
Roma, marzo 2020