Recensione. 4.48 Psychosis di Enrico Frattaroli riporta attenzione sul duro testo di Sarah Kane, al Teatro Belli per l’interpretazione di una solida Mariateresa Pascale.
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Io non riesco a. C’è una frase che continua a girarmi in testa fin da quando ho avuto ascolto per la Sarah Kane di 4.48 Psychosis che Enrico Frattaroli per la rassegna Trend disegna sul corpo di Mariateresa Pascale: Io non riesco a. Punto. Stop. Non sapevo capire cosa fosse a tenerla così fortemente impressa nella mente. Poi, ho capito: l’infinito, è ciò che manca. Non un elemento qualunque del discorso, ma la parte della sintassi che responsabilizza colui che compie l’azione e la esplicita; non riuscire, avere un qualche impedimento, è nulla senza la determinazione di ciò che non si riesce a fare; e forse Sarah Kane, suicida già in pectore nel proprio testo distintivo, aveva in corpo di dire che riuscire è già un verbo – finto ausiliare – che dispone di colui che compie l’azione, lo violenta, lo strattona verso quell’infinito impossibile, lui finito, lui che finisce.
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Una sinfonia per voce sola. È questa la forma in cui il regista Enrico Frattaroli vuole tenere quelle parole oscure e sinistre, quel linguaggio di tetra isteria che ha avuto l’onere e la sofferenza di penetrare, penetrarsi, fino ai più profondi gangli del disagio psichico. Ed è qui che l’ossimoro veicolato dall’espressione si manifesta: una sinfonia è per definizione (almeno la più accreditata) una composizione per orchestra, espressa cioè in una forma comunitaria, importante ne è la relazione che raccoglie in indiviso suono le unicità; in questo caso la sinfonia si completa per la “voce sola” dell’autrice che incastona le parole in una geometria che sembra iniziare e finire con il suo corpo, come lei stessa dichiara, con le parole che accompagnano il pacco di fogli consegnati alla sua agente letteraria: “Scriverlo mi ha uccisa”. Così, come se l’opera fosse insieme testamento e prova di un assassinio.
E la stessa scena, estesa ad uno spazio che deflagra il concetto di palcoscenico, è una gabbia di luce esplosiva e di suono dissonante – si alternano classica e punk – che accerchia l’attrice, alla quale non resta che un microfono ad amplificare le parole di una speranza tradita prima ancora di essere pronunciata, di una aggressività crescente e una distanza sempre maggiore dallo stato di realtà. La Pascale, attrice maturata in disparte rispetto a grandi impianti scenici e forse per questo capace di penetrare più a fondo in una materia teatrale così delicata, riesce a dosare il ritmo di questo crescendo con notevole dote di equilibrio e di personalità, l’intensità e la sospensione si comprimono sul suo corpo sempre più staccato da lì, sempre più coinvolto in un gioco che trascende ormai l’umano, come l’avvolgesse il fondo nero che le proietta disegni e parole alle spalle.
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L’afflato poetico, tangibile tra le parole di Kane, è una matrice sempre coerente nella regia di Frattaroli; la qualità di evocazione passa per una sensibilità che ne fa un regista solido e decisivo, capace di definire la relazione tra sé e il testo, quella misura in cui far stare, far accadere, il proprio teatro. Ogni elemento sta pertanto nella drammaturgia per precisa volontà esplicativa: ne è un esempio la luce, appena accennata nella dimensione costruita dal regista, perché lo stesso accenno è nel testo incarnato dall’autrice; e con tale disponibilità il regista, che dall’alto fuori palco dialoga con l’attrice, veicolando nel rapporto medico-paziente una voce di coscienza e così i momenti di maggiore contatto con il reale, riesce a far parlare il vero, più profondo, argomento del testo: l’amore, desiderato, rifiutato, non esistente e non reale, impossibile. E, se mai iniziato e mai finito, dunque, in due parole: un infinito mancato.
Simone Nebbia
Teatro Belli di Roma – dicembre 2019
4.48 PSYCHOSIS
di Sarah Kane
con Mariateresa Pascale
regia Enrico Frattaroli
produzione Frattaroli – Pascale
in collaborazione con Florian Metateatro – Centro di Produzione Teatrale