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La tempesta di Roberto Andò. Perdersi nelle scatole cinesi

Recensione. La tempesta di William Shakespeare con la regia di Roberto Andò e l’interpretazione di Renato Carpentieri e Vincenzo Pirrotta. Prodotto dal Teatro Biondo di Palermo e visto al Teatro Vascello di Roma

Lia Pasqualino

Un vascello pop-up viaggia tra gli spettatori in platea. Una cortina d’acqua apre una scena grandiosa, complessa. Immagini dense si susseguono promettenti nell’introdurre  La Tempesta, nell’interpretazione registica di Robertò Andò, vista al Teatro Vascello. Letti d’ospedale e libri ammucchiati, appesi, sospesi e sparsi sembrano accoglierci nella mente stessa di Prospero, nelle carte scarabocchiate del poeta. Grandi finestre sullo sfondo velano la baia e le apparizioni di fantasmi vivi e sagome. Il testo originale shakespeariano, nella poetica e letteraria traduzione di Nadia Fusini, scioglie ancora di fronte a noi la vicenda di Miranda e Ferdinando, di Gonzalo e del Re di Napoli con precisa assiduità. Non manca una riga al testo complesso e  altisonante che questi attori riportano in vita.

Prospero e Miranda si apprestano a ricevere in galoches i primi e ultimi ospiti della loro permanenza: in scena oltre a loro Calibano, arrotolato in un lenzuolo su uno dei tre letti, e l’acqua. Dappertutto. Un sipario colante di acqua ci aveva introdotto a quella che adesso è una stanza allagata, dove abbondanti schizzi seguono ogni passo dei personaggi, memori, noi e l’acqua, che la tempesta è prima di tutto una condizione dell’anima. E che solo alla tempesta può fare seguito una quiete.

Foto Lia Pasqualino

Molto presto ci addentriamo in una dimensione scenica caotica e densa, in una rapsodia di immagini discordanti. A quella che sembrava una scena realistica e all’impostazione cinematografica del palco si contrappongono interventi confusi. Non è mai chiaro il confine tra scena reale e scena immaginata, là dove le bottiglie di vino sono visibilmente vuote, i libri attaccati uno sopra l’altro e dove i bicchieri incollati al vassoio intaccano anche le interpretazioni che si vorrebbero più spettacolari e acrobatiche. Come quella di Ariel (Filippo Luna), lodevole ma stretta nei panni di un Poirot-arlecchino-maggiordomo che se può richiamare alla mente citazioni di altri tempi, non riesce a trovare da sola una propria consapevolezza scenica. In smoking Ariel, in velluto i naufraghi, in abiti casual e moderni i due mozzi ubriachi. L’immaginazione del poeta, si sa, è fervida. 

Una cucina anni ’60 con tanto di sedie laccate verdi scivola sul palcoscenico per introdurre la vera nota comica di questa commedia, Stefano (Francesco Villano) napoletano, Trinculo (Paride Benassai) palermitano. Due personaggi spaesati, fuori posto, che sanno riportarci a una sfera riconoscibile e quotidiana della rappresentazione. Complice il dialetto, complice la partitura fortemente fisica dei loro ruoli, l’incontro con Calibano, presenza scenica dirompente, mostruosa ed esplosiva nell’interpretazione di Vincenzo Pirrotta, i loro interventi donano un respiro a uno svolgimento altrimenti lento, rallentato nell’interpretazione di un cast poco adatto a quel gioco linguistico sottile e fiorito. Negli attori più giovani, specie nella coppia degli innamorati Miranda (Giulia Andò) e Ferdinando (Paolo Briguglia), la liricità del testo stona, invade, trascina la recitazione a derive fortemente patetiche e quasi parodistiche. 

Foto Lia Pasqualino

Un sovrano autorevole, un padre affettuoso il Prospero di Renato Carpentieri. Una presenza scenica inattaccabile e solida, un tocco ironico, sottilmente ironico, nei panni dell’autore e del protagonista della grande vicenda. Soltanto lui e il personaggio di Gonzalo (Gianni Salvo), saggio e devoto, piccolo piccolo nel suo mantello, reggono davvero il confronto con il cuore denso, sofisticato di un testo che in traduzione moderna, per quanto fedele, porta su di sé più la tradizione otto-novecentesca lirica italiana che non il blank verse del testo shakespeariano. 

Una scenografia, arbitraria, disordinata, qua e là superflua ed eccessiva, incastrata dentro la vera scenografia, dentro quel salotto da intellettuale novecentesco in cui Prospero-il poeta-il regista sembra riscrivere ancora una volta la famigerata Tempesta, il proprio tentativo di assoluzione. Un teatro nel teatro nel teatro che, invece che ampliare il gioco prospettico dell’interpretazione, rischia  di farsi psicologismo vacuo. Dove siamo? È la mente stessa di Prospero che sembra accoglierci in questo viaggio. Il poeta e i suoi giocattoli, i suoi libri impagliati, il vorticoso succedersi di immagini. Al poeta e all’ispirazione bastano un abat-jour e una sigaretta accesa. Il viaggio è tutto dentro quella mente annacquata, caotica. La mente di un pazzo? È allettante, sempre molto allettante, l’interpretazione per cui tutti i grandi personaggi Shakespeariani siano, dichiaratamente o meno, folli. E in questo loro essere unici detentori della verità. Ma cos’è allora la mente di un pazzo, ci sarebbe da chiedersi. Il caos e il disordine fine a sé stessi, funzionali a quel two hours traffic, a un divertimento leggero e temporaneo. Oppure il tentativo anarchico di porre ordine all’ingovernabile, di scovare il vero in una foresta di contraddizioni e di apparenze ingannevoli?

Foto Lia Pasqualino

E poi c’è l’acqua, ancora e sempre. Un’acqua stagnante e ferma, paludosa, che mai riesce a farsi potenza che sommerge e che stringe i fianchi e la gola. Rimane lì quell’acqua, memoria delle azioni inutili dell’uomo smarrito, attenta osservatrice di buffi e anacronistici destini umani, tempesta perenne che si fa acquitrino di passioni.

La tempesta è un testo tra i più complessi di quelli  attribuiti a William Shakespeare. L’ultimo, il più introspettivo. Con una forte componente metateatrale, secondo le interpretazioni più accreditate. Un testo che risulta difficile, più di tutti gli altri, separare dalla vicenda/leggenda del suo autore, in quell’evoluzione interna dalla poesia brutale di Calibano alla precisione formale di Prospero, due alter ego e specchi di ciò che il poeta è e di ciò che deve sforzarsi di diventare. Non la tragedia del sangue e della morte, non la commedia della beffa. Una grande sintesi, questo sembra essere La tempesta, un’ardita deposizione: “non preoccupatevi, era tutto un gioco”, sembra dirci, a parte. Un gioco molto serio. L’eppur si muove di un teatro che chiede la grazia ma che mai rinnega davvero nemmeno una virgola di tutta la propria prorompente alterità.

Ridondante, forse, ribadire che tutto dipende da Prospero, grande burattinaio, e dal fluire della sua immaginazione. Cosa può essere la tempesta se non il grande sogno di un uomo poeta? La grande ultima magia di un uomo che già è disposto a perdonare quei grandi piccoli screzi di un destino beffardo, che ha consacrato un anima e una vita alle assi polverose di un palcoscenico, che solo lì, nel suo teatro e con i suoi attori, può trovare una pace ed essere, egli stesso, ultimo tra tutti, assolto? La tempesta è un omaggio di Shakespeare al teatro, scrive Roberto Andò. Sì, ma al suo, di teatro. Un teatro senza pareti da infrangere, né invisibili né di compensato. Un teatro che era fatto di niente e corpi vivi e che, solo come tale, poteva ambire a contenere ogni cosa. Un omaggio che ora noi, nella consapevolezza di un tradimento inevitabile e del tempo che corrode le parole, dobbiamo saper rivolgere al teatro nostro. Non un “classico” di per sé stesso, ma un’opera che solo nella forza delle nostre interpretazioni può ogni volta rigenerarsi e vivere. 

Angela Forti

Roma, Teatro Vascello, Gennaio 2020

La tempesta
di William Shakespeare
traduzione Nadia Fusini
adattamento Roberto Andò e Nadia Fusini
regia Roberto Andò
scena Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche originali Franco Piersanti
flautista Roberto Fabbriciani
suono Hubert Westkemper
light designer Angelo Linzalata

personaggi e interpreti

(in ordine di apparizione)

Prospero Renato Carpentieri
Miranda Giulia Andò
Ariel Filippo Luna
Calibano Vincenzo Pirrotta
Ferdinando Paolo Briguglia
Gonzalo, Iris Fabrizio Falco
Trinculo, Antonio Paride Benassai
Stefano, Alonzo Gaetano Bruno
collaborazione artistica Alfio Scuderi
aiuto regia Luca Bargagna
scenografi realizzatori Giuseppe Ciaccio, Sebastiana Di Gesù, Carlo Gillè
assistente ai costumi Agnese Rabatti
il regista ringrazia per la collaborazione Alex Vella
produzione Teatro Biondo Palermo

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Angela Forti
Angela Forti
Angela Forti, di La Spezia, 1998. Nel 2021 si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso La Sapienza Università di Roma, con un percorso di studi incentrato sulle arti performative contemporanee. Frequenta il master in Innovation and Organization of Culture and the Arts all’università di Bologna. Nel 2019 consegue il diploma Animateria, corso di formazione per operatore esperto nelle tecniche e nei linguaggi del teatro di figura. Studia pianoforte e teoria musicale, prima al Conservatorio G. Puccini di La Spezia, poi al Santa Cecilia di Roma. Inizia a occuparsi di critica musicale per il Conservatorio Puccini, con il Maestro Giovanni Tasso; all'università inizia il percorso nella critica teatrale con i laboratori tenuti da Sergio Lo Gatto e Simone Nebbia e scrivendo, poi, per le riviste Paneacquaculture, Le Nottole di Minerva, Animatazine, La Falena. Scrive per Teatro e Critica da luglio 2019. Fa parte della compagnia Hombre Collettivo, che si occupa di teatro visuale e teatro d’oggetti/di figura (Casa Nostra 2021, Alle Armi 2023).

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