Recensione. I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini con la regia di Denis Krief e la direzine musicale di Andrea Gatti. Visto al Teatro dell’Opera di Roma
I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini è andato in scena le scorse settimane al Teatro Costanzi di Roma, nuovo allestimento con la regia di Denis Krief e la direzione musicale di Daniele Gatti. Un’opera dalla genesi inusuale, nata quasi per caso, destinata a mutare forma nel corso del tempo, che contiene in sé grande parte della ricchezza musicale dell’allora giovane compositore.
Bellini ha 28 anni, tre opere composte e tanta voglia di concentrarsi sul lavoro di composizione, quando gli viene fatta la proposta. È il dicembre 1829 e il maestro si trova al Teatro La Fenice di Venezia, impegnato con le prove del suo Pirata. L’allora impresario della Fenice, Alessandro Lanari, si trova nella situazione in cui il compositore che avrebbe dovuto realizzare l’opera inaugurale della stagione successiva, si sta facendo attendere, troppo. Chiede allora a Bellini di sostituirlo, di comporre lui l’opera: tempo previsto, un mese e mezzo. Bellini non vorrebbe, ma Giuditta Grisi, uno dei soprani più influenti dell’epoca, spinge molto perché sia proprio lui a comporre l’opera ed è perfino lei a proporre il soggetto: Romeo e Giulietta. Così, complici la poca professionalità di qualcuno, la coincidenza di essere nel posto giusto al momento giusto e l’interesse personale di un bel soprano, prende vita I Capuleti e i Montecchi. Il testo è ripreso quasi interamente da un precedente lavoro di Felice Romani e la musica è in grande parte quella della Zaira (in scena pochi mesi prima) anche se profondamente rimaneggiata.
Così, l’11 marzo del 1830, si va in scena. Un lavoro nato dall’esigenza del mestiere, che diventa un piccolo gioiello musicale. Di fronte a tutto questo si ritrova il regista Denis Krief, che si occupa anche della scenografia, dei costumi e delle luci. I suoi Capuleti e Montecchi si muovono in uno spazio neutro, interamente di legno. Un minimalismo tanto estremo da sfociare nel vuoto dispersivo. I Capuleti, rappresentati dal coro maschile, sono i componenti di una famiglia probabilmente mafiosa. Bellicosi, sempre armati in scena. Sono i guelfi, i partigiani come si legge da libretto. Cappellio (Alessio Cacciamani), loro leader nonché padre di Giulietta, è un uomo elegante, tutto d’un pezzo. Tebaldo (Giulio Pelligra), signore quanto Cappellio, prenderà in sposa la figlia che, nella versione belliniana vediamo già innamorata di Romeo (Vasilisa Berzhanskaya). Giulietta è eterea, impalpabile, così come la sua parte musicale. Una giovane adolescente in balia degli eventi che la devastano. Romeo è invece un giovane spaccone in giacca di pelle nera, impulsivo, fumino, anch’esso in accordo col suo repertorio musicale. Il tutto è supervisionato dal parroco Lorenzo (Nicola Ulivieri), che, come in Shakespeare, sarà il fautore dell’inganno della morte apparente.
La stasi della scenografia, di legno chiaro, nordico, si riflette anche nel conflitto tra Capuleti e Montecchi, qualora non fosse già chiaro nell’immaginario comune, viene rappresentato da una grossa spirale di filo spinato a fondo scena, di quelle che si vedono nei film di guerra. Giulietta, durante il duetto con Romeo nel primo atto, non indossa ancora il vestito da sposa, ma lo contempla su un manichino, elegantemente coperto dal velo. Un’oggettificazione del corpo di sposa, da contemplare e da desiderare soltanto, essendo il matrimonio di impossibile realizzazione sia con Tebaldo che con Romeo. Al momento della morte di lei, nella catacomba, viene calato dall’alto un pannello con incisa una croce. Forse è qui che si chiarifica l’uso ostinato del legno, come fosse il legno da bara, per una storia d’amore morta in partenza. Oltre a ciò, però, il regista non sviluppa altro e lavora il meno possibile anche sulla recitazione attoriale, ridotta all’osso se non addirittura, nel caso del Coro, completamente assente. Il risultato finale è qualcosa di sospeso, non compiuto, un lungo viaggio col freno a mano tirato.
Rimane sicuramente intatta però la purezza musicale del testo, esaltata dalla direzione di Daniele Gatti, a giusta ragione il più applaudito. Ottimo nel far affiorare la lievità e le dolcezze della partitura, in contrasto con la frenesia bellicosa delle famiglie in lotta. Di gran pregio è pure l’interpretazione vocale di Benedetta Torre, la Giulietta del secondo cast che affronta la romanza Oh! quante volte, oh quante! con grande abilità e sensibilità, una voce ben calibrata e lieve, senza fronzoli. Meno a fuoco forse la coppia nel suo insieme, con una Vasilisa Berzhanskaya en travesti. Lei, giovanissima (1993), voce potente caricata al massimo, finiva per sovrastare la delicatezza dell’interpretazione del soprano. In generale, però, una buona performance, da parte di tutti, che strappa lunghi applausi al pubblico.
Flavia Forestieri
Febbraio 2020, Teatro Costanzi, Roma
I Capuleti e i Montecchi
Musica di Vincenzo Bellini
Tragedia lirica in due atti
libretto di Felice Romani
Prima rappresentazione assoluta, Teatro La Fenice di Venezia, 11 marzo 1830
Durata: 2h 40′ circa – 78′ prima parte – 30′ intervallo – 52′ seconda parte
DIRETTORE Daniele Gatti
REGIA, SCENE, COSTUMI, LUCI Denis Krief
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
PRINCIPALI INTERPRETI
ROMEO Vasilisa Berzhanskaya
GIULIETTA Mariangela Sicilia/ Benedetta Torre 28 gennaio, 1, 6 febbraio
TEBALDO Iván Ayón Rivas / Giulio Pelligra 1, 6 febbraio
LORENZO Nicola Ulivieri
CAPELLIO Alessio Cacciamani
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
con sovratitoli in italiano e inglese