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Ascolta, Israele. “Per riflettere sulle nostre coscienze”.

Ascolta, Israele è uno spettacolo dell’Associazione Ariadne – Compagnia Teatro A, nato a partire dalle testimonianze dei prigionieri del campo di concentramento di Bolzano, in scena all’interno della rassegna ScuolaProject al Cometa OFF da 28 al 31 gennaio 2020. Intervista in media partnership alla regista Valeria Freiberg.

Lo spettacolo che porterete in scena, Ascolta, Israele viene delineato dalle testimonianze dirette tratte da alcune lettere di prigionieri nel campo di concentramento di Bolzano: come siete venuti a conoscenza di questo repertorio?

Si tratta di una ricerca fatta da alcuni storici, tra cui anche Andrea Felix, che nel 1986 lavorarono su alcune testimonianze per far sì che il campo di Bolzano venisse riconosciuto come campo di sterminio. Tuttora è presente un atteggiamento negazionista. Ho letto queste testimonianze e ho ritenuto necessario parlare di questo campo italiano perché il tema implica innanzitutto un’opportunità per riflettere sulla nostra coscienza e su quella della società. 

Dal punto di vista interpretativo e drammaturgico, quali sono i processi e le indicazioni su cui avete basato il vostro lavoro?

Riguardo al linguaggio teatrale ogni testo richiede il proprio mezzo. Il teatro contemporaneo da questo punto di vista ha moltissime possibilità, basta saperle utilizzare bene senza dimenticare quale sia lo scopo principale. Io non faccio sconti ai ragazzi, non propongo uno spettacolo semplificato, io faccio uno spettacolo con la modalità che mi è più prossima. Lavoro molto sugli attori perché lavorare con il pubblico dei giovani è uno spazio molto speciale che richiede un attore “sintetico”, un attore che sappia il proprio mestiere e che sappia interagire con un pubblico difficile. In questa dimensione anche il regista può sperimentare serenamente: voglio dialogare con questo pubblico, voglio coinvolgerlo utilizzando il teatro che amo. Il teatro è un’arte completa, non è soltanto intrattenimento, bisogna partecipare. Mi disturbano molto i termini “fruitore”, “consumatore” applicati al teatro; mi viene in mente una grossa bocca che deve masticare, masticare, masticare… il teatro è un’arte attiva ed è da qui che partiamo. Bisogna far capire anche agli adulti che portare i ragazzi a teatro è un’esperienza necessaria.

Tornando allo spettacolo Ascolta, Israele, più che agire “direttamente” sulle testimonianze le abbiamo trattate come un’eco, perché ci siamo chiesti come lavorare oggi sulla memoria senza più memoria,  Come si fa a trovare una lingua, un mezzo che risvegli la voce viva riguardo a ciò che è accaduto? Allora abbiamo composto una drammaturgia come se fosse un puzzle, usando diversi linguaggi teatrali e cercando di capire come compiere questa discesa nell’inferno.

Il lavoro che stiamo facendo sta funzionando, anche con ragazzi non sempre preparatissimi e spesso portati dagli insegnanti più per volontà di saltare un giorno di scuola che per reale interesse. Quando mi chiedono perché io faccia teatro per i ragazzi io rispondo che faccio teatro contemporaneo dando ai ragazzi gli strumenti per capirlo: loro accettano questo approccio e si aprono, nonostante i dubbi o le difficoltà di concentrazione che il teatro richiede. A volte abbassano lo scudo e il dialogo comincia, i ragazzi iniziano a capire, a partecipare emotivamente e a farsi delle domande.

Perché il titolo dello spettacolo è un’invocazione a Israele?

Shema Israel è la  preghiera principale della religione ebraica ma è anche il fondamento del Padre Nostro. È la preghiera che riunisce tutti quanti, perché ci rivolgiamo allo stesso Dio come a dire “io e te siamo dello stesso sangue”. La diversità è molto spesso una invenzione, una manipolazione umana, politica, di comodo, storica. 

Un revisionista rifiuta di concepire alcuni fatti storici come realmente accaduti, perché di fatto pone al centro della sua revisione l’idea – al negativo – di credenza. Egli non credendo che l’Olocausto sia accaduto si pone a distanza dall’obiettività delle fonti attraverso le quali è entrato a conoscenza di quel fatto, ma il presupposto è sbagliato in partenza perché non ci si può accostare alla storia credendo o meno, proprio perché i fatti raccontano qualcosa di obiettivo, anche se, come tutte le fonti, parziale. Come si smentisce secondo lei un revisionista?

Le posso assicurare che ci sono anche dei professori che si tirano indietro, che non vogliono portare gli studenti perché “vogliono restare politicamente corretti, obiettivi”. Ma, rispondo io, obiettivi nei confronti di chi, di chi accendeva le camere a gas? Cosa vuol dire essere obiettivo? Abbiamo talmente confuso concetti quali “ideologica”, “politicamente corretto” ecc. per cui quello che è importante è andare a riflettere. Leggete i libri, fate una riflessione. La senatrice Segre dice benissimo che la Shoah oggi sia una questione di coscienza. Simon Wiesenthal ha combattuto per far riconoscere il termine “crimine di guerra” e far riconoscere tutti i genocidi. La Shoah deve essere un momento di pensiero per riflettere sulla nostra umanità. E il popolo ebraico ha fatto tantissimo per questo spazio di riflessione perché ha combattuto per la memoria.

Una domanda sulla vostra compagnia, che ha una storia di lungo corso. Come si è evoluta negli anni e quali sono stati i passaggi fondamentali che avete attraversato fino ad arrivare a concentrare la vostra attenzione nei confronti dei ragazzi? 

La Compagnia Ariadne nasce nel 1969 a Catania da un gruppo di giovanissimi attori capeggiati da Arnaldo Ninchi, freschi di diploma della Silvio D’Amico e inizialmente appartenenti alla compagnia di Vittorio Gassman, nei confronti del quale si misero in una posizione contrastante perché erano decisi a dimostrare che i giovani erano in grado di portare avanti una compagnia. In realtà, salvo alcune parentesi, con dei passaggi dedicati a un teatro più generale, già allora l’idea principale era questa: una compagnia di giovani per un pubblico di giovani; che crescono insieme, si conoscono, creano un  linguaggio e creano un futuro. La compagnia poi è andata avanti a lungo. Quando conobbi Arnaldo e mi propose questo tipo di lavoro io lo trovai molto stimolante ed estremamente attuale. Noi teatranti viviamo in un mondo molto frammentato e il pensiero che ci sia una compagnia con una prospettiva di stabilità, di continuità lavorativa, con la possibilità non di dire soltanto “io sono attore” ma di farlo quotidianamente, entrando ogni giorno in sala prove, confrontandosi ogni volta con il proprio pubblico, è una possibilità di crescita e di maturazione professionale importante. Oggi l’idea di compagnia, un po’ come era intesa fino all’Ottocento, praticamente non esiste, chiaramente ci sono dei motivi economici, storici, culturali che hanno portato a questa scelta preponderante. Tuttavia, il teatro è qualcosa di collettivo e di artigianale, tutti i salotti intellettuali sono meravigliosi, ma se l’attore non sa portare la voce non si va avanti.

Redazione

ASCOLTA, ISRAELE

Regia Valeria Freiberg
Con gli attori della Compagnia Teatro A/Associazione Ariadne
Cristina Colonnetti e Giacomo De Rose
Sound Design Marco Terracciano
video/light design Gerardo Filocamo

TEATRO COMETA OFF
28-31 GENNAIO ore 10 e ore 12
Via Luca Della Robbia, 47
00153 Roma

 

Prossime date di Ascolta, Israele in programma a febbraio:

3 febbraio, Tivoli

22 febbraio, Bergamo

Dal 17 al 19 marzo “Alice, racconto a quattro mani” e “Karmen” in scena al Teatro Stabile di Potenza col patrocinio del Comune

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