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Teatri di Vetro 13. Oscillazioni, tra curatela e artisti

Teatri di Vetro è la rassegna che dal 6 al 22 dicembre 2019 presenterà alla città di Roma e per la tredicesima edizione una proposta plurale: quattro sezioni per dialogare con la creazione contemporanea e ingaggiare spazi e contesti territoriali. In relazione alla specifica scelta curatoriale, abbiamo chiesto di rilasciare una considerazione agli artisti che, nella sezione Oscillazioni, dal 9 al 16 dicembre al Teatro India, presenteranno i loro lavori e alcune riflessioni ad hoc nate all’interno del Festival. Contenuto realizzato in mediapartnership

In una precedente intervista, la direttrice artistica Roberta Nicolai ha esposto una delle peculiarità che contraddistinguono il Festival Teatri di Vetro sottolineando come, in questo specifico caso, il rapporto tra curatore e artista sia sempre sotto l’ottica di «un’osservazione reciproca», che preveda un tempo di ascolto e di creazione al di là del mero «diritto di distribuzione», ma che invece si strutturi come un percorso in grado di rintracciare modalità di ricerca condivise. Perché si creino le condizioni di uno spazio in grado di essere realmente «ricettivo e generativo», rispetto anche alle mutazioni e alle condizioni contemporanee alla base delle specifiche ricerche del singolo artista, sottolinea come sia necessario per entrambi «metterci un pezzo di vita». Da qui anche la radice del titolo della sezione che avrà luogo presso il Teatro India nella fase conclusiva di quest’edizione, all’interno della quale sarà presentata la vostra opera. Quale è stato allora il grado delle vostre Oscillazioni, ovvero come avete dialogato con questo approccio «con-posto» e come la vostra pratica artistica si è protesa verso questa direttrice?

Teatro Akropolis: Oscillazioni, per come noi abbiamo vissuto questa sfida, non ha rappresentato un modo alternativo di raccontare un percorso, ma un ritorno a quella parte maledetta che, in apparenza perduta, o meglio nascosta, nutre come un fiume sotterraneo quanto può essere invece condiviso. Pragma. Studio sul mito di Demetra, frutto di un lunghissimo periodo di composizione, è stato cioè posto su un ulteriore piano di confronto. E l’altro polo di questo confronto è stato evidentemente lo spettacolo stesso, ma anche, e soprattutto, quello che è stato vissuto per crearlo. Per la prima volta abbiamo condiviso una parte di quello che viviamo per frequentare il confine tra interiorità ed espressione. Non si tratta solo dell’esposizione di un processo, ma della condivisione di un frammento di vita, di un gioco, a sua volta espressione di quanto è stato rimosso, dimenticato, rinnegato o ritrovato.

Bartolini/Baronio: Teatri di Vetro ci ri-guarda
. Il gesto curatoriale di Roberta Nicolai per questo festival trascende la nozione comune di direzione artistica. Il dialogo e la reciprocità con gli artisti ne è la matrice più profonda, la radice. Il suo lavoro si muove lungo un filo funambolico, ascoltando i desideri e le spinte degli artisti che accompagna nelle loro visioni in prima persona. L’ascolto è il primo gesto, che non sottende mai l’invasione dentro le scelte artistiche, poetiche o stilistiche. Il secondo è l’apertura di spazi di riflessione e ricerca parallela e comune. Noi portiamo gli embrioni di una nostra nuova ricerca, un desiderio appena acceso che prende forma nello studio dei suoi primi passi, accolti nel Festival, in tutta la loro fragilità. La nostra oscillazione si realizza in questa possibilità di nudità del processo artistico, nell’esposizione protetta del suo luogo più segreto, ovvero nell’occasione di creare un tempo condiviso che si muove sul piano dell’essenza e della necessità del gesto artistico, raccolti nell’azione di Roberta che dà luogo alle potenzialità di uno sguardo reciproco. Tra lei e noi e tra noi e gli spettatori. Con Kafka – ci suggerisce uno dei collaboratori al progetto, Francesco Raparelli – del resto non si capisce mai il verso: dall’animale all’umano, dall’umano all’animale – all’impercettibile. Nella zona di indiscernibilità, dove l’Essere zampilla, lì c’è l’artista. Una vita di frontiera, o (una caduta) nel mezzo della vita.

Paola Bianchi: Il progetto ELP, nella sua semplicità, rivela una complessità che necessita cura, confronto assiduo. Ed è seguendo la natura propria del progetto che il binomio vita/teatro ha oscillato tra me e Roberta generando un’altalena di riflessioni, un dialogo continuo a volte ossessivo. Ogni dubbio, ogni pensiero si è ancorato a un movimento di questo oggetto che possiamo definire relazione, un andare e venire del tempo della vita e della scena, del luogo che apre le porte all’essere nella scena.

C&C / Carlo Massari: Mi interessa la domanda a lungo spettro. Io e Roberta ci siamo studiati per un po’ finché non abbiamo iniziato a  creare una progettualità comune, con alla base un’idea di linguaggio anfibio, realmente multidisciplinare. Questo è il punto di incontro tra me e Roberta, ogni volta parliamo di come sia importante e necessario darsi più alternative di lingue e linguaggi. La nostra società sta diventando sempre più multiculturale e come tale non basta semplicemente la parola, credo che l’espressività vada arricchita con altre forme, altri alfabeti, come quello della danza o del teatrodanza. Dopo essere stata già coproduttrice di un mio lavoro nel 2016 quest’anno  partecipa alla produzione di Les Miserables #1 di cui vedremo una parte a TDV e che poi debutterà ad aprile. Ma ci tengo a precisare come non si tratti di un semplice sostegno economico, o di messa a disposizione di materiali e luoghi, il suo è un contributo anche di pensiero, operativo e concettuale. Roberta Nicolai è quel genere di operatrice che accompagna l’operato degli artisti, ti coinvolge in una progettualità di pensiero e di progetto. Per chi come me vive in un momento di ricerca costante, è fondamentale confrontarmi con persone che, come lei, non ti lasciano da solo nella creazione.

Chiara Frigo: Il percorso di Himalaya è nato più di due anni fa, in solitaria, attraverso una serie di residenze e di momenti di silenzio. Era l’inizio di un nuovo corso, di un’oscillazione ancora oggi in bilico. Ero certa che i materiali e le pratiche non sarebbero andate in scena. Erano momenti in cui cercavo luoghi protetti per preservare ciò che affiorava. Il dialogo con Roberta Nicolai è stato articolato, declinandosi su piani diversi: dalla possibilità di trasferire la mia poetica con Trasmissioni a Tuscania, all’incontro con la comunità di Ostia attraverso Ballroom, fino alla performance al Teatro India. Credo che ci accomuni l’idea che non ci sia niente da mostrare, semmai solo esperienze da vivere.

Andrea Fazzini/Teatro Rebis: Il regista, a mio avviso, è essenzialmente un artista visivo. Avere un rapporto costante, metamorfico e provocatorio con qualcuno che si prenda cura della tua visione è cosa molto rara, in teatro, quasi unica. Così è stato con Roberta, così sta accadendo. In questi mesi la sua provocazione più ficcante è stata quella di spingermi non verso una ‘messa in scena’ del nuovo spettacolo, non verso una sua purificazione provvisoria, ma verso una ‘disposizione della scena’ spuria e squadernata. Così è riuscita a solleticare la parte più istintiva, giocosa e trasversale della mia ricerca, quella emersa in altri lavori che mi sono divertito a sgrammaticare negli anni, quella che chiamo, in omaggio a Claudio Parmiggiani, ‘delocazione’, cioè messa in movimento dello spazio, messa in movimento dell’immaginario.

Riccardo Guratti: L’argomentazione che Roberta Nicolai esprime rispetto alla relazione tra curatore e artista, è un punto cruciale del fare arte oggi sia per l’artista che per il curatore. L’oscillazione di cui ci siamo nutriti Roberta e io, assomiglia più ad un incontro e ad un riconoscersi entrambi nell’ideale di sviluppare delle riflessioni e delle istanze che portino un contributo proattivo nel creare un discorso attorno e dentro il fare arte oggi e che contribuisca alla crescita e al piegamento dei confini di ciò che è possibile all’interno di quel luogo che definiamo teatro. Da parte mia, avere un confronto diretto e instaurare una relazione continuativa con un curatore significa avere al proprio fianco uno sguardo attivo nel lavoro che svolgo giornalmente, avere un punto di riferimento per confrontarsi non solo sugli aspetti compositivi e concettuali di un lavoro specifico, ma condividere e progettare (anche insieme) cosa avverrà in seguito e dove il lavoro e l’artista possano trovare nutrimento e luoghi fisici e non per il proprio operare.
Instaurare un rapporto di fiducia reciproca e nutrirsi vicendevolmente al fine di creare, sia da parte degli artisti che da parte dei curatori, dei lavori e dei programmi che servano agli artisti, ai festival e non per ultimo al pubblico e al sistema di circolazione degli spettacoli, che hanno sempre più bisogno di programmi coraggiosi e di artisti e curatori che si assumano il rischio e che includano il “fallimento” nelle opzioni possibili del proprio fare.

Menoventi: La declinazione al plurale del titolo del festival sottolinea come diverse melodie si possono sommare in un insieme olistico per generare un’armonia. Armonia dissonante perché incompleta, e proprio la sua incompletezza lascia spazio all’intrusione dell’imprevisto, elemento in grado di generare nuove prospettive, nuovi sistemi e nuovi pensieri.
Roberta si è innamorata come noi del testo di riferimento del progetto e ha messo il dito nella piaga delle scelte più semplici, facendosi dramaturg non stipendiato del nostro percorso. Abbiamo capito insieme quali elementi e quali forme condividere con il pubblico in questi giorni e le sue domande hanno indotto uno scarto nel nostro percorso, fomentando quell’imprevisto che ci obbliga a sbirciare altri sentieri prima di proseguire un cammino che non deve mai farsi passeggiata.

Opera Bianco: Il dialogo sul piano artistico con Roberta è molto profondo, parliamo solo di questo e ogni volta lei è sempre dentro la nostra creazione! Partirei dall’anno scorso, quando TDV presentò un focus sul nostro lavoro: in quell’occasione lei fece sì che iniziassimo a ragionare sulle relazioni tra i diversi percorsi che avevamo attivi, dalla dimensione delle istallazioni vicina alle arti contemporanee a quella più spettacolare, tra teatro e danza. Avevamo appena cambiato nome, alcuni membri del gruppo di lavoro, eravamo in una nuova fase artistica e stavamo provando a capire come narrare la nostra poetica trasversale e non solo quella del singolo progetto. Avendo sempre lavorato con artisti diversi, è stato difficile. Roberta ha avuto uno sguardo curatoriale molto prezioso perché li ha messi insieme, ci ha aiutato a vedere le relazioni tra i vari lavori, a tessere le trame col passato. Ha gettato una luce molto chiara sul nostro percorso, senza che questo risultasse pedante.
L’anno scorso avevamo portato un lavoro finito e uno alla sua prima apertura dopo pochi giorni di prove. In questo senso abbiamo accolto il valore della sua richiesta, portare un processo agli inizi. È stato molto rischioso per noi, ma ha talmente tanto valore lasciare intravedere anche questa parte del percorso che non potevamo tirarci indietro! Quest’anno portiamo un laboratorio che abbiamo già fatto ma che abbiamo rielaborato, in quanto sarà condotto da tre persone: uno scultore, me e Vincenzo Schino. Si tratta di un progetto che inizia a mettere le basi di un percorso pedagogico in cui le differenti arti si strutturano per offrire un paesaggio inusuale. A seguito di questo ci auguriamo di arrivare a una scrittura vera e propria, capire come immettere il nostro segno specifico dopo la sperimentazione.

Qui e Ora / Silvia Gribaudi: Presso gli antichi Romani l’oscillo era un oggetto di culto magico-religioso che veniva appeso e dondolava mosso dal vento, da qui nasce il verbo oscillare, muoversi fra due posizioni estreme. #TRE è un dispositivo in cui ci muoviamo fra due posizioni estreme, essere e mostrarsi, scegliere e farsi scegliere, ma quello che ci tocca è la transizione, il luogo indefinito, di mezzo, in cui stanno la creazione e l’incontro. L’atto poetico che vogliamo risvegliare in Oscillazioni si sviluppa nell’incontro con il pubblico. Lo sguardo come scelta. Chi osserva come sceglie? Chi viene scelto come reagisce? Lo scambio che da un anno abbiamo con Roberta Nicolai e TDV13 ha permesso di approfondire un processo che non si concluderà con il debutto a giugno 2020, ma continuerà nell’incontro con il pubblico replica dopo replica.

Giovanna Velardi: Non è scontato che un direttore artistico di un festival si distacchi arduamente e con audacia da una logica del mercato globale prendendosi il tempo di approfondire, di donare generosamente facendo scelte direi in controtendenza. Proprio questo tempo che fa da pendolo tra quantità e qualità è stato rallentato per darmi “lo spazio” per lavorare con più precisione, con pulsazioni scandite non rischiando affatto di essere fuori tempo. Roberta Nicolai ha voluto guardare oltre il prodotto finito, ha cercato di capire cosa e come di me, di una artista. Storicizzare questo percorso per me è un onore, significa dare significato ad un processo, il mio in questo caso che equivale alla mia persona, alla mia identità, al mio percorso. Mi faccio ancora domande sul senso del mio lavoro, mi chiedo il perché la gente dovrebbe pagare un biglietto per venire a vedere un mio spettacolo. Ho scelto il linguaggio del corpo che è anche parola, restituendo alla parola un posto nel corpo danzante, cercando di approfondire come questo possa comunicare, con quali strumenti, quali urgenze su quali temi. Roberta Nicolai mi ha permesso di mostrare il processo e il metodo facendomi partecipare a dei “dispositivi”. Adesso Oscillazioni, una tappa per me molto importante perché ha a che fare con l’ampiezza del discorso danzato, il pensiero strutturato della danza che è discorso tematico in cui tutto dovrebbe essere drammaturgicamente fluido. Più che dilungarmi in un discorso mi viene solo da buttare giu’ parole come sintonia, justesse delle parti, presenza, capacità di starci dentro senza frustrazione, disponibilità, interesse a supportare, dedizione condivisa, scambio sinergico ed energico. Roberta mi ha fatto un grande regalo, le persone con cui ho condiviso il processo creativo: Luciano Colavero, Andrea Milano, Matteo Finamore. Discussioni, ricerca testuale e fisica, riferimenti letterari, video, foto, musica, tanto scambio profondo. È così nata una comunità di appartenenza, rara da costruire, capace di avere in sé una tensione creativa che ha fatto nascere lo spettacolo I Broke the ice and saw the eclipse.  

Redazione

 

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