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Per un viaggio tra cinque città. Clessidra Teatro a Matera

Uccelli. Esercizi di Miracolo è la performance di Clessidra Teatro portata in scena per la regia e la drammaturgia di Gianluigi Gherzi al Palazzo del Casale di Matera, all’interno del programma di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Recensione

Foto Alessandro Colazzo

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Per caso, ma non a caso giunge alla mente Le Città Invisibili di Italo Calvino. Durante il viaggio, l’acqua segna la strada dell’arrivo a Matera, una pioggia invernale accompagna la risalita e la discesa fra i Sassi. Lucida le chianche mentre il chiarore delle architetture si ammanta del tono ambrato dei lampioni serali sfumando la prospettiva della volta urbana.

Foto Alessandro Colazzo

Uccelli. Esercizi di miracolo è la performance con cui Clessidra Teatro (nucleo curato da Erika Grillo, prodotto da Teatro Le Forche, nato nel 2014 e da allora improntato alla ricerca su luoghi specifici e sulle dinamiche relazionali di cui vivono) ha abitato il Palazzo del Casale, inscrivendosi all’interno del programma di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Il progetto prende forma da una residenza iniziata a luglio, arriva alla creazione e alla composizione testuale – per la drammaturgia e la regia di Gianluigi Gherzi – su alcuni lemmi utilizzati in un secondo momento anche come nuclei espressivi negli incontri fra gli attori e i ragazzi di tre scuole del centro lucano (l’Istituto di Istruzione Superiore “Emanuele Duni – Carlo Levi” Liceo Classico e Liceo Artistico e il Liceo Scientifico “Dante Alighieri”) con delle successive brevi azioni performative.
L’arrivo del pubblico è previsto in una sala del complesso architettonico, sorta di anticamera non solo evenemenziale e logistica, ma anche di introduzione tematica. Qui si offre un primo percorso fra i materiali raccolti all’interno delle scuole, distribuiti e organizzati con un criterio preciso a ricalcare quello dello spettacolo: visioni, timori, immaginari, generatori o generati da una parte della città sull’idea stessa di città, sia essa reale o ideale.
Due o tre gruppi di una dozzina di spettatori vengono accompagnati fuori, su per le scale che conducono alla parte più arroccata del palazzo, tra le maglie di una performance articolata in cinque “stanze” per altrettante Città.

Foto Alessandro Colazzo

Città dei Miracoli. Nello slargo esterno si fa spazio una cappa bianca. Sorta di folletto (Erika Grillo) che scrive sui muri col dito senza lasciar tracce, si avvicina agli spettatori per guardarli negli occhi, la sua sospensione spazio-temporale vive del riflesso della speranza propositiva di sette esercizi per fare «esperienza di miracolo». In cerchio, camminando, fermi su un ballatoio dietro a una porta, ci si trova a “nominare le cose che vediamo”, a pronunciare “il no che nasce dal sì, con e senza suono” oppure a confrontarsi con “il coro poetico”. Così un meccanismo di chiamata alla partecipazione conclama, in parte, una mutualità dell’azione performativa e cifra il campo chimerico di una modalità virtuosa di approccio a quanto ci circonda.
Città delle Gabbie. Una ristretta passerella di osservazione, delimitata da un nastro adesivo al pavimento, scorge una piccola torcia sul profilo di Chiara Petillo. Il suo corpo interagisce con lo spazio e le proiezioni alle pareti mentre la voce snocciola differenti tipi di segregazione, più o meno contemporanei: dalle prostitute in vetrina di Amsterdam agli animali dello zoo, dalle Vele di Scampia ai quartieri residenziali, dalle recinzioni di confine tra Messico e USA fino alle reti che contornano i gonfiabili negli spazi per bambini, con la ripresa cadenzata del leitmotiv «Si può vivere così?», tratto da una lettera di Van Gogh al fratello Theo.
Città dello Spasso. L’assetto frontale è segnato da una linea di demarcazione dietro la quale campeggia a sinistra una catasta di arance. Al centro, giacca rossa e maglia a righe, Giorgio Consoli, quasi un Lucignolo col kajal, re di uno “spasso” da cui non ci si può sottrarre, vate momentaneo del divertimento ad ogni costo, di un accenno di sballo che sgrana gli occhi e tira su col naso di tanto; inanella storielle e spot promozionali richiamando il suo uditorio alla risposta in un moto senza respiro di distruzione dell’abulia.

Foto Alessandro Colazzo

Città dei Cammini. Una schiera di sedie fronteggia un uomo di spalle (Fabio Zullino), integralmente vestito di bianco. Corre sul posto quando dietro di lui inizia a sfilare in proiezione un sentiero di sassi e cespugli che diventerà poi una grotta. Nel suo corpo e nella sua voce si avvicenderanno la levità di tono di un gruppo di bambini e la cava ripercussione nell’antro della gola di un lebbroso: «La mia carne è marcia, le bestie si spaurano […] Il giorno si scansa da me».
Città dei Corpi. Due grandi lampadine pendono dal soffitto su un vaso di terra coi resti secchi, sparuti di una qualche radice. Quando entra in scena Ermelinda Nasuto, porta la parola nell’attrito tra la lingua e l’arcata dei denti, lubrificata e ostacolata al contempo dal montare della saliva che si governa con la maschera del viso. Montaggio di testo e movimento, di anatomia e mimica, di immagini proiettate e immagini plasmate per l’occhio davanti ad esso, di suono diretto e suono registrato. Il ritmo serrato passa dall’ironia e arriva fino all’inquietudine in un crescendo che culmina in una caduta.
Città degli Incontri. Il buio completo, ottundente, e una sola voce. È in questa dimensione che Andrea Dellai parla a un insieme di persone coscienti della compresenza, private tuttavia della naturale cognizione oculo-spaziale. Un meccanismo che impaurisce e rassicura al contempo, che potenzia l’ascolto e sottolinea nell’oscurità la comunanza di sensazioni stillate da frasi come «so che esisto, ma non sento niente». Poi il fascio sottile di un bagliore, la scoperta della figura e lo scrosciare inatteso dell’acqua che scende, lava, irrora, colpisce e lascia il performer al suolo.

Foto Alessandro Colazzo

All’interno dei quadri i cinque performer declinano un sistema drammaturgico capace di bilanciare un complesso ove, in potenza, ciascuna delle Città valga come piano autonomo, concluso e intercambiabile di sviluppo, un complesso in grado perciò di conservare una coerenza sia concettuale sia dell’azione. L’equilibrio strutturale restituisce un’indagine della dimensione esistenziale ed urbana contemporanea, dei nodi di oggi e dei crucci di sempre, quel bilico costante in cui l’umano si dibatte tra utopia e analisi delle proprie deviazioni, delle proprie storture. Il lavoro beneficia di una omogeneità estetica nella definizione delle immagini, seppure a tratti sembra risentire di una non altrettanto omogenea temperatura interpretativa. Se la fruizione si aggancia quasi senza remore alle qualità della presenza attoriale nei due quadri che precedono la conclusione (Città dei Corpi e Città degli Incontri), un dubbio resta sull’incipit: su un velo sottile di eccessiva ieraticità declamatoria da teatro di cantina nella Città delle Gabbie e su una certa forzatura di maniera nella Città dei Miracoli che lascia, forse complici avverse le condizioni meteorologiche a indurre una compensazione, un senso di stridore tanto rispetto all’ipotesi di volontà ironico-critica quanto rispetto a quella di un sentito tentativo di calamitare il pubblico nella partecipazione all’azione performativa.

Spiegate le ali, il ritorno. Un’altra pioggia, un altro viaggio. «È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure».

Marianna Masselli

Visto a Matera, dicembre 2019.

UCCELLI. ESERCIZI DI MIRACOLO
Il progetto CLESSIDRA è una produzione del Teatro Le Forche
direzione artistica Teatro delle Forche Giancarlo Luce
direzione artistica e organizzazione progetto CLESSIDRA Erika Grillo
regia e drammaturgia Gianluigi Gherzi
assistente alla regia Erika Grillo
regia digitale e comunicazione visiva Alessandro Colazzo
con gli attori del progetto CLESSIDRA Giorgio Consoli, Andrea Dellai, Erika Grillo, Ermelinda Nasuto, Chiara Petillo, Fabio Zullino
disegno luci, scenografie, allestimenti Walter Pulpito
sonorizzazioni e allestimenti tecnici Angelo Piccinni e Vincenzo Dipierro

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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