“Ma in mezzo agli sciacalli, alle pantere, alle linci
alle scimmie, agli scorpioni, agli avvoltoi, ai serpenti,
ai mostri guaiolanti, grufolanti, striscianti
del nostro infame serraglio di vizi,
uno è ancora piú brutto, piú cattivo, piú immondo!
Senza troppo agitarsi né gridare,
vorrebbe della terra non lasciar che rovine
e sbadigliando inghiottirebbe il mondo:
è… è? La poesia più famosa di Baudelaire. Lo conosci, spettatore, quel mostro delicato – ipocrita spettatore, – mio simile, – fratello”.
Un Teatro Torlonia “al contrario” ospita sul palco il pubblico di No.1 Io e Baudelaire, di Biancofango, i palchetti affrescati bene illuminati sullo sfondo. La scena che si presenta suggerisce un’ambientazione da reading con accompagnamento – asta e microfono sulla destra, pianoforte verticale sulla sinistra – ma quello in cui subito Andrea Trapani ci introduce ha più il sapore di un cabaret poco ortodosso, dai toni grotteschi e macabri.
Un microfono, un pianoforte; le mani sudate, irrequiete di un maestro, Maurizio Pollini, che canta, ossessivamente, le prime battute della sonata op. 49 n.1 di Ludwig van Beethoven. Perché perfino il grande maestro Pollini, davanti al pubblico del Teatro la Pergola, ha paura. Otto battute dolorose, quelle che aprono la sonata in sol minore e che Trapani, ora al pianoforte, ripete ancora e ancora, con addosso una testa da asino, prima di intraprendere una rapsodia di voce e versi severa, incalzante. Nanni Moretti e Pasolini, De Gregori e i Queen si intrecciano alle parole aspre di Baudelaire, il temuto poeta maledetto, il cantore dello spleen e dell’oppio.
“Non l’ho detto io: l’ha detto Baudelaire”. Un ritornello che ci ricorda come il poeta, nella vertigine dei sue 45 anni, avesse già forse davvero detto tutto. Tutto quello che sta oltre le righe striminzite dei manuali, le citazioni da cioccolatino, oltre la maledizione e l’allucinazione. E tu? Tu che dici? Andrea che dice?
Andrea Trapani – e Francesca Macrì, co-autrice della drammaturgia – ci dice di un adolescente comunemente fuori dalla norma, che come regalo di promozione – o meglio di non bocciatura – sceglie il biglietto per il concerto di Maurizio Pollini (prima fila, posto numero 4) e che legge Baudelaire. Legge Baudelaire fuori dalle antologie scolastiche, fuori dai luoghi consentiti. Ci dice di generazioni sperdute, talvolta immature. “Perché io non lo voglio superare il complesso di Edipo!”, urla in un amplificatore Nanni Moretti, per chi non vuole crescere e trovare nelle usate stanze – domestiche e poetiche – un caos rassicurante e turbolento. E Nanni Moretti, sempre da Sogni d’oro, ci racconta anche il paradosso di una didattica assonnata e apatica, di una scuola cadaverizzata. Sono stralci, suggerimenti, innesti di discorsi che si sedimentano uno sull’altro, sul palcoscenico e tra le poltrone, che non decollano.
Ben lontana dalla cantilenante litania scolastica è la recitazione di Trapani: aspra, spezzata, ora gridata al centro della scena, ora ringhiata contro il microfono. Baudelaire come non l’avete mai sentito leggere. Le pagine beethoveniane, febbricitanti, introverse, accompagnano la rabbia del poeta. Non è un reading, piuttosto un concerto, un concerto per Baudelaire: dai versi più noti alle strazianti lettere alla Madre (questo, sì, un complesso mai superato, un affetto ossessivo e e ardente), a cui si intrecciano, questa volta, le note di Bohemian Rapsody.
45 anni. 31 agosto 1867. 24 novembre 1991. Anche Freddie Mercury muore a 45 anni. “E io non sopporto che si muoia a 45 anni”. Così l’icona, l’idolo, invade il palco e di rosso accesso illumina le gallerie affrescate. Colui che cantò, di fronte alla platea più numerosa della storia, “chi vuole vivere per sempre?”. Chissà se l’aveva letto, lui, Baudelaire. Chissà cosa avrebbe risposto Baudelaire. Si può vivere così? Si può vivere così per sempre?
“Ce que j’ai toujours trouvé de plus beau dans un théâtre, dans mon enfance, et encore maintenant, c’est le lustre, — un bel objet lumineux, cristallin, compliqué, circulaire et symétrique”. Mentre le luci, nei palchi di fronte a noi, ancora cambiano, e l’attore ancora corre, ora al microfono, ora al pianoforte, ora parla e suona, con vivida amarezza le parole risuonano, ormai nude della poesia, nella testa di chi ascolta. Cercando qualcosa di più, qualcosa di oltre un paradigma consueto e digerito: il poeta è come l’albatro, e inciampa nelle proprie ali da gigante. Non l’ha detto Pasolini, non l’ha detto Nanni Moretti, non l’ha detto Freddie Mercury… Non lo dico io: l’ha detto Baudelaire.
Angela Forti
Novembre 2019, Roma, Teatro d Villa Torlonia
N.1 Io e Baudelaire_POETI MALEDETTI
_Who wants to live forever?
un progetto di Biancofango
con Andrea Trapani
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
traduzione dal francese Francesca Macrì e Andrea Trapani
regia Francesca Macrì