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Memorie Afroitaliane. Intervista a Johanne Affricot

Nel Municipio V di Roma, la prima edizione di FuturaMemoria, rassegna multidisciplinare su tematiche di inclusione e memoria diretta da Valentina Marini, dal 31 ottobre al 28 novembre 2019. Abbiamo intervistato la curatrice Johanne Affricot, che presenterà Memorie (in ascolto), prodotto da GRIOT e dall’Associazione Culturale Lit, due istallazioni presso  il mercato coperto Iris di Centocelle (la prima il 23 novembre e la seconda 25-26 novembre).  Intervista in mediapartnership

Il tuo lavoro spazia dalle video-istallazioni alle web serie documentarie, dal blogging culturale all’attraversamento urbano; quali sono i punti in comune di queste pratiche artistiche?

Tra queste possiamo aggiungere anche le performing arts, in quanto recentemente abbiamo realizzato con GRIOT e l’associanzione culturale LIT una performance tra danza contemporanea e video arte, Mirrors, che abbiamo portato la scorsa primavera in un tour di 20 giorni toccando tre paesi: il Teatro della Università di Johannesburg UJ Arts & Culture Theatre, Sud Africa, il Teatro Nazionale Daniel Sorano di Dakar, Senegal e il teatro Giuseppe Verdi all’interno dell’Istituto Italiano di Cultura di Addis Abeba, Etiopia. Quest’operazione era animata da diverse identità tra cui Irene Russolillo, che si è occupata della parte coreografica, Luca Brinchi che ha lavorato alle video istallazioni, Daniele Davino per il disegno luci, EHUA per le musiche. I danzatori hanno tutti formazioni diverse e, con l’eccezione di Russolillo, sono tutti italiani afrodiscendenti: Roberto Lazzari, italo-brasiliano che viene dal mondo del balletto, Ofelia Omoyele Balogu che è italo-nigeriana e viene dal mondo delle danze africane-caraibiche e poi Andrea Bouothmane, che è italo-tunisino ed esplora il bone-breaking e l’elettro dance. Nel futuro vorremmo cercare di avviare anche altre collaborazioni con altre realtà.

Come hai giustamente rilevato, l’approccio è fortemente multidisciplinare perché innanzitutto rispecchia la mia natura, la mia curiosità; mi piace esplorare molte forme, anche molto diverse l’una dall’altra, renderle vive. Poi questa varietà caratterizza anche il magazine online Griot e il nostro collettivo, che ho fondato con l’obiettivo di diffondere e amplificare la cultura e le arti e promuovere la contemporaneità della società, con un focus speciale sull’Africa e la su diaspora, sugli Italiani con origini africane, e su altre culture e contaminazioni. Attraverso queste pratiche provo a decostruire vecchi paradigmi per portare alla luce dei nuovi concetti, non soltanto nella testa degli altri ma anche nella mia. Si tratta di un laboratorio aperto, non c’è niente di fisso, è tutto sempre in continua evoluzione. Pensiamo alla cultura contemporanea, in particolare a quella italiana: possiamo attingere a un densissimo archivio di storie, immagini e oggetti, tra arti visive, performative, musicali, letteratura, moda; io sono italiana con origini haitiane e ghanesi e per la gran parte della mia vita ho avuto accesso a questo grande “archivio madre”, che ha plasmato i miei orizzonti di riferimento, ma tutte le pratiche artistiche che metto in campo sono volte a indagare, abitare e ampliare questo archivio, costruendone anche uno nuovo, che viene dal passato, ma vive nel presente e racconta il nostro futuro.

Come si riflette all’interno della tua produzione la riflessione e la battaglia sui diritti civili degli Afroitaliani?

Questa riflessione viene esplicitata innanzi tutto attraverso la nostra presenza, che è una testimonianza della nostra appartenenza anche ad altre radici, a corpi e voci che dovrebbero essere considerati come appartenenti all’Italia ma vengono visti come altri. Se ci focalizziamo sulla situazione attuale, come alle questioni legate al diritto di cittadinanza, allo Ius Culturae, appare chiaro come ci sia una divisione in cittadini di serie A e altri di serie B. Purtroppo, è un tema che non tocca molte persone, poiché all’interno degli archivi coi quali sono cresciute, mancano gli strumenti per sviluppare una certa sensibilità e un certo senso comune di appartenenza. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di dare spazio a delle istanze inserendo questi corpi che spesso non trovano altri spazi, amplificando le loro storie, che sono le nostre, rendere vive e manifeste, anche la mia e la tua, superando anche quelle storture legate alla concessione di spazi fatti per carità.

Per far fronte a questo, un primo strumento passa attraverso la sete di cultura, bisogna capire perché e da dove derivino certi comportamenti, perché si sia attinto soltanto da certi “archivi madre”, perché anche nel mondo delle arti, che è composto da mondi molto borghesi, non si sia fatto un passaggio di consapevolezza; perché troppo raramente si sia attinto ad altre voci. Dunque, bisogna capire da dove derivino certi privilegi, cercare di decostruirli e iniziare a esplorare, coinvolgendo realtà che appartengono sempre allo stesso mondo ma che sono state escluse.

All’interno di Memorie (In ascolto) il dispositivo orale è centrale, così come lo è nella pratica narrativa dei Griot da cui il vostro collettivo/piattaforma creativa prende il nome. Nelle due istallazioni – che avranno luogo all’interno di due mercati urbani per il Festival FuturaMemoria – quale valore assume l’oralità della testimonianza, come si relaziona all’ambiente in cui le avete pensate e come lo spettatore può rapportarvisi?

Il dispositivo è sia orale che visivo in entrambe le istallazioni. Nella prima ci sono 5 schermi che vengono disseminati all’interno del mercato, che proiettano le storie di vari artisti italiani con diverse origini africane: Clavdio, David Blank, Mudimbi, Technoir, Vhelade. Storie che puoi ascoltare soltanto indossando delle cuffie, come in un museo, e allo stesso tempo, nel vagare per il mercato, si è accompagnati dalla musica di ciascun artista musicale. Nella seconda invece ci sono quattro autori – Eleonora Chigbolu (con il testo La Fame), Louis Fabrice Tshimanga (con Telai), Claudia Galal (con L’esercizio dell’attesa) e Livio Ghilardi (Sul 3) – seduti in quattro postazioni nella parte centrale del mercato, di fronte a loro alcune sedie sulle quali gli avventori potranno scegliere di sedersi e ascoltarne i racconti, o leggerli all’interno della fanzine che troveranno sulle sedie.

Quando la direttrice artistica Valentina Marini mi ha proposto di far parte di FuturaMemoria, ho pensato subito al mercato per le esperienze che avevo passato a Port-au-Prince, Haiti, a Bamako, in Mali, e recentemente a Dakar, in Senegal. All’interno di quei mercati ho avvertito sempre la sensazione reale di spazi che non fossero soltanto abitati da persone che vogliono vendere e/o comprare merce, ma che fossero luoghi di scambi di esperienze e relazioni, di costruzione della collettività.

Inoltre, stiamo andando in un posto non convenzionale, mi piace uscire da quella comfort zone che appartiene a tante situazioni legate alla cultura. Lo scorso giugno ho moderato un panel per Emergency, «Where are you “really” from?» sull’identità e su come resistere alle etichette, dove c’era l’euro parlamentare Pier Francesco Majorino e Sonia Garcia, giornalista di Vice, anche lei con un’identità plurale, è italo-peruviana; il pubblico era molto interessato e colpito dai nostri interventi, e molte persone erano già a conoscenza di queste problematiche, alcune delle quali alla fine del talk si fermarono e vennero a ringraziare me e Sonia, raccontandoci di quanto si fossero immedesimate nelle nostre storie e parlando dell’esigenza di farne altri. Ricordo che risposi “Sì, è importante, ma è fondamentale anche andare in altri spazi. Altrimenti ci rivolgiamo sempre allo stesso circuito, che ha la nostra stessa sensibilità, ma gli altri, quelli distanti da noi?”.

Ma qui forse è diverso. Non so. Ho pensato: Che cosa comporta andare in un luogo in cui c’è un altro background culturale, in cui si vivono e si sono vissute esperienze diverse dalle nostre? Che cosa significa togliere la mediazione che può essere presentata da politica, televisione, social media e andare direttamente noi a farci ascoltare? Cosa  vuol dire sollecitare la risposta con la nostra presenza sia in virtuale col video, che dal vivo, oralmente? Il luogo della quotidianità del mercato viene attraversato da delle pratiche artistiche, che cosa gli lascia? Rimangono le memorie di questi moderni pellegrini che percorrono i loro viaggi intimi e personali, innescando dei processi di costruzione, decostruzione e condivisione di identità e di scoperte sia personali che collettive.

Potresti  lasciare un messaggio da consegnare a Futura Memoria?

Continuare a lavorare alla costruzione di questi archivi e non mantenerli come strumento solo dell’oggi ma dargli una continuità, finché il concetto dell’altro non venga superato, normalizzato, per una convivenza e un riconoscimento di tutti i bagagli culturali e identitari.

Info e programma http://www.contemporaneamenteroma.it/progetto/futura-memoria/

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