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Portare il teatro fuori dal teatro. Intervista a Pamela Villoresi

Intervista alla direttrice artistica del Teatro Biondo di Palermo, Pamela Villoresi, all’inizio del suo mandato che durerà cinque anni.

Pamela Villoresi, FOto Ufficio Stampa

A Ottobre Palermo si presenta ancora quasi estiva, le mura  bagnate dalla luce solare che filtra dalle ampie finestre del Teatro Biondo, tutto sembra ancora da farsi, la frenesia cittadina della centrale via Roma è piena del ritmo turistico, lontani appena un angolo i quartieri sdhirrubati, in un eterna caduta che sembra non volerli far rialzare mai. Eppure, i giochi sono iniziati, anche il teatro si appresta a riprendere il proprio corso, con uno sguardo rinnovato all’internazionalizzazione e uno vicino alla propria complessità, nel desiderio utopico di essere lì per tutti.
Incontriamo la nuova direttrice artistica dello stabile palermitano, Pamela Villoresi, all’inizio della prima delle sue cinque stagioni, in concomitanza del debutto regionale dello spettacolo degli studenti della Scuola delle arti diretta da Emma Dante, Esodo, e a pochi giorni dalla presentazione assoluta del film sull’iconico stuck di Pina Bausch dedicato proprio al capoluogo siciliano, Palermo Palermo

Quali sono le linee progettuali di questi cinque anni di programmazione?

Progetto Biondaccio per Padre Pino Puglisi, foto Ufficio Stampa

Il grande messaggio che vogliamo lanciare è “il Biondo fuori dal Biondo”, un’indicazione che abbiamo ricevuto sia dal sindaco Orlando che dalla Regione, per un teatro che esca dai propri confini e si riversi nei quartieri e nelle scuole. Stiamo portando avanti con Biondaccio un grande lavoro con il quartiere Brancaccio assieme all’”Associazione Padre Nostro” nata per opera di Padre Pino Puglisi che proprio in quel quartiere fu ucciso per mano mafiosa; stiamo attivando dei laboratori a San Giovanni Apostolo; nelle scuole facciamo continue incursioni anche con i nostri ragazzi portando pillole di teatro; inoltre stiamo attivando delle sinergie con tutte le istituzioni della città, con l’Università, con l’Accademia di Belle Arti, con il Centro Sperimentale di Cinematografia. Gli studenti del Dams, per esempio, che potranno fare da noi dei tirocini, stanno preparando le scenografie di due spettacoli; con gli studenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione abbiamo attivato un’indagine su come mai gli universitari, che dovrebbero essere la fascia più colta della popolazione, non vadano così spesso a teatro; il CSC sta collaborando attivamente alla realizzazione di uno spettacolo sulla comunità bengalese di Palermo, composta da circa 30.000 persone. Inoltre, abbiamo fatto un accordo attraverso il progetto Biondaccio per cui garantiamo, per ogni titolo, 25 biglietti a un euro per far scoprire il teatro alle nuove comunità palermitane. Abbiamo fatto anche una convenzione con il Teatro Massimo e il Teatro Politeama, per cui chi ha l’abbonamento da noi ha anche la possibilità di ottenere uno sconto del 30% e viceversa. Stiamo facendo un cartellone aggiuntivo legato all’arte, quest’anno composto da 4 titoli, oltre a due mostre di fotografia e a una su Pina Bausch in occasione dei trent’anni dal debutto del suo stuck Palermo Palermo; abbiamo aperto il teatro anche a nuovi artisti contemporanei che creeranno delle istallazioni sul tema della nostra stagione di quest’anno, Traghetti, che poi saranno esposte in teatro.

Da una parte emerge una vocazione internazionale – penso ad esempio alla presentazione in prima assoluta del film sulla storica produzione del Wuppertal Tanztheater dedicato a Palermo, – e dall’altra una vocazione sul territorio. Come si sviluppano questi due aspetti?

Palermo Palermo, foto di Piero Tauro

Se si vuole tirare la freccia in avanti bisogna tirare l’arco all’indietro. Prendiamo la serie di iniziative legate a Pina Bausch, che mostrano come questi due aspetti siano un modo per accrescere sinergie internazionali ma anche per coltivare forze locali. Partendo da un passato importante del Teatro Biondo che è stato appunto il debutto di Palermo Palermo nel 1989, siamo andati a Wuppertal e abbiamo ottenuto la prima mondiale di questo film creato con documenti dello spettacolo, delle prove e di materiali relativi a quella che era la Palermo di allora. Seguirà un laboratorio per i nostri allievi con Jan Minarik e Beatrice Libonati, danzatori storici della compagnia del Tanztheater, dopodiché il progetto proseguirà in primavera con un laboratorio che durerà per più di un mese al cui interno verranno selezionati dei danzatori siciliani oltre ad altri provenienti da tutto il mondo, che formeranno la prima nuova compagnia giovane del Tanztheater nel mondo. Il nuovo spettacolo, a partire da quella storica coreografia, debutterà nel ’21 e per il primo anno sarà possibile vedere questa produzione soltanto qui al Biondo: dovranno scendere a Palermo da tutt’Italia e da tutta Europa! L’anno successivo probabilmente andremo in tournée.

Sempre legato alla danza internazionale ci sarà un altro progetto con artisti locali diretto da Aurelien Bory. Un’altra collaborazione internazionale sarà quella con La Cité de la Culture di Tunisi, sulle Tentazioni di Sant’Antonio, in uno spettacolo con pupi, ombre e danzatori bilingue. Mentre con la Francia coprodurremo la nuova favola di Emma Dante che debutterà quest’estate ad Avignone, queste sono dunque le prime attivazioni internazionali.

Scuola dei Mestieri dello Spettacolo, foto Ufficio Stampa

Per quel che riguarda gli artisti del territorio, intanto cerchiamo di produrre progetti che nascono qui; qualcuno come Fabrizio Falco che è già stato sperimentato, dirigerà un Misantropo che sarà uno degli spettacoli di punta che vorremo vendere agli altri teatri d’Italia. In ogni caso noi chiediamo a tutti gli artisti che produciamo, fin dove è possibile, di coinvolgere artisti e maestranze del territorio. Abbiamo creato una mail che è curriculum@teatrobiondo.it, dove per tutti i mestieri legati al teatro si può mandare cv e foto, da lì i registi attingono e scelgono di volta in volta molti scritturati. Finora sta andando bene.

Qual è la posizione nei confronti della drammaturgia siciliana contemporanea?

Quest’anno ci saranno sia I giganti della montagna che una scrittura dei Sei personaggi pirandelliani [il primo con la regia di Gabriele Lavia, e il secondo a cura di Scimone e Sframeli], mentre a dicembre faremo un ricordo su Sciascia perché sono i trent’anni dalla morte. L’anno prossimo metteremo in scena un testo di Franco Scaldati. Vogliamo ogni anno produrre uno spettacolo dei nostri grandi drammaturghi. Peraltro, anche dal nostro spettacolo Bengala a Palermo, che ha una scrittura frutto di interviste fatte con il Centro Sperimentale e iniziate lo scorso maggio, scaturisce un’idea su cosa sia la cultura oggi a Palermo: fra storie incrociate, persone della città, ragazzi di seconde generazioni e le loro famiglie.

Quali sono i linguaggi e le forme su cui il Teatro Biondo vuole oggi investire?

Penso che in una metropoli i teatri siano settorializzati su identità precise, su generi precisi;  una città come Palermo, che è abbastanza grande perché ha un milione di abitanti e il teatro un seguito significativo, rimane però tuttavia un luogo il cui teatro stabile debba essere il teatro di tutti: ci deve essere la ricerca, le nuove produzioni, ma anche il grande classico e i grandi nomi della scena nazionale e internazionale, lo spettacolo a sfondo sociale e quello di puro intrattenimento. Io credo che ciascuno debba trovare il proprio teatro all’interno del Biondo.

Quali sono le prospettive che la scuola delle arti e dei mestieri dello spettacolo offre ai giovani attori iscritti o ai futuri che si iscriveranno?

I ragazzi stanno adesso completando il primo triennio. Stanno lavorando tanto e non solo perché Emma li considera quasi dei figli, sono estremamente coinvolti in tantissimi dei nostri progetti. Crediamo che anche un operatore culturale come l’attore e il teatrante abbia diritto a un riconoscimento accademico, dunque, dall’anno prossimo la scuola di teatro del Biondo sarà il primo corso di laurea integrato. Il piano di studi sarà in collaborazione strettissima con il Dams, per cui la mattina seguiranno in Università le lezioni teoriche mentre il pomeriggio quelle pratiche verranno coordinate da Emma Dante.

Le baruffe chiozzotte, 1964. Archivio Teatro Piccolo di Milano

Gli artisti, gli attori, ma anche i direttori artistici formano la propria idea di teatro non solo agendo ma anche guardando. Qual è lo spettacolo che ha cambiato il suo modo di intendere il teatro?

Sicuramente il Piccolo Teatro è stato per me il luogo fondativo; le visioni degli spettacoli di Strehler: il Campiello, l’Arlecchino, poi ci sono state Le baruffe chiozzotte, Il temporale, L’isola degli schiavi, poi mi fece fare la regia di Taibele e il suo demone… Strehler ha cambiato il mio modo di fare; mi ha fatto comprendere il senso di responsabilità grande che ha il teatro, che è come un grillo parlante, perché forma culture e coscienze. Aiuta a raggiungere gli strumenti per trovare le risposte più adeguate alla propria vita, il che comporta studiare, essere seri, prepararsi, sapere quello che si fa e poi lasciarsi andare al meraviglioso gioco della creatività.

Viviana Raciti

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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