A Charleville Mezières, in Francia, c’è uno dei più importanti festival di teatro di figura al mondo: decine di spazi teatrali, centinaia di spettacoli e spettatori da ogni continente. Un reportage tra i diversi livelli e luoghi del festival.
Sulle prime quattro pagine della brochure del Festival Mondial des Théâtres de Marionnettes – fondato nel 1961 dal visionario Jaques Félix – c’è una serie di presentazioni dell’evento a firma di alcune delle più alte cariche delle istituzioni locali e nazionali, fino al Ministro della cultura francese, che stupiscono anche solo pensando a un possibile confronto con l’Italia. Tra queste, c’è una frase del sindaco, Boris Ravignon, che tra le altre cose dice: «Nelle nostre sale, ma anche nelle nostre strade, loro (le marionette ndr) dettano legge per dieci giorni».
È in questo elenco di cariche e in questa frase che si riassume l’impressione più forte che si ha arrivando a Charleville-Mézières, oltre alle rigide temperature invernali, quella di sbarcare in un luogo dove la comunità intera si affida, per dieci giorni, al teatro di figura. La città non ospita il festival; Charleville – Cité des arts de la marionnette – è il festival.
Per capire poi quanto la presenza del teatro di figura sia qui labirintica e tentacolare, bisognerà aprire una mappa dell’ufficio turismo e parlare davanti a un’ottima birra o a uno champagne – che si trova ovunque a tre euro, siamo nelle Ardenne – magari con un’artista dell’OFF per farsi spiegare come il festival affondi fino all’ultimo angolo della città. Trentaquattro spazi per il programma dell’IN, a cura della direzione artistica di Anne-Françoise Cabanis, tra teatri, palestre, cinema, musei, centri di aggregazione, capannoni, tutti allestiti da far invidia. Otto spazi per la programmazione “Festival OFF en salle” (spettacoli a cappello in luoghi al chiuso) a cura della Maison de La Culture et des Loisirs. Spettacoli di artisti di strada in sei diverse aree della città, tra le quali i famosi lastricati di Rue de Republique e Place Ducale. E poi, la novità di quest’anno, il “Festival OFF en rue”: il sindaco Boris Ravignon, con un bando del comune, ha assegnato a sei collettivi di artisti altrettanti luoghi della città – l’isola sul fiume del vecchio Mulino, un parco, una piazza, una strada… – per allestire uno spazio al contempo teatrale e ludico con una propria programmazione autogestita tra gradinate e chapiteaux.
La presenza di programmazioni e di livelli così indipendenti tra loro mostra il valore di far convivere all’interno di un festival mondiale una direzione artistica autorevole, alcune logiche di mercato, da assecondare necessariamente, e proposte fragili che consumano la propria magia tra i fili di una marionetta o nella follia di una creazione. Dall’IN delle migliori compagnie internazionali classiche e di ricerca, all’OFF più remoto dei non-luoghi tirati su dai collettivi, ai camper, le gradinate e le strade abitate da artisti di tutto il mondo. L’unico limite che si può riscontrare è che la scarsa relazione tra le diverse anime della città delle marionette – IN e OFF hanno due diversi circuiti promozionali e di ricezione del pubblico, lo spazio principale del festival non ha informazioni sull’OFF – rende difficile per lo spettatore scoprire tutte le possibilità che ha davanti. Proviamo allora a ripercorrere, in un rapido viaggio a ritroso attraverso i due giorni di fine settembre passati tra l’ OFF e l’IN, le diverse anime del più grande raduno di marionette e burattini al mondo.
Oltre l’OFF. Il Cabaret clandestino
La fortuna di conoscere una delle marionettiste dell’OFF mi ha permesso di finire a notte fonda nel luogo più recondito del festival, che ogni anno si anima in un posto segreto diverso: il cabaret clandestino di un collettivo improvvisato. Se si è fortunati può capitare quindi di ritrovarsi invitati in un appartamento, in una roulotte o, come nel mio caso, in un garage lungo il fiume. Qui, davanti al pubblico e al bancone da bar, un palco. Il pubblico respira e ride, gonfio di calore e di alcol; in scena – a due passi dalle prime file – una donna si abbandona a una danza promiscua dando vita al braccio e poi al bacino di uno scheletro; poi due gemelli portoricani che abitano creature mostruose, folli, comiche, incitano il pubblico a rispondere, in un miscuglio di commedia dell’arte, teatro di figura, freak show e avanguardia. In poche parole, una dimensione parallela.
Gli spettacoli in strada
Ciò che più colpisce, la mattina, è come Charleville sia percorsa da scolaresche non solo della città ma delle regioni vicine che vengono qui in gita per girare tra gli spazi del festival; con i fratini o i cappellini colorati e accompagnate da un paio di maestre si muovono affascinate tra i teatri e i collettivi. Poi, centinaia di migliaia di turisti che riempiono i cappelli di artisti che con pupazzi, marionette a filo, burattini, spettacoli in miniature, travestimenti e maschere animano les spectacles de rue. Qui, spesso il teatro di figura è al servizio della mirabilia, dove il linguaggio visivo deve catturare e strizza a volte l’occhio all’intrattenimento. A cercar bene però, come sempre, la poesia è dietro l’angolo. Forte è anche la tradizione di mini spettacoli all’interno di roulotte, dove la realtà è al confine tra l’intimità e la dimensione pubblica.
L’OFF en salle
Forse il circuito, almeno per me, più ostico nel quale entrare. La mancanza della brochure del programma (merce rarissima in città), a eccezione degli affiches degli spettacoli che tappezzano le strade, ha reso più difficile ritagliare uno spazio nell’enorme offerta artistica. Vado così a vedere soltanto Fellini Zirkus Boulevard di Cappello Rosso. Anche qui, fila e sala piena, biglietti gratuiti e cappello a fine spettacolo; nel corpo di due marionette a filo si anima la memoria del mondo cinematografico felliniano, Gelsomina e Fellini si toccano un istante tra un tendone da circo che prende vita, il filo dell’equilibrista e la luna. In scena Michela Aiello è manipolatrice, creatrice delle marionette, luciaia: anima le scene, in un meccanismo antico e visionario come la pellicola di un film.
L’OFF EN RUE: ELOGIO DELL’EFFIMERO, RITO COLLETTIVO
Luoghi nomadi ed effimeri, realtà emozionanti già solo per la loro esistenza. Riesco a vederne tre, di questi spazi organizzati dai collettivi. Le Bateau des Fous, sull’isola del vecchio Mulino, con lo chapiteau e il palco all’aperto, dove la notte si fa festa fino a tardi davanti agli spettacoli. Le Chapit’O Lyon, nella esplanade Roger Mas, con due chapiteau, dove seduto insieme a due file di bambini vedo Le cri des minuscules di Ne dites pas non, vous avez souri, uno spettacolo di silhouette di carta su un tavolo luminoso, tra il teatro d’oggetti e il teatro d’ombra; grilli e insetti saltano in aria mentre due musicisti fanno del bricolage una musica. A mezzogiorno già tutto sembra sospeso, non si sente più il rumore delle macchine fuori, i bambini sembrano essere abituati a quella pratica, stanno lì a guardare affascinati, e anche io. Alla fine e all’inizio dello spettacolo gli artisti si presentano. Le tende sono un luogo magico nel quale il legame tra artisti e pubblico ritrova un che di ancestrale. Il terzo collettivo di cui sono stato spettatore è il Touche de bois, a rue Pasquis sotto il ponte che supera il fiume. Qui, vedo due animali a filo, il cane di Lilì à l’infini di Compagnie Mue e il gatto di Les petites histoire félines di Teatro Golondrino. I marionettisti costruiscono le proprie creature e provano gli spettacoli per anni, per cercare in quei movimenti la vita. Le persone si portano le sedioline perché le gradinate di legno montate sono piene, ci sono adulti e bambini, ci sono ragazzi disabili. Se piove si attrezzano i gazebo e tutti continuiamo a guardare, in un rito collettivo e magico.
L’IN. IL FESTIVAL UFFICIALE: ENTRARE OVUNQUE
Ed eccoci in superficie: 104 compagnies, 28 pays différents, 440 représentations. I numeri sono impressionanti. Gli spazi del festival sono ovunque, dal Puppet bar nell’Espace du festival, nel quale la sera operatori e artisti si ritrovano davanti una birra e al cabaret di figura, alla Place Ducale dove la compagnia Théâtre La Licorne ha allestito all’interno di cinque semi-rimorchi di TIR, di quelli che vediamo passare sull’autostrada ma con le pareti traslucide, un ‘human zoo’ con giganteschi animali meccanici nei quali poter accedere. L’imperativo del festival è entrare ovunque e, se siamo all’aperto, creare un luogo altro nel quale scoprire un’ulteriore possibile relazione. Perfino dentro la chiesa neoromanica di Saint Remi, all’ingresso della prima navata, sotto le canne dell’organo, sorge un freak show di mostri puppet, e per degli occhi italiani il contrasto sorprende non poco.
Ma entriamo nelle sale.
La Brèche di Une Tribu Collectif
La prima mattina attraversiamo il fiume per arrivare alla sala Mont-Olympe, e qui partecipiamo a uno spettacolo, folgorante, che riesce ad andare oltre il purismo della tecnica e a creare una riflessione grazie all’ambivalenza dei corpi inanimati in scena. In questo caso, sono marionette ibride a taglia umana. Marionette abitate, vestite dai manipolatori con il corpo, con le braccia le mani e le gambe che sono dell’uomo come del puppet. Ancor prima della manipolazione, il teatro di figura custodisce negli artisti il carattere artigianale della creazione. Natacha Belova – artista plastica della compagnia, autodidatta, manipolatrice e costruttrice di marionette in tutto il mondo – imprime un linguaggio estetico alla pièce fortemente realistico e poetico. La sala, inutile dirlo, è colma di persone. Lo spettacolo ci interroga a partire dal rapporto tra una nonna e una nipote, prima e dopo la morte dell’anziana, e al tempo stesso sul rapporto tra la marionetta e il manipolatore, tra la vita e la sua scomparsa nella morte. Dopo che l’anziana muore, la nipote crescerà e diventerà biologa, scoprendo nella trasparenza della medusa, che è sopravvissuta ai dinosauri, una forma di immortalità. È la trasparenza, la mancanza di ombra che sembra renderla tale. Intanto, alle sue spalle, la sua ombra, il manipolatore della marionetta. La marionetta tenta di liberarsene per provare a sfuggire alla sua umanità e il duello tremendo incarna in scena ciò che rende il teatro di figura una lente privilegiata: il rapporto tra un corpo in luce che si muove e il corpo oscuro del manovratore che è allo stesso tempo vita e ombra. Liberarsene significa perdere la propria anima, rimanere in-animati. “Sei tu che mi metti alla fine nella cassa?” Chiede allora la marionetta alla marionettista, che annuisce. “Quando?”, chiede la marionetta. “Quando arriva il buio”. La Brèche è uno spettacolo da vedere, in cui ritrovare rapporto con le nostre ombre e con il tema della scomparsa.
Milieu & Alentour, di Renaudh Herbin
At the still point of the turning world, di Renaud Herbin/TJP
Altro appuntamento imperdibile nei due giorni di festival sono stati i due spettacoli di Renau Herbin, marionettista francese formatosi presso l’École Supérieure Nationale des Arts de la Marionnette de Charleville-Mézières (la città ha una scuola di formazione paritaria triennale e percorsi di produzione) e direttore dal 2012 del TJP Centre Dramatique National di Strasburgo. Il primo spettacolo, Mlieu & Alentour, è una versione rielaborata che parte da quella presentata in scena nel 2017 (qui, un racconto su Paper Street). Qull’esoscheletro tornito, quella creatura scarnificata, quella marionnette à longs fils della quale si rimane affascinati anche solo in video, quando entriamo in sala è immobile. Stiamo tutti in piedi, attorno all’altare sul quale la marionetta, quest’uomo bambino, è inanimata. Allora, dopo un po’, ci muoviamo noi; attorno, cinque strutture più piccole che vivono. Ci accorgiamo dello spazio che circonda la struttura, distogliamo lo sguardo dalla marionetta e iniziamo a osservare la materia attraversata dalle variazioni climatiche. La roccia che trema, un disco di ghiaccio che si scioglie su un membrana d’acqua che vibra, un cumulo di ghiaia che lentamente cede alle vibrazioni modificando la sua struttura da verticale a orizzontale, lo stato solido e quello gassoso delle cose diventa una partitura, una vibrazione ipnotica. È un’osservazione scientifica, un teatro degli oggetti, una ricerca pura sulla materia. La marionetta non si muove, perché Renaud Herbin è tra di noi. Poi, si arrampica sulla struttura, la marionetta si anima, è viva. Le articolazioni, i movimenti minuti, ora anche la membrana sotto i suoi piedi trema, tremano le ossa, poi lentamente diventa magma dentro il quale sprofondare, sparire nella materia. Il respiro è quello di Herbin, lì in alto, che con decine di fili vive e respira anche lì sotto.
La relazione tra il corpo, la materia e lo spazio, è ancora centrale nella performance At the Still Point of the Turning World, risultato dell’incontro di Renaud Herbin con la danzatrice Julie Nioche, la compositrice Sir Alice e il marionettista Aitor Sanz Juannes. La scena è un’installazione artistica; una nuvola composta da centinaia di fili e piccoli sacchi di sabbia sospesi, a evocare un magazzino di marionette. Manovrata in scena dallo stesso Herbin, con un sistema di cavi, come stesse suonando delle campane, la struttura è un paesaggio mutevole di corpi, un flusso di materia all’interno del quale prende forma la danza di Julio Nioche e della marionetta di Aitor Sanz Juannes. La ricerca di Herbin, sulla relazione corps-objet-image trova qui anche la musica, in un’opera d’arte figurativa totale.
Kosmos inverse di Enormousface (Kalan Sherrard)
L’IN trova, grazie a Basil Twist, uno degli artisti fil rouge di quest’anno, la possibilità di portare in sala degli artisti newyorkesi. È lo stesso Twist a presentare Kalan Sherrard a inizio spettacolo, da lui segnalato, prima di farci accedere a una performance fuori da ogni categoria. Il post-punk della street performance che si concede per un lungo attimo al silenzio e al buio della sala. Sherrard gravita attorno a un mondo di puppet, diventa puppet egli stesso, tra escrecenze e colori pastello, gonfiabili e gommapiuma, in un monologo impronunciabile e antinarrativo. Incontriamo Sherrard di nuovo, per caso, in nottata, quando fa irruzione nella barca dei pirati (un locale sul fiume) vestito come stesse in scena, pronto a esibirsi di nuovo come a bersi una birra, svelando il rapporto della sua arte tra il fuori e il dentro. Il rapporto tra l’OFF e l’IN, forse, rimane nell’evasione.
De qui dirat-t-on que je suis l’ombre? di Les anges au plafond e Teatro Gioco Vita
Ritorna il rapporto con l’ombra. Con grandissima ironia Fabrizio Montecchi di Teatro Gioco Vita e Camille Trouvé della compagnia Les anges au plafond si interrogano, o meglio, sono interrogati da un’ombra, sul perché fare animazione teatrale usando la luce e la sua assenza. Tra citazioni e racconti personali, la conferenza diventa quindi un dialogo con l’ombra che porta fino in fondo la domanda, oltre le tecniche e i linguaggi, sul perché del linguaggio scenico. Una delle tante risposte che restano, è che in questa società della sovraesposizione dell’immagine, l’ombra ci riporta a una dimensione altra, scura, silente.
Ciò che sembra accomunare gli spettacoli visti e ciò che sembra permettere uno scarto artistico che rende il teatro di figura universale, è la problematizzazione del rapporto tra manipolatore e puppet, tra corpo, oggetto, spazio e soprattutto un lavoro sulla drammaturgia che permette al teatro di figura di non essere solo il fine, ma il mezzo con il quale dialogare con lo spettatore. Limite per lo spettatore straniero, è la quasi totale mancanza di sovratitoli negli spettacoli, tema – con un costo – sul quale anche in Italia potremmo iniziare a interrogarci per aprire il teatro a un pubblico più vasto. Intanto, mentre le immagini degli spettacoli di questa edizione continuano a sedimentare, su Facebook hanno già pubblicato l’evento per la ventunesima edizione del festival che si terrà nel 2021. Le persone interessate, ad oggi, sono già 1065. Sperando di incontrarci in Francia, in un cabaret clandestino o con un bicchiere di champagne in mano, tre consigli utili:
- Comprate i biglietti degli spettacoli dell’IN un paio di mesi prima, gli spettacoli più importanti in quei giorni saranno sold out.
2. A Charleville, a settembre, serve giacca e impermeabile.
3. Perdetevi in giro per Charleville, non solo nel centro
a bientôt!
Luca Lòtano