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Compagnia della Fortezza: genesi di Naturae innocenti

La Compagnia della Fortezza di Volterra celebra i suoi trent’anni di attività con lo spettacolo Naturae – Ouverture come sempre diretto da Armando Punzo. Un reportage.

Foto di Viviana Raciti

A volte una bella immagine non basta; non la felicità, quando appaia solo come una favola; né rimanere per sempre nel benessere avvolgente del ventre materno, così da non nascere mai. E, d’altra parte, nemmeno basta pensarsi isolati, inviluppati nelle passioni umane, nei conflitti insanabili, incapaci di alzare lo sguardo verso l’altro, verso qualcosa che non sia distruzione.
Questi sono gli assunti da cui sono partiti Armando Punzo e la sua Compagnia della Fortezza per la loro trentesima creazione, Naturae; un’ouverture che darà vita a una saga, nuovo possibile corso dopo le ultime esplorazioni legate alle opere shakespeariane. Così raccontava il regista al riparo da un sole dolente che picchia sui muri della Fortezza di Volterra, mentre, assiepati, aspettavamo, sotto le fronde degli alberi di uno dei primi cortili del carcere, che iniziasse lo spettacolo. Ma il viaggio era già iniziato; Beatitudo, la precedente creazione, si concludeva con questa frase: “voglio sognare un mondo e imporlo alla comunità”. Ancora prima, in Dopo la Tempesta (2016), c’era già una reazione in atto, verso un’umanità (o una disumanità) da lasciarsi alle spalle, letteralmente.

Foto di Viviana Raciti

Eppure – continuava a raccontare tenendo per mano il bambino mentre delle figure imbiancate, statuarie si muovevano blandamente – da solo quel pensiero non bastava, non bastava l’immagine bella di un uomo e un fanciullo che lentamente, alla fine di quello spettacolo uscivano di scena verso un luogo altro. Perché quell’altrove non era definito, non era chiaro, e uscire da questa fortezza, fosse anche con l’immaginazione, risulta molto più difficile che pensarlo. Allora ha avuto luogo un “percorso accidentale terribile” che ha trovato come primo compagno Borges, e ha rinunciato alla via facile, definita, unitaria, addentrandosi in una drammaturgia plurima, frammentaria, poetica, piena di polvere eppure in febbrile movimento. Il recupero del senso di sacralità muove da Oriente a Occidente, dal religioso al sacrale: dalla tradizione cristiana al Libro degli uccelli di Farid al-Din Attar, dal De rerum natura di Lucrezio alla divinazione filosofica degli I Ching, e poi ancora da Vita Sackville-West a Rainer Maria Rilke, da Fernando Pessoa a Hermann Hesse. Si tratta di una genesi che prova a spostare l’asse del discorso non verso caratteri reali bensì verso dei concetti, dei sentimenti incarnati, verso rigenerate nature: prendono corpo, così, figure nelle quali non ci si può identificare completamente, qualcosa che ancora “non parla la nostra lingua”.

Foto di Viviana Raciti

Abbandonati quegli sguardi scultorei, guardiani di un tempo sospeso, entriamo allora in uno spazio bianco, circondiamo le mura, scudo noi di questo luogo in cui è ancora tutto da creare. Punzo per terra prova a raggiungere una mela, a fatica, mentre gli unici suoni acuti, metallici, sono interrotti dallo stridio degli uccelli. Questa conoscenza raggiunta con dolore e fatica trova una nuova tentazione, quella di sentirsi inadeguati, quella che spinge a mollare la presa: “sei troppo debole per affrontare il viaggio, la tua opera sarà incompiuta”. Arrivano poi schiere di uomini: chi reca dardi sulla testa, chi in mezzo al petto. Entrano, il sole getta ombre di sbarre sulle loro schiene, e non è chiaro capire chi sia il colpito e chi debba colpire. Poi, ancora, i miracoli dell’uomo, la sete di conoscenza, di scoperta di nuovi mondi, caravelle e valigette ventiquattrore. C’è un ordinato caos mentre qualcuno dichiara “io non sono niente”. Storditi da questo magmatico flusso, strabordante, ancora confuso da quelle promesse dorate sui loro corpi, noi come loro, stravolti dalla fatica del viaggio, pieni di parole che non capiamo, ci dividiamo, e seguiamo percorsi separati. A contrasto, entriamo dentro diversi corridoi, dentro chiese, dentro luoghi mai visti.  Per “alzare gli occhi e vedere la bellezza” varchiamo gli spazi di quell’ora d’aria per la massima sicurezza; fintamente aperti, stoltamente orientati verso un cielo che si vede braccato.

Foto di Viviana Raciti

Qui ogni luogo diventa però poesia visiva e struggente, arida e vitale come le montagne di sale che ricoprono i corpi parlanti, come quelle mani giganti che fermano lo sguardo, come quell’uomo in completo d’affari, per metà ricoperto di bianca calce crepata, “io non sono più niente” risuona, eppure sembra quasi benaugurante. Quasi a voler decriptare il segreto di quelle storie, vorremmo restarvi più a lungo: scorgere altro dietro al velo degli occhi, oltre le note d’acqua sui bicchieri di cristallo, oltre il sorriso glaciale che pronuncia parole insostenibili e piene di paura, oltre le incitazioni, oltre gli incoraggiamenti alle inquiete anime che si aggirano in questo nuovo mondo, oltre l’uomo e la donna, oltre la creazione d’argilla e di mano sapiente dentro una cripta. Ma pensando questo avremo peccato di hybris; non è il tempo della contemplazione quello che ci spetta, solo per un attimo ci è dato sentire il tepore dell’aria che filtra dall’alto, solo per poco l’odore dolciastro delle mele poste a spirale. Non è questo il luogo della libera scelta, non per chi lo abita nella quotidianità, nemmeno per chi, illusoriamente convinto di vedere uno spettacolo, non avesse fatto i conti con la forza coatta che lo ospita e muove.

Foto di Viviana Raciti

Ritorniamo nel bianco cortile. È tempo di vaticini: uomini portano neri tappeti, con gesti rituali e ieratici li svolgono a terra, quasi a formare un nuovo ideogramma. C’è ancora, nell’aria, tutta la fatica a ricalibrare il non noto, tutta la paura per questa natura che sembra sovrastare ogni parola, ogni gesto, ogni pugno di sale gettato sui corpi; eppure, annunciando se stessi al mondo, dicendo di non essere niente ma lasciando un’orma del proprio passare, queste figure dichiarano la propria esistenza, pronta per essere riplasmata. Non danno risposte alle loro domande, né segnano i volti con un sentimento, non è ancora tempo. Non sarà una restaurazione del paradiso; proprio perché un nuovo pensiero prenda forma, perché ci sia ancora bisogno ancora di sbagliare e rimediare, non si può dichiarare finito un viaggio ancora in corso.
Così sono loro, gli attori della Fortezza: alla ricerca, fosse anche soltanto per qualche ora, di una risposta diversa da quelle che hanno già scelto, da quelle che hanno dovuto sentirsi dire. Così Punzo: che non fa teatro sociale, ma cerca in questa società un senso teatrale, comunitario, in un luogo in cui le “condizioni sono terribili”; “cercando parole che non siano di odio”; cercando, senza imporlo, un luogo più duraturo per questo teatro, non una casa privata di cui far spettacolo ma un “luogo in cui dar casa a un metodo”, un luogo in cui dare alla dimensione coatta non il peso ma il valore della memoria. Così forse ancora i responsabili, a lungo bloccati dalle burocrazie, dai vincoli archeologici, paesaggistici, architettonici, dal rischio di perdere finanziamenti: anche loro, che per la prima volta a fine luglio hanno iniziato a gettare le basi per l’utopia del Teatro Stabile di Volterra, non hanno ancora risposte ma sono sulla traccia di un corso nuovo, di nuove possibili Naturae.

FOTO GALLERY

Testo e foto di Viviana Raciti

Visto presso la Fortezza Medicea/Casa di Reclusione – Volterra, Agosto 2019

NATURAE-OUVERTURE

drammaturgia e regia Armando Punzo
musiche originali e sound design Andrea Salvatori
scene Alesandro MArzetti, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
coreografie Pasquale Piscina
aiuto regia Alice toccacieli
aiuto scenografo Yuri Punzo
decorazioni e arredi Silvia Bertoni
collaborazione drammaturgica Alice toccacieli, Francesca Tisano, Salvatore Altieri, Fabio Valentino, Rossella Menna, Giacomo Trinci
in scena Armando Punzo, Ciro Afeltra, Cristian Aiello, Sebastiano Amodei, Mohammad Arshad, Salvatore Altieri, Yosmeri Armas Castilla, Said Bahy, Endrit Bajra, Saverio Barbera, Amaell Bennour, Nikolin Bishkashi, Abderrahm Bournik, Isabella Brogi, Paolo Brucci, Mario Cabras, Maxwell Caratti, Paul Cocian, Gillo Conti Bernini, Giuliano Costantini, Elis Dedei, Ismet Cuka, Indrit Demiri, Lucio Di Iorio, Fabrizio Di Pasquale, Domenico Donato, Tarek Elamari, Elvis Epure, Nicola Esposito, Vitale Esposito, Vincenzo Fagone, Faquan Fan, Giovanni Fontana, Salvatore Farina, Vincenzo Carandente Giarrusso, Salvatore Giordano, Raulo Giovannoni, Nori Golemi, Massimo Interlici, Antonio Iazzetta, Fraj Imami, Ibrahima Kandji, Naser Kermeni, Kujtim Kodra, Nik Kodra, Urim Laci, Jinjie Li, Domenico Maggio, Mbaresim Malaj, Massimo Marigliano, Paolo Marino, Jetmir Marku, Emanuele Materazzo, Luca Materazzo, Driss Naanai, Francesco Nappi, Antonio Nastro, Tarek Omezzine, Antonio Pascarella, Marian Petru Iosif, Marco Piras, Domenico Prospero, Ciprian Putanu, Hamadi Rezeg, Adrian Nicusor Saracil, Ivan Savic, Vitaly Skripeliov, Vincenzo Sorio, Femi Sowande, Gaetano Spera, Julian Sula, Simone Tarantino, Mestan Thaqi, Francesca Tisano, Massimo Torre, Tommaso Vaja, Fabio Valentino, Elvis Veipi, Alessandro Ventriglia, Tony Waychey, Tidiane Diaw Cheikensemble di percussioni Quartiere Tamburi / Marzio Del Testa, Iago Bruchi, Riccardo Chiti, Lucio Passeroni, Andrea Taddeus Punzo de Felice
collaborazione artisticaElisa Betti, Luca Dal Pozzo, Adriana Follieri, Giulia Guastalegname, Daniela Mangiacavallo, Pier Nello Manoni, Marco Mario Gino Eugenio Marzi, Marta Panciera, Luisa Raimondi, Eleonora Risso, Massimiliano Carastro, Roberta Castorina, Irene D’Alò, Carlo Genova, Francesca Lateana, Alessandra Pirisi, Eva Luna Pistocchi, Roberta Rotante, Sebastiano Sicurezza, Eva Cherici.
organizzazione generale e coordinamento attività Centro Nazionale Teatro e Carcere Domenico Netti
amministrazione generale Isabella Brogi
segreteria e contabilità Giulia Bigazzi
responsabile attività formative Marzia Lulleri
media e comunicazione Simone Pacini
content management e relazioni internazionali Carolina Truzzi
assistenza organizzativa Giusy Mingolla
accoglienza pubblico Silvia Pasquinucci
ospitalità Jacopo Angiolini
collaborazione organizzativa Associazione VaiOltre!
progettazione grafica Studio Funambulo
documentazione fotografica Stefano Vaja
documentazione video Nico Rossi, Francesco Zollo / VaiOltre!
ufficio stampa PEPITApuntoCOM / Rossella Gibellini, Anna Maria Manera

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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