A Centrale Fies per Drodesera Festival 2019 abbiamo visto Cuckoo del coreano Jaha Koo, prima nazionale. Tra narrazione, teatro politico e storia. Recensione
«Per coloro che erano fedeli al sistema l’unica cosa rimasta era morire invano». Queste parole, tra le ultime pronunciate da Jaha Koo rimangono indelebili, come stampate a fuoco diventano sineddoche della recente storia coreana. Jaha è un uomo di 34 anni i cui occhi lampeggiano di resilienza ma tradiscono anche tanta tristezza, la solitudine di un ragazzo che ha lasciato il proprio paese per non diventare un Gulibmuwon (고립무원 nella grafia originale), che in coreano a quanto pare è un concetto non dissimile dal più conosciuto Hikikomori, ovvero quell’isolamento a cui si costringono molti giovani giapponesi.
Centrale Fies, l’ex centrale idroelettrica di Dro, con la direzione artistica di Barbara Boninsegna (e in questo caso grazie al lavoro di ricerca del co-curatore Filippo Andreatta) si conferma come un luogo in cui gli spettatori hanno l’opportunità di scoprire nuove tendenze delle arti performative europee; Cuckoo di e con Jaha Koo (per la prima volta in Italia, a Short Theatre sarà l’altra data italiana) è una produzione belga (Kunstenwerkplaats Pianofabriek), a cui si sono aggiunti altri partner francesi, replica dal 2017 per esplodere nel 2018 con una densa tournée europea. Ma Cuckoo è anche il nome di un piccolo elettrodomestico che dai tempi del boom economico è divenuto popolarissimo in Corea e presente in ogni cucina, “nel cuore di ogni famiglia” tanto che il marchio ha sostituito il significato dell’oggetto stesso: un cuociriso elettrico.
Nella Sala Comando di Centrale Fies troviamo un tavolo sul quale sono posti tre di questi singolari oggetti sferici, scopriremo poi che due si illumineranno nella parte anteriore, per loro la drammaturgia ha previsto una sorta di coscienza umana, tanto da farli interagire attraverso dialoghi e litigi; il terzo è invece un semplice cuociriso e verrà utilizzato nel finale per preparare le tipiche formine comuni in certi paesi asiatici. Dietro il tavolo uno schermo di proiezione ospita da subito un montaggio video di telegiornali e scontri di piazza. Prima che il performer, musicista e video artista coreano entri in scena sappiamo già di quel maledetto 1997, l’anno in cui il la Corea del Sud accetta le condizioni del Fondo Monetario Internazionale per mettere fuori la testa da una palude di debiti che sembrava non dare scampo.
Erano d’altronde gli anni dei grandi interventi del FMI su larga scala mondiale, li racconta bene Naomi Klein in Shock Economy descrivendo la crisi delle cosiddette Tigri Asiatiche (Thailandia, Filippine, Malaysia, Indocina e Corea del Sud) e il successivo intervento dell’ente internazionale fondato nel ’45. Il copione coreano mostrava un paese in ginocchio a causa dell’indebitamento: dopo più di trentanni di crescita la crisi di importanti comparti industriali, come quelli legati al mercato automobilistico, resero difficile il rapporto con le banche occidentali che ben presto decisero di bloccare i prestiti alle imprese, le successive perdite in borsa e gli attacchi speculativi fecero il resto. Come avvenne per altri stati il salvatore vestiva la maschera del Fmi, che a fronte di un ripianamento del debito esigeva riforme strutturali, privatizzazioni e liberalizzazioni dei mercati. Il giornalista nel telegiornale del 1997, una delle prime immagini ad apparire nello spettacolo, parla di umiliazione per la Corea del Sud.
Ora, la storia ufficiale racconta di un paese che è stato in grado di riprendersi, ma tra le pieghe di quella narrazione è facile trovarne un’altra in cui emerge il prezzo della ripresa. Basti pensare a un articolo pubblicato qualche tempo fa da Internazionale in cui si raccontava di una finta prigione in cui le le persone si recano per soggiornare e riprendersi dallo stress lavorativo insostenibile. Jaha Koo con la sua presenza quasi non mediata dal mezzo teatrale – pochissimi gesti e spostamenti, recitazione più vicina a quella di una conferenza – , attraverso un continuo movimento drammaturgico interno ed esterno all’autobiografia, si sposta fluidamente tra il vissuto personale e la storia del proprio paese. L’ironia è spiazzante, come l’intelligenza di alcuni passaggi nei quali il montaggio della parola si interseca a quello delle immagini o delle canzoni e musiche composte dallo stesso koo. Procedimento evidente ad esempio quando comincia a parlare di cosa sia la felicità mostrando una conferenza di Gretchen Rubin per poi svelare che la donna è la figlia di colui che fu il Segretario di Stato USA proprio nel ’97 e dunque responsabile delle condizioni imposte alla Corea del Sud.
Questo ragazzo ha un obiettivo: raccontare e spiegare, l’emotività passa per mezzo di un dispositivo teatrale senza orpelli; bastano le storie, gli amici lasciati in patria e quelli morti per suicidio – il tasso è da brividi, il terzo più alto al mondo, una persona ogni 37 minuti. Poi ci sono i suoi occhi che nascondono, dietro il velo di tristezza, le quotidiane difficoltà di un intero popolo.
Andrea Pocosgnich
Luglio 2019, Dro, Centrale Fies (Drodesera Festival 2019 – Ipernatural)
Cuckoo
concept, direzione, testo, musica, video / concept, direction, text, music, video Jaha Koo
performance Hana, Duri, Seri & Jaha Koo
cuckoo hacking Idella Craddock
scenografia, media operation / scenography, media operation Eunkyung Jeong
consulenza drammaturgica / dramaturgical advice Dries Douibi
produzione / production Kunstenwerkplaats Pianofabriek
produttore esecutivo / excecutive producer CAMPO
co-produzione / co-production Bâtard Festival
support CAMPO, STUK, BUDA, DAS, SFAC & Noorderzon / Grand Theatre Groningen Funded by Vlaamse Gemeenschapscommissie
Coreano con sottotitoli in italiano / Korean with Italian subtitles