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Fuori nicchia, la doppia anima di Todi Festival 2019. Intervista ai direttori artistici

A conclusione dell’edizione 2019 di Todi Festival, abbiamo raggiunto telefonicamente il direttore del festival Eugenio Guarducci e Roberto Biselli, responsabile della rassegna Todi OFF per approfondire le loro visioni sul festival e sulle possibili strade future, tra rapporto con il territorio, valori artistici e visioni d’insieme.

foto Todi Festival

Eugenio Guarducci, subentrato nel 2016 alle direzioni storiche di Todi Festival di Silvano Spada, che lo aveva fondato nel 1987 e poi a più riprese diretto fino al 2015, interpreta la sua funzione direttiva partendo dalle proprie competenze manageriali, sottolineando ancora una volta quanto sia stato fondamentale mettere a disposizione le «esperienze maturate in campi e tematiche lavorative differenti, soprattutto finalizzate a rafforzare sempre più ampie strategie di know-how dal punto di vista comunicativo, altrettanto importanti quanto le scelte artistiche». Tracciando un bilancio di questi quattro anni, sottolinea come si sia riusciti a rafforzare e mantenere alto il valore del festival, proprio anche in ragione delle trasformazioni subentrate.

E tra i cambiamenti più significativi che hanno caratterizzato il festival si situa sicuramente Todi OFF, costola della manifestazione centrale nata a partire dall’intuizione di Roberto Biselli e fortemente sostenuta da Guarducci. Una «scommessa – afferma Biselli – che il direttore ha accettato con grande entusiasmo, trasformando un festival tradizionale più salottiero come era ai tempi di Spada per ibridarlo con delle proposte contemporanee». La rassegna è diventata allora una componente importante del festival, riuscendo a far incontrare pubblici diversi: «Bisogna far “inciampare” le persone in quello che non si aspettano, creando le occasioni perché ciascuno possa uscire fuori dalla propria nicchia. Dopo il primo anno in cui gli abbonati si erano solamente affacciati adesso sono perennemente presenti. Tant’è che in questa edizione gli spettacoli sono sempre sold-out con liste d’attesa. È un risultato straordinario per un luogo che ha 16.000 abitanti e ancora non può contare su una grande fetta di operatori».

L’interesse reale da parte del territorio si dimostra su diversi fronti e nel corso degli anni gli spettatori hanno maturato una propria consapevolezza di visione: «Molti sentono il desiderio di seguire non solo gli spettacoli ma anche gli incontri mattutini con gli artisti e i critici». Todi Festival è allora una proposta in crescita che ha saputo coniugare, sostiene Guarducci, «tradizione e innovazione, realtà locali (senza diventare provinciali) e artisti di caratura nazionale, cultura immateriale e cultura materiale». A proposito di questo rapporto il direttore sottolinea come le azioni vadano in direzione di un ampliamento su più fronti e di una forte relazione biunivoca, attuata, per esempio, presentando alcuni degli eventi in location dislocate quali borghi e colline, «perle del circondario todino, e coniugando agli spettacoli l’offerta di prodotti agroalimentari, nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni». Il coinvolgimento di queste realtà che non hanno direttamente a che fare con l’ambiente artistico e che non hanno da questo un diretto ritorno in termini commerciali, ha tuttavia una «grande rilevanza in termini di immagine, per cui gli sponsor contribuiscono alla produzione di un evento importante anche dal punto di vista economico, e ne diventano una parte indispensabile e riconoscibile».

Del resto, anche l’amministrazione comunale gioca una parte importante all’interno del progetto, in quanto, ricorda Biselli, è proprio grazie al suo intervento che è stato possibile finanziare «un progetto di laboratorio invernale; attraverso questa esperienza abbiamo formato un gruppo di interessati che poi hanno seguito tutte le masterclass in programma a Todi». Proprio in relazione a quanto sia fondamentale agire sul territorio non soltanto durante i giorni della manifestazione ma anche in tempi più lunghi, ancora Biselli ricorda il successo di un evento organizzato a luglio, che è stato portatore di «interesse e curiosità» anche nei confronti del festival di fine agosto; quegli spettatori sono ritornati a frequentare assiduamente la manifestazione. Più complessa e difficile risulta invece la relazione con la Regione e le altre realtà regionali, «che tendono meno alla condivisione e sono più chiuse. Sarebbe bello se si riuscisse a mettere insieme tutte le eccellenze regionali, e assieme costruire scambi, momenti di confronto e incontro. Mi piacerebbe che Todi Festival possa diventare nel futuro un luogo in cui gli operatori si possano riunire uscendo ciascuno dai propri personali spazi di conquista per condividere risorse e idee».

La forza di questo festival dalla doppia anima risiede allora nella presenza di attori più tradizionali come Roberto Herlitzka, Galatea Ranzi, Enrico Brignano, Giorgio Pasotti che convivono con le operazioni di “poetry slam” (come quella di Simone Savogin che ha aperto il festival), gli omaggi al Mistero Buffo di Dario Fo (a cura di Mathias Martelli) assieme ad alcuni artisti contemporanei che tra teatro, danza, narrazione, tra spettacoli e masterclass, hanno animato la sezione OFF (qui è possibile leggere tutte le interviste).

Chiaramente, oltre all’apertura alle altre arti performative e visive, bisogna fare i conti con il ritmo serrato richiesto dai debutti, diversi ogni giorno, che richiedono una complessità organizzativa da non sottovalutare. I direttori non escludono una ulteriore crescita nel futuro, che permetterebbe di consolidare ulteriormente il dialogo tra i momenti di formazione e quelli di spettacolo, di ampliare ulteriormente l’offerta «nei confronti delle nuove generazioni, di accompagnamento alla visione per capire e continuare ad esplorare quali siano le possibili zone di crescita e sviluppo».

«Lo scarto tra le due anime del festival lo definiscono gli spettatori – concludono – ci sono alcuni spettacoli che possono avere un respiro più breve, ma sicuramente altri che hanno una più lunga gittata; come nei grandi festival europei questo confine tra scena “ufficiale” e scena “off” crediamo debba diventare sempre più labile, e siamo convinti che non solo sia possibile ma che faccia bene mescolare le carte».

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