Nell’ambito di Todi OFF 2019, Bernardo Casertano alla sua seconda regia con Assolo, a partire dal Caligola di Camus. Intervista in mediapartnership.
Mi racconteresti alcuni momenti che hanno caratterizzato, con un segno di conferma o un cambio di rotta, il tuo percorso artistico?
Quando ho iniziato a lavorare con Dynamis e Andrea De Magistris ho capito che mi interessava andare verso un linguaggio nuovo; è stato come mettere un punto su qualcosa che fino ad allora non avevo ancora ben chiaro. Dopo quell’esperienza ci sono state altre realtà che mi hanno influenzato. Giancarlo Sepe, con cui ho lavorato per un anno, aveva un approccio completamente diverso da quello di De Magistris, nonostante entrambi usassero la musica al centro del processo creativo. Giancarlo mi ha insegnato a lavorare sulla musica, a usarla come spunto di partenza e come parte del processo. Ancora adesso, quando devo iniziare un lavoro, poggio la mia idea su una traccia musicale e poi vedo che cosa nasce; molto spesso il primo stimolo proviene dal corpo. Sicuramente sono stati importanti anche gli incontri con alcuni attori della Compagnia Sud Costa Occidentale, Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, poi anche Ersilia Lombardo che ha curato la regia di un mio spettacolo. Anche il lavoro fatto con Jean Paul Denizon è stato utile, nonostante la sua prospettiva sia apparentemente distante dal mio gusto.
Se dovessi indicare i miei fari, dovrei nominare Danio Manfredini e Roberto Latini: sono tra le realtà italiane che ritengo tra le più interessanti e che più si confanno alla mia poetica. Entrambi si radicano in quel fertile contesto cui appartenevano anche Leo De Berardinis e di Carmelo Bene, artisti che io purtroppo non ho vissuto se non attraverso i documenti. Queste sono state le figure che hanno puntellato il linguaggio che ho creato; è ciò che mi piace ma l’importante è che sia comprensibile ancora prima che apprezzabile.
Che cosa più di altro ti spinge alla creazione?
In genere tutto nasce dal testo; mi capita di leggere qualcosa che sento fortemente di voler esporre e, attraverso di essa esporre me stesso; altre volte lo spunto da cui parto diviene il pretesto per parlare di qualcos’altro. Così è successo per il Re del Plagio di Jan Fabre (alla base di Dino) e per il Caligola di Camus. Parto dalla sensazione che mi dà e che mi spinge a voler provare; anche se si tratta di testi complessi e bellissimi, credo che tutti gli attori abbiano provato a cimentarsi con un testo come quello. Certe volte mi sembrava quasi impossibile riuscirci, poi in Assolo ho trovato il coraggio di portare in scena quell’opera gigantesca, traducendola nel pensiero che avevo rispetto alla filosofia di Camus. Il suo protagonista credo – e ritengo che questo valga anche per l’autore – è soltanto uno spunto, un mezzo per trasporre dei ragionamenti sulla condizione dell’uomo. Io poi ho scelto di “inquinarlo” con Il mito di Sisifo, che credo si abbinasse bene all’idea che avevo di Caligola.
La musica poi subentra in uno stadio successivo; quando mi è chiaro di cosa sto parlando, lascio attraversare quest’idea da diverse tracce, da qui poi comincia la ricerca scenica che metto a punto attraverso una forma fisica e vocale, modulando un’espressione che sia in grado di rispecchiare quell’idea originaria. A volte si va avanti, a volte indietro, in altri casi mi capita di rimanere impantanato per lungo tempo. È la seconda regia che faccio, io sono essenzialmente un attore che si auto-dirige, fin quando riesco a sperimentare su me stesso, la faccia ce la metto! Poi anche la componente economica è limitante, finché non mi supporta una produzione che possa garantire dei giusti compensi, non me la sentirei di coinvolgere altri.
In questo però bisogna fare delle eccezioni: Massimo Munaro del Teatro del Lemming investe anche su chi è un perfetto sconosciuto. Per me è un grosso regalo perché rischia su chi crede abbia qualcosa da dire, a prescindere dal resto. Assolo è la seconda produzione che contribuisce a sostenere, prima aveva ospitato Dino e ora addirittura un progetto non ancora concluso. Un altro posto che mi è caro è lo spazio romano Teatroavista, senza Francesca Rizzi che mi ha supportato fin dall’inizio, questo lavoro non avrebbe visto la luce.
Continuiamo a parlare dello spettacolo che presenterai il prossimo 24 agosto in apertura al festival, Caligola – Assolo.1. Quali sono i punti chiave che hai mantenuto in questa operazione e come sei intervenuto a livello scenico?
Per quanto riguarda l’adattamento del testo, in questo caso è arrivato in maniera naturale. Sicuramente c’erano dei punti fermi, come il momento iniziale in cui attraverso altri personaggi è presentato il protagonista. Mi è piaciuto pensare chi potesse farlo e in che modo, è uno dei momenti in cui mi diverto di più in scena. Io ho trasposto il romanzo in una dimensione universale, perché per me Caligola incarna una condizione e una lucidità disarmante. Tutto quello che ha intorno è molto meno chiaro rispetto alla sua visione.
Nel momento in cui invece viene presentato il dramma vero e proprio (che è comunque un pretesto), ho pensato di pulirlo il più possibile, cercare di esporlo così come mi è arrivato nella maniera più sincera possibile, senza fronzoli interpretativi. Ho lavorato su un gesto pulito.
L’ultima parte (che non era presente nell’anteprima fatta a Roma ma è stata creata al Lemming) racchiude quello che è per me il pensiero di Camus. Lì il registro è tutt’altro rispetto agli altri due. Mi piaceva non descrivere Caligola attraverso l’interezza di tutta l’opera, ma scomporlo e vedere che cosa sarebbe successo. In questa maniera è venuto fuori anche il mio punto di vista.
Ho scelto dunque di dividere lo spettacolo in tre parti e distinguerle anche attraverso il linguaggio a seconda del singolo messaggio. L’ultimo è la risultante di una riflessione sulla condizione umana che passa anche attraverso Il mito di Sisifo, mediato anche da altre letture. Come questa, che è stata un faro per la mia interpretazione: «Nella lotta contro l’assurdo l’uomo non deve assumere la posizione statica del suicida. Ma quella del condannato a morte. “Solo in una schiavitù liberamente accettata si trova la libertà più profonda”. L’assurdo non conosce domani, bisogna quindi, secondo Camus, liberarsi da qualsiasi preoccupazione del futuro. E sollevarsi anche dal peso dei ricordi. E Sisifo è, appunto, il simbolo di questo vivere assurdo».
Redazione
CALIGOLA – ASSOLO.1
di e con Bernardo Casertano
light designer Chiara Saiella
prodotto con il sostegno del Teatro Del Lemming di Rovigo attraverso il progetto “IN METAMORFOSI residenza per la ricerca teatrale”