Nell’ambito di Todi OFF 2019, Leviedelfool propone Luna Park. Do you want a cracker?, una rielaborazione a partire dall’opera di Cervantes. Intervista all’autore, regista e attore Simone Perinelli. Materiali creati in Media Partnership.
Mi racconteresti di tre momenti che hanno caratterizzato, con un segno di conferma o un cambio di rotta, il vostro percorso artistico?
Un momento importante che ha segnato il nostro percorso è avvenuto nel 2012, quando, durante una replica di Requiem for Pinocchio, venne a vederci il direttore artistico di Pontedera, con cui poi abbiamo condiviso un percorso produttivo sia nel 2015 che poi nel 2017-18. Questo momento ha rappresentato lo spartiacque tra l’autoproduzione e il lavorare con produzioni più strutturate alle spalle, con le quali potevamo permetterci di lavorare in maniera più libera senza troppe restrizioni per ragioni economiche.
Un altro momento che ha segnato il mio fare teatro è stato quando sono andato a lavorare con Roberto Latini per l’Ubu Roi. La possibilità di lavorare con un maestro come lui, di vedere un modo diverso dal mio e soprattutto stare nello spettacolo come attore senza avere le responsabilità di tutto il percorso, inevitabilmente hanno plasmato il mio percorso, avviene una contaminazione che è in grado di portarti in direzioni diverse da quelle finora battute.
Adesso credo che siamo a un incrocio di strade possibili: forse non riesco a dirlo perché è il presente. Abbiamo compiuto una scelta importante di recente, piuttosto che posizionarci rispetto a un percorso più ministeriale, invece abbiamo deciso di fare un passo indietro e ci siamo uniti al Teatro del Carretto, che al momento è la nostra casa, sia amministrativa che produttiva.
Leviedelfool ha un percorso tortuoso, abbiamo lavorato sempre al cento per cento delle forze, non ci è mai stato regalato nulla, credo che in una certa misura adesso possiamo raccogliere un po’ di quanto abbiamo seminato in termini di fiducia e di riconoscimento di un certo pubblico. Non abbiamo mai tradito la nostra poetica, il nostro linguaggio.
Che cosa è che più ti spinge alla creazione?
Quasi sempre partiamo da un tema che intendiamo affrontare, attraverso il teatro, il quale però lo vedo come un mezzo, non è il fine, potrei utilizzare anche altri linguaggi. A rimanere costante è l’approccio, che ci fa posizione contemporaneamente al centro del tema ma anche a distanza; questo è possibile perché lavoriamo per immagini.
Un altro aspetto chiave riguarda la scelta di esplorare una certa letteratura che parla un linguaggio universale, così come la mitologia. Con Luna Park abbiamo lavorato attorno al Don Chisciotte, è un’opera vastissima, ma, come il mito, appena tenti di spiegarla la annulli, perché il mito va assimilato. Deve lavorare dentro di noi. I testi di Camus, Collodi, Cervantes a cui ci siamo rifatti agiscono in maniera simile, soprattutto, a livello teatrale, innescano un meccanismo in grado non di spiegare ma di creare “un altrove” che poi è in grado di risuonare.
Poi, una volta definito il focus da toccare, avviene un periodo di studio che può durare dai sei ai nove mesi, una ricerca approfondita anche attraverso altri linguaggi, quali musica e arte figurativa. Tutto questo poi confluisce sul palco, anche col rischio che non venga capito, ma sempre con la sincerità che ci contraddistingue nell’invitare lo spettatore ad andare a esplorare assieme a noi i meandri che caratterizzano il nostro modo di fare teatro.
Noi siamo una compagnia controcorrente, è difficile sopravvivere in questi tempi. Andiamo avanti “senza santi in paradiso”, senza maestri che ci proteggono o nei quali identificarci; è come se fossimo orfani perché non riescono a incasellarci in un’etichetta precisa, a definire fino in fondo che tipo di teatro facciamo. Non c’è nulla di pretenzioso nel cercare di dar vita alle immagini che ci vivono dentro. È un problema che stiamo scontando ma spero che tra poco non ci sia bisogno di definire” da dove venga io” perché sia considerato il valore il nostro lavoro.
Parlando di Luna Park. Do you want a cracker?, lo spettacolo che presenterai il prossimo 29 agosto, come hai trattato dal punto di vista scenico e drammaturgico le questioni che emergono dal macrotesto del Don Chisciotte e come le hai intrecciate al tuo personale approccio?
Per ricreare quel senso di spaesamento, ironia e disagio che connota l’opera di Cervantes (una poetica che, tra l’altro, appartiene un po’ a tutto il nostro lavoro) ho dato vita a un nuovo Don Chisciotte dal colore borderline che abita vicino alle rampe della Tangenziale Est di Roma. Al centro di tutto il testo c’è proprio l’osservazione e l’attraversamento di questo luogo in notturna, una situazione desolata ma piena di significati anche rispetto al passaggio temporale da ciò che accade di giorno da ciò che avviene di notte. A un certo punto si incontrano i due Don Chisciotte, dove quello di Cervantes lo troviamo che abita sulla luna e che urla ancora assieme a Sancho Panza a dei mulini a vento. Ovviamente dentro ci sono anche altre chiavi di lettura. Come sempre è uno spettacolo che tocca corde quali la ricerca di Dio, la ricerca di un senso, di un significato; qualcosa che c’è sempre nei nostri spettacoli.
Dal punto di vista scenico questo è uno spettacolo che si gioca sull’alternanza di buio-luce, ha un grande impianto emotivo dentro e l’attore (che in questo caso sono io) abita questo spazio assieme alla musica, alla possibilità di luce e buio in una grande essenzialità. Tuttavia, a questo non corrisponde un’idea di un lavoro “piccolo”, l’abbiamo rappresentato sia in spazi ridotti che in teatri grandi, Luna park è talmente pieno di immagini che arrivano attraverso il corpo e le parole che lo spazio si riempie senza la necessità di avere un impianto scenotecnico notevole.
Redazione
Al Nido dell’Aquila, Todi, per TodiOFF 2019 – 29 agosto 2019
LUNA PARK – DO YOU WANT A CRACKER?
Di e con Simone Perinelli
Ispirato all’Opera di Cervantes e di Douglas Adams
Aiuto regia e consulenza artistica Isabella Rotolo
Regia Simone Perinelli
Selezione In-Box 2016
Premio In-Box Millennials’ 2016