La Compagnia Menoventi, all’interno di Todi OFF 2019, presenterà lo spettacolo L’incidente è chiuso, primo step di un progetto biennale a partire dal libro-inchiesta di Serena Vitale sulla fine di Vladimir Majakovskij. Intervista al regista Gianni Farina. Materiali creati in Media Partnership.
Mi racconteresti di tre momenti che hanno caratterizzato, con un segno di conferma o con un cambio di rotta, il percorso artistico della compagnia Menoventi?
Sicuramente ci sono stati molti momenti significativi, però uno lo individuo nel debutto di Infesta del dicembre 2005, che fu il nostro primo spettacolo. Menoventi è nata all’interno di un circuito molto indipendente, c’era un bel fermento, è stato l’inizio per tutta una generazione di teatranti italiani, come Sotterraneo, Muta Imago, Babilonia Teatri, c’erano molti momenti di condivisione che ci hanno aiutato a fare i primi passi. Ogni festival riservava diverse occasioni di confronto tra artisti, operatori, critici… A Contemporanea di Prato in particolare, ma anche a Castiglioncello, un po’ ovunque. Il festival organizzato da Silvia Bottiroli prima di dirigere Santarcangelo, a Longiano, nel 2007, fu un altro importante momento per noi. In quel periodo c’era nell’aria l’orgoglio e la preoccupazione di chi si ritrova in un panorama comune, ma da rinnovare; era una sensazione elettrizzante e anche rischiosa.
Un secondo momento significativo lo ritrovo nelle prime produzioni che abbiamo portato avanti con uno Stabile, entrambe nel 2011: L’uomo della sabbia e anche Perdere la faccia. Si tratta due lavori che avevano una tecnica in comune, il loop, e che ci hanno permesso di iniziare una nuova ricerca in una direzione formale, che andava a esplorare i confini e i limiti della rappresentazione. Chiaramente avevamo già iniziato questo processo prima, dal 2008, ma in quei due spettacoli abbiamo avuto modo di approfondire in maniera più completa dei processi che hanno lasciato un’impronta anche in quelli a seguire.
Per il terzo mi piacerebbe parlare del tempo presente, che è un momento che sento molto vivo. L’anno scorso abbiamo fatto Docile, di cui siamo molto orgogliosi. Quest’anno stiamo portando avanti un percorso diverso dal nostro solito, abbiamo un libro come linea guida, cosa che non ci capitava dal 2011!
Che cosa è che più vi spinge alla creazione?
Una domandona enorme! Noi abbiamo testato più dispositivi e a volte ne rispolveriamo di vecchi. Il nostro percorso è abbastanza irregolare dal punto di vista formale, in quanto cerchiamo di metterci al servizio dell’idea. Spesso l’esigenza nasce da un confronto col vissuto quotidiano, dunque spesso andiamo a investigare tematiche che sono aggrappate all’oggi; in altri casi sono pretesti più narrativi e formali.
Per quanto riguarda lo spettacolo che presenteremo a Todi OFF, alcuni anni fa Piergiorgio Giacchè ci consigliò di leggere il libro-inchiesta di Serena Vitale – al cui interno prova a ricostruire gli eventi legati alla morte di Majakovskij – perché trovava che ci fossero degli aspetti formali congeniali al nostro modo di creare. Difatti ci siamo imbattuti in diverse questioni interessanti, come sfida scenica e non letteraria. Tra l’altro si tratta di un progetto biennale, modalità che non abbiamo spesso utilizzato e ovviamente lavorare in questa prospettiva incide su più fronti. Dopo il debutto di quest’anno con L’incidente è chiuso, nel 2020 approderemo a uno spettacolo più ampio, dal titolo Il defunto odiava i pettegolezzi (incrociamo le dita perché abbiamo da definire ancora alcuni tasselli produttivi). Ovviamente si tratta di capire che cosa demandare alla produzione attuale, che debutterà a Bassano del Grappa e a Todi, e che cosa destinare a quella futura nella quale probabilmente ragioneremo di più sugli aspetti visivi.
Parlando de L’incidente è chiuso, a Todi OFF il prossimo 30 agosto, come avete trattato dal punto di vista scenico e drammaturgico le questioni che emergono dal romanzo-indagine di Serena Vitale?
Parto da quello drammaturgico, che è stato probabilmente il lavoro più difficile. Serena Vitale in questo volume dà voce a molte testimonianze: scritte, orali, di seconda mano, affidabili, non affidabili… un mare da lei messo in ordine, per tessere una linea plausibile che conduce alla morte di Majakovskij. Come dar vita a tutto questo? Noi abbiamo scomposto la rappresentazione in tre piani. Quello principale è concentrato sul dispositivo dell’interrogatorio: ci sono più situazioni sviluppate nell’arco temporale che va dal 1930 al 1938 e noi assistiamo a quello della testimone principale, Nora, prima da parte di un inquirente e poi da parte di una giornalista, avvenuto otto anni dopo. Queste figure sono in parte storicamente esistite, ma in parte sono una nostra invenzione. Entrambe sono interpretate dalla stessa attrice, Consuelo Battiston. Inoltre, lei agisce non solo su questo ma anche sugli altri piani della narrazione, in quanto è un po’ un Caronte che conduce all’inferno majakovskijano ed è colei che, in qualche modo, dà voce all’autrice, diversamente non avrebbe funzionato.
La figura di Consuelo deve viaggiare nel tempo, allora abbiamo emancipato un personaggio di fantasia inventato da Majakovskij, la Donna Fosforescente, presente all’interno della sua ultima opera, Banja, che fu un fiasco totale. Abbiamo immaginato che la sua figura più stralunata, la più mejercholdiana, questa donna che viene dal futuro, potesse diventare il nostro narratore principale. Lei ci conduce nei diversi interrogatori e ci guida anche negli altri livelli, come quello del commento dei dati raccolti e poi quello in cui è presente Majakovskij. Per questo livello abbiamo scelto di riferirci all’ultima conferenza pubblica che tenne cinque giorni prima del suicidio, e che non è presente nel libro ma ci serviva nel passaggio dalla carta al legno del palco.
La sfida formale è far convivere la platea del Trenta che lo fischiò con la platea di oggi. Apro un’altra parentesi molto importante: la questione dei viaggi del tempo è così fondamentale da diventare un asse conduttore della narrazione perché non è solo quello attuato dalla Donna Fosforescente ma, a livello tematico, è presente nelle sue opere teatrali e in moltissimi poemi, pieni di riferimenti ai viaggi nel futuro, che disseminò dopo aver letto la Teoria della relatività di Einstein. Majakovskij taglia i ponti col presente e si rivolge ai posteri, lo dice chiaramente più volte, ma i suoi posteri siamo noi, allora diventa interessante capire come instaurare questo nuovo dialogo.
A livello scenico quest’anno abbiamo deciso di rimanere nell’asciuttezza estrema, la scena è quasi vuota, solo lo stretto necessario che serve alla rappresentazione; ci sono delle linee che descrivono il perimetro d’azione e una sagoma che rimanda al costruttivismo e alle avanguardie russe. Per quanto riguarda l’aspetto musicale la scelta è stata quella della filologia, in quanto ho quasi sempre usato autori sovietici che nel Trenta erano al massimo della loro espressività come Prokof’ev e Šostakóvič. Anche i costumi seguono una sorta di “naturalismo filologico”, tranne quello della Donna Fosforescente che è un po’ la sorpresa dello spettacolo.
Redazione
Al Nido dell’Aquila, Todi, per TodiOFF 2019 – 30 agosto 2019
L’INCIDENTE È CHIUSO
Con Consuelo Battiston, Federica Garavaglia, Mauro Milone
Regia, suono, luci di Gianni Farina
Organizzazione Ilenia Carrone
Immagine Marco Smacchia
produzione Menoventi/E-production, Operaestate Festival Veneto