In anteprima nazionale a Castrovillari per Primavera dei Teatri 2019, In Exitu di Giovanni Testori, adattamento, regia e interpretazione di Roberto Latini. Recensione. Dal 3 al 5 maggio 2022 al Teatro Vascello di Roma.
A scena aperta, una rete da tennis cala lentamente dal soffitto e si accartoccia a terra fino a scomparire dietro a un binario ferroviario monco appoggiato sul proscenio, che digrada verso la platea. Il palco del Teatro Vittoria di Castrovillari è pavimentato di materassi, circondato da teli bianchi mossi da una corrente d’aria. Roberto Latini appare prima come ombra, poi come presenza, in calzoni neri, maglia vinaccia e scarpe da ginnastica; il microfono che sempre lo accompagna si regge su un’asta senza piedistallo, portata come bastone d’appoggio o come spada da sguainare; amplificherà la sua voce solo per permetterle di bucare la platea con suono gutturale o per lanciare echi alle tonalità naturali.
Dopo averne letti in anni passati, è la prima volta che, con In Exitu, l’artista romano si confronta in scena con uno scritto di Giovanni Testori, raccogliendo la sfida di una committenza, giunta dalla Compagnia Lombardi-Tiezzi, già produttrice di altri suoi lavori.
Primavera dei Teatri dedica a questo incontro artistico l’ultima serata di festival e il pubblico risponde con entusiasmo: si accalca nel foyer, prende posto in fretta, si spegne in un silenzio religioso che verrà rotto solo dagli applausi al termine dei 75 minuti.
La lirica di Testori – così ritmica, frantumata, visionaria e dolorante – si presta alla perfezione a essere rielaborata da Latini: la vicenda del tossicodipendente omosessuale Gino Riboldi, le sue feroci invettive alla società che ignora la condizione degli ultimi, le memorie di un’infanzia vessata dall’autoritarismo scolastico e famigliare, tutto si condensa nello spettacolo di un corpo in disfacimento. Mentre la gravità corrotta dei materassi – «ora un dormitorio, ora un harem», riferisce Latini – rende il suo passo dinoccolato e onirico, l’attore declama i paragrafi ansimando, tirando su col naso, tossendo, girando in tondo e trovando pace solo in brevi momenti in cui si accascia al suolo, a disegnare una scena completamente esausta.
Il tono cromatico privilegia un candore malato; non c’è più traccia di colori accesi, l’unica presenza che “sporca” è quella dell’attore stesso, ancora una volta impegnato a comprimere in se stesso numerose voci, dal presente e dal passato, tra la severa insegnante con impettita voce cantilenante a mo’ di Mussolini e i passanti anonimi dentro a una vita che si autodistrugge. Dell’interlocutore contemplato nell’opera (nella messinscena originaria era lo stesso Testori, accanto a Franco Branciaroli) resta un’ombra con le braccia aperte a crocifisso che appare come presagio ricorrente, un mostro da fuggire o, alla fine, un’icona a cui arrendersi.
Parlando con colleghi e addetti ai lavori, ci si trova d’accordo su come seguire il debutto di una nuova creazione di Roberto Latini equivalga sempre di più a frequentare un concerto rock, in cui gli artisti sul palco mettono a punto una vera e propria esperienza pirotecnica. Se chi conosce questo percorso creativo è portato a sintonizzarsi su questo nuovo canale, anche gli sguardi meno allenati sembrano porsi in maniera diversa dal solito, lasciandosi bombardare da immagini, rimandi e suggestioni che hanno davvero trovato il modo di riallestire in scena certi passaggi di senso estranei, certe ellissi cognitive risultato della fusione tra poesia del corpo e poesia della parola. E lo dimostra il calore dimostrato nelle ultime repliche al Teatro Vascello di Roma, platea gremita da cui poi si snodava una coda di veri e propri “fan”, talvolta giovanissimi, in attesa di poter incontrare questa sorta di strano animale, come sempre inscindibile dalle musiche e dai suoni di Gianluca Misiti e dallo spazio e dalle luci di Max Mugnai.
Dare qui conto della complessità testuale è impresa vana: in quella che l’artista definisce una «architettura», centinaia di parole sono spesso separate da semplici punti, accenti spostati riscrivono la semantica dei termini, quel dialetto che a Milano ormai quasi nessuno parla più si ibrida con il latino, il francese, l’inglese, fornendo l’alibi per un grammelot di voce e di corpo. Centoventicinque pagine di romanzo vengono qui scagliate in platea dall’altra metà campo: il richiamo al tennis, secondo Latini, non sottintende «una gara, è una serie di colpi dove l’interlocutore è lo spettatore, che non è un avversario, piuttosto l’altro da te. Le parole arrivano dall’altra parte, la sensazione in questo testo è che rappresentino il colpo liftato, il rovescio a due mani, il lungolinea. È il testo che è portato in overdose». E che, sul finale, risucchia letteralmente il corpo dell’attore, una maschera dell’io narrante che pare simbolo di ogni grado di dissoluzione.
Sergio Lo Gatto
Teatro Vittoria, Castrovillari (Primavera dei Teatri 20esima edizione) – giugno 2019
IN EXITU
anteprima nazionale
dall’omonimo romanzo di Giovanni Testori
adattamento, interpretazione e regia Roberto Latini
musica e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
produzione Compagnia Lombardi Tiezzi
Debutto al Teatro Nuovo per Napoli Teatro Festival, 8 e 9 giugno 2019.