Riccardo III. Suite d’un mariage, una rilettura tra danza e poesia scritta e diretta da Auretta Sterrantino. Recensione
Due figure sono avvolte l’una nell’altra. Stanno consumando un bacio appassionato e i loro movimenti sono lenti, controllati quasi come in trance. Uno spazio vuoto, tranne che per l’accenno di un altare evocato da alcuni scalini, qualche fronda secca e dei teli. Non c’è molto all’interno della sala studio del Teatro Vascello. Come intromettendosi in una dimensione privata, di cui non sono note ancora le condizioni o la storia, se si osservano i profili delle figure in movimento disegnati dalla luce di contro è però possibile trarre qualcosa del loro rapporto. Il languore di lei, in un’accurata precisione, disegna movimenti eleganti, rituali, mentre i gesti di lui sono più sofferti e bruschi, sbavati a volte, vibranti, umani. Come fossero poli magnetici, opposti l’uno all’altro e speculari, questi due corpi agiscono ma lo spazio tra loro rimane sempre invariato, forte di una tensione costante che mai si riesce a placare.
Sono le ombre danzanti di Riccardo III. Suite d’un mariage, designate dunque come Riccardo e Anna. In questa pièce scritta e diretta da Auretta Sterrantino diventano materia e astrazione nate dalla suggestione shakespeariana e indagate alla luce dell’ineluttabilità profondamente tragica che lega il monarca assetato di vendetta e potere alla donna vittima e contemporaneamente complice amorosa dei numerosi tradimenti che lo hanno portato al trono e poi alla pazzia. Attraverso una concezione temporale spiraliforme, l’autrice e regista (debitrice degli scritti critici di Jan Kott o di Paolo Coppi ma anche delle riflessioni di Bene-Deleuze sull’essere minoritario e dei suoi studi sugli stasimi della tragedia ellenica classica, esperiti durante il suo lavoro presso l’Istituto Nazionale del Dramma Antico) rifiuta la linearità della storia e una narrazione affidata esclusivamente alla parola, per dedicarsi soltanto a delle suggestioni, in grado di ricomporre il senso del verso shakespeariano a posteriori, poeticamente, in una riscrittura dove pentimento e assoggettamento, attrazione e repulsione, sono i fuochi mai paghi di una rivoluzione delle emozioni.
Quali sono le spinte che li agitano? La passione (sia essa Eros o Thanatos) li muove, certamente, ma a governare l’alternanza tra danza muta e presenza verbale è il tappeto musicale a cura di Filippo La Marca e Vincenzo Quadarella, che puntualmente orchestrato dalla live consolle, detta le conseguenze degli atti, non li anticipa, è voce puntuale di quanto accade, dei colpi inferti, dei rifiuti, dell’amore. L’alternanza di musica sacra, suoni elettronici e concreti, genera così un tappeto emotivo, come la molla in continua carica e alcuni tonfi dettano il tempo, inesorabile.
In questa versione, la fisionomia storicamente ricondotta all’ultimo re di York è tutta nelle intenzioni e nelle azioni: nessuna gobba o volto deturpato per Michele Carvello, ma abiti bianchi e una camminata elegante e ferma. La «forza ossessiva che scaturisce di fronte alla ricerca disperata di qualcosa che non c’è» – come si legge nelle dense note di regia – è più rintracciabile nelle reazioni di lei, interpretata da una giovanissima e promettente Giulia Messina, alla quale spesso è affidato il compito di narrare e restituire, secondo una logica appena straniata, le evoluzioni del personaggio maschile di cui diventa non tanto oggetto sacrificale, bensì ultima depositaria. Questa scelta, del resto, conferma l’origine del testo di Sterrantino, nato su invito di Mario Gelardi, direttore del Nuovo Teatro Sanità, per una riscrittura di un personaggio femminile shakespeariano legato al tema del matrimonio.
Il binomio potere-vendetta che impernia il Riccardo III qui costituisce la spinta propulsiva di un’interazione e contemporaneamente un a-parte di queste due figure, che vivono la loro relazione in un’oscillazione temporale continua, tra passione e rifiuto. Ultimi residui di umanità che recano sui loro corpi e nelle loro parole il fardello dei personaggi shakespeariani ma come a tratti, condividendone a volte il peso, o usurpandone la proprietà dell’atto. Non è possibile scindere la figura di Lady Anna da quella di Riccardo, molto spesso anzi è lei a prevalere, ricucendo una narrazione poetica nelle parole di lei e più analitica in quella di lui. Lei è la risposta alle sue macchinazioni, marionetta mossa tramite fili invisibili, eppure è anche colei che si presta al gioco amoroso, salvo liberarsene poco prima della fine, ponendo una mano davanti alla bocca che la bacia.
Quell’Anna, prestata al matrimonio, quell’Anna i cui cari erano stati uccisi dall’uomo che amava fingendo si trattasse di una contorta necessità amorosa, quell’Anna alla fine resa folle non è più questa soltanto. Lui le prepara una tomba di stoffa, ma è velo che coprirà entrambi, che entrambi farà chinare davanti a quell’altare, talamo di nozze e feretro che li accoglierà.
«Un baratro si è aperto tra noi due
Il sole non vuole risplendere oggi.
Ed ecco, arriva improvvisa
quell’ora
in cui tutto resta non tanto com’era
ma come sarà».
Viviana Raciti
Teatro Vascello – maggio 2019
regia e drammaturgia di Auretta Sterrantino
con Michele Carvello, Giulia Messina
musiche originali Filippo La Marca e Vincenzo Quadarella
allestimento Valeria Mendolia
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni